La tavola rotonda promossa da World Excellence con i player del settore
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Diversi i temi oggetto del dibattito: dagli scenari in evoluzione che condizioneranno i mercati nei prossimi mesi, con le elezioni americane, il referendum costituzionale italiano fino alle consultazioni in Francia e Germania del prossimo anno; il ruolo delle banche centrali e le strategie per ottenere rendimento nonostante i tassi a zero; costi e commissioni dell’industria in relazione alle reti distributive e infine le sfide lanciate dal mondo Fintech, a partire dal Robo Advisor.
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Energy Forum
3 anni agoVenture Capital, Digital Energy e Green Bond. Come le energie rinnovabili si dimostreranno cruciali per il futuro del Paese.
Il 21 giugno dalle 9.00 alle 13.00 i manager del comparto Energy si sono dati appuntamento a Palazzo Mezzanotte per confrontarsi sulle tematiche più attuali del settore. Novità legislative, strumenti di investimento, incentivi, tecnologie, scenari e opportunità saranno i temi approfonditi con illustri ospiti esperti per il loro settore di competenza, per fare il punto su uno degli asset più strategici del nostro paese.
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Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Dopo il Keynote Speech di Daniele Forni, Chief Technology Officer FIRE Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia, che sviscererà il tema dell’efficienza energetica, dando particolare risalto all’utilizzo dei led, saranno realizzate tre tavole rotonde, moderate dal giornalista Marco Gisotti, esperto di tematiche energetiche e ambientali, reduce dal progetto di Enea Italia in Classe A.La prima tavola sarà di carattere generale e la discussione si aprirà con un focus sulle novità legislative per poi proseguire esplorando scenari e possibili evoluzioni del settore Energy. Tra i relatori: Fabio Zanellini, Presidente Commissione Tecnica ANIE Energia; Stefano Filippini, Energy Manager Gruppo Miroglio; Avv. Emilio Sani, Partner Energy Macchi di Cellere Gangemi Studio Legale e Stefano Luccietto, Energy Manager Fiera Milano.
Alle ore 11 si è proseguirà con il secondo incontro dal titolo “Investire in efficienza e rinnovabili”. Gli esperti disquisiranno di Venture Capital, Green Bond, Fondi Liquidi e aspetti di Socially Responsible/ESG, analizzando il settore energy ponendo l’attenzione sulle forme di investimento ad esso legate. Durante il convegno verrà posto l’accento anche sugli investimenti responsabili, un tema sempre più importante e trend destinato ad affermarsi sempre di più. La seconda tavola vede la partecipazione di Andrew J.S. Gebhardt, Managing Partner Finex LLP; Franco Hauri, Director Adaxia Capital Partners; Massimo Mariani, Professore associato di Finanza Aziendale Università LUM Jean Monnet e Fabio Gerosa, Presidente Fratello Sole SCARL.
La mattinata si concluderà con la terza ed ultima tavola, dove verranno messe a fuoco le opportunità offerte dall’Industry 4.0. Digital Energy, difatti, è un termine che si sta sempre più diffondendo e che spesso viene identificato limitatamente all’utilizzo della tecnologia per controllare i consumi. In realtà vuole racchiudere una tematica più articolata su architetture complesse che sfruttano anche tecnologie come big data e cloud per la gestione. Durante l’incontro verranno portati ad esempio casi aziendali di successo. Intervengono: Alfio Fontana, Energy Manager Carrefour Italy; Nicola Bartoli, Core Infrastructure & Energy Manager Vodafone; Mario Cherubini, Senior Energy Data Analyst RFI Rete Ferroviaria Italiana; Fabio Fresi, Technical Department Supervisor Humanitas Gradenigo e Mattia De Vecchi, Energy Specialist.
