Telefoni e chat, la nuova frontiera del credito

I colossi del web, dell’e-commerce e delle tlc invadono il mercato dei sistemi di pagamento innovativi. Da Amazon a Samsung passando per Apple, Google e i cinesi di Alibaba: tutti studiano il modo per togliere alle banche il monopolio delle transazioni in denaro puntando sulle nuove tecnologie e sulla fidelizzazione di masse enormi di utenti. Per chi resta legato al contante gli sportelli arrivano pure dal tabaccaio
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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La musica è più o meno simile sul fronte dei pagamenti elettronici, dove l’Italia resta fanalino di coda a livello internazionale. Qualcosa, però, si sta muovendo. L’incremento delle transazioni digitali sta infatti procedendo a ritmi addirittura più elevati di quelli  europei, con una quota di aumento che nel 2015 si è attestata al 14% contro il 12% della Ue. Il trend positivo è proseguito anche nel 2016, quando i pagamenti cashless sono cresciuti del 9%, raggiungendo 190 miliardi di euro. Una cifra che rappresenta il 24% del totale dei consumi italiani. Ma il vero terreno su cui il Paese sta cambiando marcia è quello dei pagamenti innovativi, che hanno superato i 30 miliardi di euro, con un balzo del 51% sul 2015. A trainare la corsa sono state principalmente le operazioni contactless (ci sono oggi in circolazione circa 40 milioni di carte abilitate e un milione di Pos), che hanno veicolato pagamenti per 7 miliardi di euro, con un balzo del 700% rispetto al 2015. In forte crescita anche i pagamenti via smartphone, arrivati a 3,9 miliardi (+63%).
La mossa di Apple. Su entrambi i fronti le percentuali sembrano destinate a schizzare ancora più in alto, sin dai prossimi mesi. A fare la differenza sarà l’ingresso dell’iPhone negli strumenti di pagamento a disposizione dei consumatori.  Finora in Italia, dove circolano circa 20 milioni di smartphone dotati di Nfc (near field communication) che generano già circa 10 milioni di euro di transazioni, le uniche soluzioni attive erano quelle di Poste Mobile e Vodafone Pay. Dalla fine di maggio, con circa tre anni di ritardo rispetto all’esordio negli States, il sistema di pagamenti digitali della Mela è disponibile anche in Italia. Apple Pay può essere usato con iPhone, Apple Watch e Mac, quindi sia in mobilità sia dalla scrivania di casa. Il sistema sfrutta la tecnologia Nfc e funziona esattamente come una carta contactless: basta appoggiare il dispositivo a un Pos di quelli già presenti nei negozi predisposti per effettuare il pagamento.
A fare la differenza, almeno secondo le parole del vicepresidente internet service di Apple Pay, Jennifer Bailey, è la proverbiale sicurezza della casa di Cupertino: «Il numero della carta di credito non viene conservato sull’iPhone, né sui server Apple né condiviso con il commerciante e ogni transazione viene autorizzata con un codice di sicurezza dinamico e univoco che cambia di volta in volta». Le operazioni vengono finalizzate o con il touch Id, cioè il riconoscimento dell’impronta digitale, o con il proprio codice di sicurezza. Il sistema è già presente in 15 Paesi del mondo ed è usato da decine di milioni di utenti, con un volume di transazioni cresciuto del 450% negli ultimi di 12 mesi. Complessivamente ci sono oltre 3.500 banche che hanno reso disponibile il sistema ai loro clienti e solo negli Stati Uniti il 90% delle transazioni contactless sono fatte con Apple Pay.
Le potenzialità del mercato. In Italia il colosso delle tlc ha stretto accordi con Unicredit, Carrefour Bank e l’app Boon (un sistema di carta ricaricabile) ma ne sono in arrivo altri entro fine anno che comprendono CartaBcc, ExpendiaSmart, Fineco, Hype, N26 e Widiba. Anche i clienti Banca Mediolanum e American Express potranno presto utilizzare Apple Pay. Mentre il gruppo Banca Sella ha annunciato l’integrazione di Apple Pay sulla propria piattaforma di e-commerce Gestpay, utilizzata da molti player italiani della vendita e dei servizi online di tutti i settori merceologici, dal food al fashion, dall’elettronica di consumo ai servizi, come Bofrost, Giglio.com, Monclick e Parkappy. Le grandi catene fisiche in cui sarà possibile pagare sono, tra le altre, Auchan, Eataly, Ovs, Sephora.
