L'EDUCAZIONE FINANZIARIA DEVE CRESCERE

Redditi e risparmi sono in aumento, ma le competenze degli italiani in materia di investimenti (a partire dai concetti di base) rimangono limitate. E di conseguenza, anche le capacità di valutare i rischi
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Chi in Italia si domanda come mai anche quest’anno, così come già accaduto altre volte nel corso di questo secolo, il premio Nobel per l’economia sia stato attribuito a un esponente di spicco della corrente di studi della finanza comportamentale, potrebbe trovare un’indiretta risposta nelle pagine dell’ultima edizione del «Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane», curato dalla Consob. Se, infatti le prime informazioni che si colgono in questo Rapporto appaiono in una certa misura rassicuranti (crescita del reddito disponibile con una ricchezza netta rimasta stabile rispetto ai livelli pre-crisi, lieve crescita del tasso di risparmio e indicatori di indebitamento delle famiglie inferiori a quelli europei, il giudizio sulle conoscenze finanziarie degli italiani e sui loro tratti comportamentali nelle scelte di investimento fa pendere la bilancia complessiva in un territorio negativo.

Nadia Linciano
, che nella sua qualità di responsabile dell’ufficio studi economici della Consob ha curato anche questa edizione 2017 del Rapporto, ammette senza mezzi termini che «le rilevazioni per il 2016 confermano che le competenze degli italiani in materia di investimenti finanziari rimangono limitate, sia per i profili attinenti alle conoscenze, sia per gli aspetti relativi ad attitudini e modelli decisionali.
Oltre un terzo degli intervistati, inoltre, ha difficoltà a valutare la rischiosità delle opzioni di investimento più note».
In realtà, si rimane esterrefatti di fronte alla crudezza delle cifre di questo documento che indicano quanto poco gli italiani sappiano di alcuni concetti base di natura economica, quali l’inflazione, il tasso d’interesse, la relazione tra rischio e rendimento, la diversificazione di portafoglio.
La modesta percentuale di definizione corrette, fornite dal campione di intervistati su cui sono basate le considerazioni del Rapporto (nel migliore dei casi non si va al di là del 50%), esprime con chiarezza quanto è ancora lungo il percorso da svolgere in Italia in termini di conoscenze e, quindi, di educazione finanziaria.
La mancanza di familiarità con qualsiasi prodotto finanziario riscontrata nel 20% dei casi, così come l’evidente difficoltà manifestata da oltre un terzo degli intervistati quando si tratta di compiere valutazioni sulla rischiosità delle proprie scelte di investimento, anche per quelle più diffuse, compongono, pertanto, un quadro d’insieme per certi versi imbarazzante e in cui, per dirla eufemisticamente, non mancano certamente i margini di miglioramento.
Rimanendo in tema di conoscenze finanziarie, infine, non può essere dimenticato un altro aspetto discutibile evidenziato nel Rapporto circa la relazione tra conoscenze effettive e conoscenze percepite, ove, come rileva la Linciano, «si registra un disallineamento pari a circa il 40 % dei casi, che si traduce prevalentemente in una sopravalutazione della propria literacy (overconfidence)».
Dalle conoscenze finanziarie ai tratti comportamentali. Quasi la metà degli intervistati dichiara di provare «ansia finanziaria» nell’adottare le proprie scelte di investimento con effetti negativi sulla propensione a sopravvalutare le proprie competenze. Altri elementi determinanti in questo ambito risultano essere l’elevata avversione alle perdite, la bassa propensione al rischio dei risparmiatori, come confermato anche dalla loro netta preferenza per i prodotti a capitale protetto o a rendimento garantito.
Scendendo ulteriormente nel dettaglio dei comportamenti, il Rapporto Consob rileva come l’abitudine a pianificare e monitorare gli obiettivi raggiunti nel tempo, un comportamento che giustamente va ascritto tra quelli virtuosi, si riscontri in poco meno del 25% dei casi; presentando una correlazione positiva con le conoscenze e l’interesse per le materie finanziarie.
Altrettanto grave è che il 41% degli intervistati non abbia consapevolezza delle caratteristiche qualificanti del proprio processo decisionale, non risultando valutato «né l’orizzonte temporale, né gli obiettivi, né la capacità economica ed emotiva di sopportare il rischio». Aspetti questi che, viceversa, emergono con il crescere delle conoscenze finanziarie e con il manifestarsi dell’abitudine alla pianificazione finanziaria.
Tra i numerosi altri spunti offerti da questa edizione del Rapporto, vale la pena ricordare quello cruciale, anche in chiave prospettica (dall’inizio del prossimo anno entrerà in vigore la nuova Mifid 2), del ricorso alla consulenza finanziaria. Il primo dato mostra che solo quasi un terzo degli intervistati conferma di beneficiare di «raccomandazioni personalizzate ai sensi Mifid». Inoltre, analizzando le tipologie di consulenza, risultano prevalenti: quella della consulenza ristretta, ossia quella che si riferisce a «un insieme limitato di strumenti finanziari generalmente emessi dallo stesso istituto di credito che eroga consulenza» e quella della consulenza avanzata, «applicata a un insieme più ampio di strumenti finanziari e con una valutazione periodica dell’adeguatezza dell’investimento». Quanto alla consulenza indipendente, cioè quella riferita a una vasta gamma di prodotti e remunerata esclusivamente dal cliente, il suo ruolo continua a essere di vera e propria cenerentola (7%).
Ma le sorprese (in negativo) non si esauriscono qui. Infatti, come spiegare la riluttanza da parte del potenziale cliente a fornire al professionista gli elementi utili, per non dire indispensabili, al fine di ottenere una proposta adeguata alle sue reali esigenze di investimento? Si pensi, poi, all’assurdo del caso limite di quel 14% del campione di investitori che arriva al punto di non fornire alcuna informazione.
In tema di informazione finanziaria, uno snodo fondamentale è rappresentato dal ruolo dei prospetti informativi, di cui spesso ci si è lamentati per la loro eccessiva corposità (centinaia di pagine da leggere) e per il grado di trasparenza discutibile. Qui non possono che far riflettere alcuni dati del Rapporto: vi è solo il 40% circa che conferma di leggerli; si scende, poi, al 25% di chi lo fa in autonomia e al 10% con l’aiuto di familiari e amici; mentre una quota decisamente residuale si affida alle valutazioni di un consulente (8%).
Alla luce di questi dati e considerazioni in chiaroscuro del rapporto Consob, il recente avvio dei lavori del Comitato per l’educazione finanziaria, istituito quest’anno in Italia, appare un segnale importante della consapevolezza dei ritardi che nel campo delle conoscenze finanziarie e dei tratti comportamentali continuano ad affliggere il Paese, frenandone la crescita e riflettendosi negativamente a cascata in altri ambiti cruciali per il suo sviluppo.
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