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Broker: le strade per restare sul mercato
4 anni agoSono in crescita ma il mercato è atomizzato in piccole e piccolissime realtà, che si trovano a operare in un contesto internazionale. E solo l’arma della consulenza professionale e specializzata sembra vincente
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Specializzarsi su alcune nicchie di mercato, fare network con altre realtà locali, puntare sulla consulenza. È su questo che sono impegnate le società di brokeraggio assicurativo in un contesto di forte competizione. In Europa (in particolare in Germania, Belgio, Spagna, Francia, Italia, Lussemburgo, Polonia e Portogallo), il numero dei broker è aumentato di 13.300 unità, oltre il 18%, tra il 2008 e il 2014,
La resilienza dimostrata dai broker, secondo l’osservatorio degli intermediari di Cgpa Europe, è generalmente attribuita «al loro dinamismo, al loro senso dell’innovazione e alla loro grande capacità di adattarsi alle evoluzioni dei bisogni e dei mercati». E in Italia? Nel corso del 2015 (ultimo dato disponibile dell’Aiba, l’Associazione italiana brokers di assicurazioni e riassicurazioni) i broker nazionali hanno complessivamente gestito 16,2 miliardi di euro, per una quota di mercato del 10,3%. Si tratta di numeri che, secondo l’associazione che conta oggi su oltre 1.130 aziende associate, tra società e ditte individuali, e che rappresentano circa l’80% del complessivo giro d’affari dei broker italiani, «sono significativi e mantengono il settore sui valori antecedenti la crisi finanziaria, nonostante le complessità di un mercato che rispecchia le difficoltà del sistema produttivo italiano». Infine i dati del Registro unico degli intermediari: al 31 dicembre 2015 risultano iscritte 4.136 persone fisiche (+121 rispetto all’anno precedente) e società 1.616 (+60).
Di questo e di altro (partendo dall’esperienza di ognuno dei partecipanti) si è parlato nel corso di una tavola rotonda organizzata da World Excellence, moderata da Angela Maria Scullica, direttore delle testate economiche di Le Fonti, e dall’autore dell’articolo. Vi hanno preso parte Stefania Bonezzi, sales marketing director di Willis Towers Watson, Fabrizio Callarà, amministratore delegato di Aec Wholesale Group, Emanuele Cordero di Vonzo, consigliere delegato di Assiteca, Gianluca Graziani, direttore generale Mediass, Alberto Maria Maturi, presidente e ceo di Sheltia, Gianluca Melani, managing director di Wide Group, Vittorio Scala, country manager per l’Italia dei Lloyd’s of London, e Attilio Steffano, presidente Assimedici srl.I Lloyd’s conoscono molto bene il mercato dei broker. Che rapporto hanno con loro e che momento è, questo, per i broker italiani?
scala I Lloyd’s non sono per tutti gli intermediari, ma sono un mercato di riferimento per chi cerca un’alternativa. L’offerta in Italia si sta riducendo a causa delle operazioni di fusione e acquisizione e il broker, nel suo ruolo di consulente, è alla ricerca di nuove soluzioni che devono anche soddisfare le esigenze sempre più personalizzate e sofisticate dei clienti. Il mercato sta cambiando e anche i nostri storici coverholder si stanno attrezzando, grazie anche alle nuove tecnologie, per rimanere competitivi.
L’esperienza di una società di brokeraggio mondiale unita a quella di una società specializzata nella consulenza. Così è nata Willis Towers Watson…
bonezzi La fusione fra le due società è stata accolta con entusiasmo da entrambe le organizzazioni. L’operazione ha prodotto opportunità di business a nostro parere molto elevate. Nell’ultimo anno abbiamo lavorato sull’innovazione e sull’integrazione di prodotti mutuati dall’esperienza di Towers Watson, sviluppando prodotti assicurativi innovativi. Certo stiamo ancora lavorando e abbiamo iniziato un’attività di marketing congiunta sui prodotti elaborati insieme che consentiranno di distinguerci.Qual è la situazione del mercato del brokeraggio assicurativo in Italia?