Il bacino potenziale è di 450-700mila utenti, con circa 85mila utilizzatori non occasionali. Sui volumi i margini di crescita, almeno sulla carta, sembrano sconfinati. I numeri dimostrano che già oggi l’acquisto in negozio con il telefonino non è utilizzato solo per i micro pagamenti sotto i 25 euro (per cui non serve inserire il pin), ma anche per quelli di ammontare superiore. Lo scontrino medio si aggira, infatti, sui 50 euro, di poco inferiore al pagamento medio effettuato con carta, che è di circa 63 euro. Il transato annuo per ogni singolo mobile Pos (cresciuti nel 2016 a 85mila unità, +21%) si attesta sopra i 9.500 euro, in crescita rispetto ai 7mila scarsi del 2015. Se l’offerta evolverà verso sistemi di Pos evoluti (per esempio con un’integrazione di servizi accessori) nei prossimi tre anni gli apparecchi per l’acquisto contactless da smartphone, secondo le stime dei principali esperti, potrebbero arrivare a transare tra gli 1,2 e gli 1,6 miliardi di euro all’anno.
Concorrenza agguerrita. È facile prevedere che il colosso di Cupertino non resterà a lungo solo. In Italia la Apple ha battuto tutti sul tempo, ma nel resto del mondo i big della tecnologia sono già in pista e la concorrenza sul mobile payment è agguerrita. Offrono servizi analoghi, infatti, Samsung Pay, atteso in Italia entro fine anno, Android Pay di Google e, anche se con un bacino di utenti più contenuto, Microsoft Wallet, che già vede coinvolti Visa e Mastercard e supporta carte di credito e di debito di otto istituti finanziari. Il Wallet di Microsoft è per ora disponibile per i partecipanti del programma «Insiders» negli Stati Uniti, su tre smartphone con il sistema operativo Windows 10: Lumia 650, 950 e 950 XL. Dall’estate, però, potrà essere usato da tutti gli statunitensi.
Ma le transazioni digitali non interessano solo alle compagnie che producono smartphone e sistemi operativi. Dalla Cina, per esempio, puntano ai mercati occidentali due realtà diverse: il colosso del commercio elettronico Alibaba, con AliPay, e la popolarissima app WeChat, con il suo servizio di pagamenti. Tra le chat usate alle nostre latitudini, Messenger di Facebook consente lo scambio di denaro tra singoli utenti e anche di gruppo, per raccogliere i soldi di una cena o un regalo condiviso. Funziona come l’invio di un messaggio, ma al posto del testo si scrive la cifra. In alternativa c’è Jiffy (a cui aderiscono più di venti banche nostrane) e N26, che è essa stessa una banca e figura tra i partner di Apple Pay.
Tra i vari contendenti non poteva mancare Amazon, il super colosso dell’e-commerce. Il cui concorrente diretto è, però, per adesso Paypal, la piattaforma californiana che permette di pagare ormai quasi ovunque sul web senza bisogno di carta di credito. Amazon Pay, il sistema di pagamenti già presente in molte parti del mondo, è sbarcato ad aprile pure in Italia. In pratica, gli utenti iscritti alla piattaforma hanno la possibilità di pagare prodotti e servizi di siti terzi usando semplicemente il proprio account. Nel mondo più di 33 milioni di persone hanno già utilizzato Amazon Pay per fare acquisti, con il 32% delle transazioni realizzate da un dispositivo mobile. Il volume di pagamenti con questo sistema, usato da clienti di oltre 170 Paesi, è quasi duplicato nel 2016 grazie al suo utilizzo da parte di venditori di diversi settori come abbigliamento, viaggi, prodotti digitali, assicurazioni, intrattenimento. In Italia, tra gli altri, hanno aderito al progetto la compagnia aerea Vueling e la compagnia assicurativa Europ Assistance Italia.

Verso la disintermediazione.
 La rivoluzione nei pagamenti è epocale ma, almeno per ora, soft. Quasi tutti i metodi innovativi, infatti, funzionano ancora attraverso i tradizionali circuiti bancari. In altre parole, per pagare, bisogna avere una carta o un conto corrente. Ma le cose potrebbero cambiare rapidamente. Le multinazionali del web infatti sono convinte che la rete e i social sostituiranno presto gli sportelli. E a fare le banche ci stanno pensando davvero. Le risorse finanziarie non mancano e gli enormi bacini di utenza fidelizzati e profilati fin nei minimi dettagli potrebbero costituire un fattore competitivo difficile da fronteggiare. Qualcuno ha già mosso i primi passi. Facebook, per esempio, ha ottenuto una licenza per l’emissione di moneta elettronica in Irlanda e sembra che abbia già avviato un confronto con alcune fintech specializzate in trasferimenti di denaro.