bonezzi Mi pare abbastanza maturo e allo stesso tempo sempre più incentrato sul soft market. Fra i grandi broker è in atto la tendenza a offrire ai clienti soluzioni applicando forti sconti. Io credo che il futuro non sia questo, anche perché stiamo assistendo a una riduzione delle compagnie assicurative. Così si spiega, come affermava Scala, un maggiore ricorso ai Lloyd’s. Oggi è arrivato il momento di cambiare mentalità e fornire la giusta consulenza e il giusto valore ai nostri interlocutori.Quanto è difficile per i piccoli broker rimanere in questo mercato?
bonezzi La forza dei piccoli broker locali è ancora il radicamento e la conoscenza del territorio, ma le loro dimensioni spesso sono un limite in quanto difficilmente riescono a ottenere prodotti e servizi specialistici o innovativi che il grande broker, per ovvi motivi dimensionali e di economie di scala, riesce a elaborare, ottenere e piazzare con le primarie compagnie. È difficile oggi per una piccola società di brokeraggio ottenere margini sostenibili continuando a esprimere quella professionalità consulenziale che è necessaria al mantenimento e all’incremento della propria base di clientela. La grandissima concorrenza e gli elevati costi di gestione stanno via via appiattendo l’offerta dei prodotti acquistati dai piccoli broker che devono scegliere spesso la quantità rinunciando alla specializzazione.
Assiteca, broker indipendente italiano, si è quotato all’Aim e ha avviato un piano di semplificazione delle proprie controllate e di acquisizione di altre realtà del brokeraggio. Che significato assume, a livello strategico, questo percorso?
cordero di vonzo Assiteca è cambiata molto negli ultimi 4-5 anni. Da gruppo costituito da società di brokeraggio medio/piccole a maggioranza centralizzata, ma comunque autonome, è diventata una società vera e propria, molto più strutturata anche grazie ad acquisizioni che ci hanno portato a una dimensione che ci avvicina a quella dei primi tre broker che operano in Italia. Siamo di gran lunga il primo broker italiano e competiamo sul mercato con quelli internazionali. Per potersi affermare è necessario avere da una parte delle specializzazioni tecniche e dall’altra offrire consulenza riguardante sia le modalità del trasferimento assicurativo sia specifiche attività di risk management.Qual è la situazione del mercato del brokeraggio assicurativo in Italia?
cordero di vonzo I broker di grossa dimensione fanno riferimento sempre di più alla consulenza, mentre le società piccole svolgono un’attività di “tradizionale”, puntando più sul lato dei prodotti. Penso anche che le coperture degli asset di un’azienda siano ormai quasi delle commodity, mentre il discorso è diverso quando si parla di cambiamenti dei sistemi regolatori o delle nuove liabilities. Chi esercita l’attività di brokeraggio lo sa: le aziende medie italiane non sempre sono in grado di essere aggiornate riguardo all’evoluzione delle normative. E quindi hanno un grande bisogno di assistenza.In un contesto difficile come quello degli ultimi anni, quanto è stato complicato far comprendere alle Pmi l’importanza di una copertura assicurativa e della consulenza offerta dal broker?
cordero di vonzo Alla fine credo che le Pmi siano quelle che mediamente hanno sofferto di meno rispetto alle aziende medio grandi. Noi lavoriamo molto sulla diffusione di un concetto di cultura assicurativa e di rischio, di gestione dei rischi aziendali, cerchiamo di migliorare la cultura delle aziende. In altre parole prima metterei al centro la consulenza e poi la polizza.Che momento è, questo, per Aec?
callarà Nell’anno del suo 15° anniversario, Aec ha saputo incrementare il business grazie a due direttrici: consolidamento dei rapporti di collaborazione con compagnie e intermediari ed espansione di nuove linee di business. Il gruppo ha così riconfermato la sua strategia di lungo periodo proseguendo nella direzione di espansione verso nuovi rischi che ci consentono di guardare con ottimismo a un mercato in evoluzione. Nel contempo proseguiamo nel solco dello storico rapporto con i Lloyd’s e rafforzando il rapporto con quei primari assicuratori internazionali e italiani che di Aec sono partner.Come vede il settore del brokeraggio assicurativo italiano?