Ancora non si tratta di veri e propri servizi bancari. Ma il passo è breve. Come dimostra Paypal, che nel 2004 ottenne un’analoga licenza e tre anni più tardi riuscì a ottenere in Inghilterra una vera licenza bancaria. Con cautela si sta muovendo anche Amazon, che ha recentemente presentato una sua carta di credito, in collaborazione con Jp Morgan, dedicata ai suoi clienti con abbonamento «prime». Il mercato sembra pronto. Una recente ricerca di Accenture ha rivelato che in Europa su 33mila soggetti intervistati circa un terzo non avrebbe problemi a spostare il proprio denaro su un conto gestito da Amazon, Google o Facebook. La percentuale in Italia è addirittura del 41%. Mentre tra i giovani la novità piace a oltre uno su due.
L’ipotesi della disintermediazione spaventa ovviamente le banche, che stanno già dando battaglia sul terreno delle regole. Secondo le fintech, i principali istituti di credito sono in pressing sulla Commissione europea per favorire una definizione delle linee guida della nuova direttiva Ue sui servizi di pagamento (che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il gennaio del prossimo anno) che penalizzi le startup innovative a favore dei servizi bancari tradizionali. Ma le spinte politiche verso l’innovazione e la concorrenza sono forti. E non è detto che le vecchie lobby riescano nell’intento.
La banca dal tabaccaio. Nel frattempo, c’è chi per tenere il passo sta tentando di allargare i propri orizzonti. Se la rivoluzione digitale permette ai cittadini di pagare tasse, bollette e mense scolastiche dal tabaccaio, perché non consentirgli anche di operare sui conti correnti? È l’idea che ha avuto Intesa Sanpaolo, che ha deciso di trasferire le filiali al bar. «Nasce la prima banca di prossimità in Europa, con l’obiettivo di arrivare al cliente, il più vicino possibile, non con uno smartphone ma con una persona, il tabaccaio». Così ha spiegato il responsabile della divisione banca dei territori di Intesa, Stefano Barrese, lanciando Banca 5. L’operazione ruota intorno a Banca Itb, la banca dei tabaccai, che in pochi anni ha conquistato la categoria, contando 23mila affiliati. La società ora è nella mani di Intesa, che vuole coniugare tradizione e innovazione, sfruttando proprio il canale online. I 25 milioni di italiani che passano in tabaccheria potranno acquistare delle smartbox del credito, confezioni di prodotti bancari, e sbrigare le pratiche dalla postazione tecnologica presente nel locale.
Il nome non è casuale. Banca 5 perché 5 sono le linee di prodotti offerti: conto corrente, carta di credito, finanziamenti sotto un certo tetto, assicurazioni di tutela (auto, capofamiglia e animali domestici) e servizi (tra cui l’intermediazione immobiliare). Barrese vede vantaggi per tutti. Ne beneficerebbero i clienti della banca, quelli che già lo sono e quelli che lo diventeranno, visto che la rete di Intesa potrebbe estendersi a «34-35mila punti», andando oltre le filiali e i bancomat.
Per chi apre un conto Banca 5, «basta scendere sotto casa, sfruttando la flessibilità oraria della tabaccheria». Ma la novità, sempre secondo banca Intesa, converrebbe anche al tabaccaio che aderisce all’iniziativa: «Avrà subito in tasca 200 euro al mese, potendo arrivare fino a 1.500 euro di ricavi addizionali».

I rischi della rete.
 L’iniziativa, partita a giugno, potrebbe attirare verso l’online anche fasce di popolazione ancora diffidenti verso i nuovi strumenti e fedeli al contante. Del resto, oltre ai vantaggi la moneta dematerializzata ha anche i suoi problemi. Secondo uno studio dell’Università britannica di Newcastle pubblicato sulla rivista Ieee Security & Privacy bastano sei secondi per clonare una carta di credito. Pochi attimi in cui un cyber criminale sarebbe in grado di trovare il numero, la data di scadenza e anche il codice di sicurezza della carta, utilizzando nient’altro che un computer portatile e una connessione a internet.
Per chi pensa di essere più sicuro utilizzando il proprio telefonino c’è il rapporto di Kaspersky Lab, che l’anno scorso ha individuato 8 milioni e mezzo di software dannosi installati su dispositivi mobili. Si tratta di una cifra praticamente triplicata rispetto all’anno precedente. In appena un anno i ricercatori affermano di aver individuato una quantità di virus mobile pari alla metà di quella rilevata in 11 anni (2004-2015).
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