callarà Innanzitutto occorre riflettere sul numero dei broker. Il fatto che sia in aumento non è un segno di per sé positivo o di vitalità della categoria. Nei mercati più maturi, come per esempio quello inglese, gli intermediari erano 20mila circa 10 anni fa; adesso sono 7mila. Ma non è solo un problema di dimensione. Il mondo delle coperture assicurative è diventato una commodity e quindi il valore aggiunto è la consulenza. Se i piccoli broker generalisti non hanno un know-how tale da poter fare consulenza allora piazzano la polizza e al premio più basso. Peraltro noi siamo cresciuti in un mondo dove le capacità del mercato assicurativo erano limitate. Adesso c’è un eccesso di capacità e di offerta a livello mondiale. Stiamo vivendo da 5 anni un mercato “morbido” in modo esagerato e con tassi di interesse negativi da tempo; il mondo global corporate si è dimezzato in termini di premi. E non parliamo del settore degli enti pubblici, dove le gare vanno a ribasso.Che cosa deve fare un broker per portare avanti il business in modo profittevole?
callarà Concentrarsi sul core business e trasformare il servizio complessivo offerto in un valore aggiunto. È necessario focalizzarsi sulle proprie specialità. Noi di Aec, grossisti, ci abbiamo creduto e abbiamo registrato nel 2016 un +7% in termini di premi. Come? Consolidando le nicchie profittevoli, riducendo il numero delle collaborazioni non redditizie o rischiose.Mediass negli ultimi anni ha ampliato il suo modello di business: non solo aziende ed enti pubblici, ma anche retail. Come mai?
graziani Proprio partendo dal corporate, nostro core business, e sfruttando le competenze interne, abbiamo pensato di poter ampliare la nostra operatività entrando in un settore dalle grandi potenzialità. È nata così una divisione dedicata alla linea persona con un suo brand, risparmiopolizza.com. Offriamo ai nostri intermediari la possibilità di poter contare su un partner specializzato nella ricerca e nella selezione della migliore soluzione assicurativa in termini di qualità e prezzo. La crescente digitalizzazione che ha investito il settore assicurativo ci ha consentito di estendere l’operatività all’intero territorio nazionale, riducendo gli adempimenti amministrativi e riportando l’attività di consulenza al centro del nostro lavoro. Questa strategia ci ha consentito di crescere anche nel settore del corporate mettendo il nostro know-how tecnico a disposizione dei nostri partner e quindi delle aziende loro clienti.Quale è stato il vostro approccio a questo nuovo business?
graziani Come detto abbiamo puntato su un sistema web based, concentrandoci molto sulla tecnologia, consentendo quindi all’intermediario una migliore interazione con il cliente. Siamo partiti 6 anni fa cercando di dare un valore «esclusivo» al rapporto, investendo moltissimo anche sulla formazione. Abbiamo creduto da subito nell’enorme potenziale di sviluppo del welfare assicurativo, sia per le aziende sia per le famiglie. Anche la scelta di un presidente, Raffaele Bonanni, ex segretario della Cisl, che ha portato la sua esperienza e la sua visione di questo mercato, è coerente con il nostro progetto. Ci siamo resi conto però che esiste un grande gap, non soltanto nella cultura di chi deve poi accedere al servizio, ma anche nel livello di formazione degli intermediari.
Avete lanciato qualche iniziativa specifica?
graziani Sì. Da una nostra idea e dall’incontro con Danilo Iervolino, presidente di Pegaso e dell’Università telematica delle Camere di commercio è nato il primo corso di laurea (triennale) per intermediari assicurativi, riconosciuto dal ministero. Il corso, dal titolo Gestione di impresa per intermediari assicurativi, è partito da tre mesi. È aperto anche a tutti gli iscritti alle sezione A e B del Rui che per effetto dell’iscrizione all’Albo hanno crediti utili per il corso di laurea. La partecipazione è on line e gli esami si svolgono nelle sedi in Italia.Sheltia ha invece puntato su quattro pilastri: risparmio, previdenza, investimenti e protezione. Un modello inusuale…
maturi Premetto che sono d’accordo con chi ha detto che oggi viene premiata la specializzazione rispetto alla generalità dell’attività; è un fenomeno che si sta presentando in tutte le attività economiche dove la grande spaccatura è fra chi opera in modo professionalizzato e chi invece rimane ai margini del mercato. Quando ho fondato la società, nel 2015, l’ho fatto per due ragioni: il trend di mercato e le mie esperienze. Non volevo entrare nel mondo del brokeraggio corporate dove c’è una forte price competition che sta riducendo i margini e dove peraltro occorrono relazioni, storia e tradizioni di un certo tipo. Vedevo invece un grosso spazio in quello che era ed è il mercato che fondamentalmente conoscevo meglio e cioè quello del vita, del risparmio gestito e del welfare, in particolare nella componente più squisitamente riferita al retail, all’affinity e alle Pmi. Il valore aggiunto che io ritenevo di poter offrire a chi entrava in Sheltia era la totale indipendenza rispetto ai fornitori e la capacità quindi di poter selezionare il prodotto più adatto a quella clientela con cui mi andavo a relazionare. Noi oggi abbiamo un listino di prodotti (una sessantina circa) che copre tutte le aree di fabbisogno della clientela retail e Pmi, messo a disposizione dei nostri 150 collaboratori, pressoché tutti iscritti alla sezione E del Rui e che arrivano da esperienze diversificate. Di fatto abbiamo anticipato lo sviluppo verso l’advisory che sta venendo rafforzato dalle nuove direttive europee per l’intermediazione assicurativa. Il fatto di essere specializzati nel vita ci sta inoltre ponendo come ideali interlocutori verso altri intermediari che magari hanno una serie di clienti con cui hanno sviluppato tutto dal punto di vista generalista, ma senza alcun approccio nel welfare.Assimedici si occupa di un settore, quello della Rc in ambito sanitario, che appartiene a pochi…
steffano La specializzazione fa parte nel nostro Dna, e Assimedici con il suo network ne rappresenta la caratterizzazione più evidente. Il nostro gruppo, che celebra quest’anno il 90° anniversario, è una delle poche società di brokeraggio totalmente italiane. Trenta anni fa abbiamo iniziato l’attività nella responsabilità medica, coniugandola con percorsi formativi specialistici dedicati. La nostra stretta e consolidata collaborazione con l’Istituto di Medicina legale dell’Università degli Studi di Milano ci permette di erogare una offerta formativa nel settore legale, medico legale e assicurativo. Affidiamo la distribuzione dei nostri servizi a una diffusa rete di intermediari, appartenenti a realtà di intermediazione assicurativa strutturate, verso i quali indirizziamo la nostra specializzazione di broker grossisti: fornitori e mai concorrenti, per continuare a favorire proficue collaborazioni specialistiche di tipo orizzontale. Attualmente ci posizioniamo tra le prime 20 società di brokeraggio, operando in una nicchia di mercato di unica specializzazione. Lo scorso anno ho deciso di diversificare la nostra presenza costituendo anche un’agenzia in collaborazione con il gruppo AmTrust, in un mercato in cui la domanda supera largamente l’offerta di sottoscrizione ormai disponibile. La nostra offerta aggiunge al piazzamento dei rischi anche la possibilità di distribuire le convenzioni da noi sottoscritte con le varie associazioni di categoria e professionali.
Molte compagnie si sono allontanate da questo settore…
steffano Sì e accumulando perdite dolorose, anche se il mercato, se gestito con le necessarie conoscenze e selezione, meriterebbe un’attenzione migliore. Purtroppo oggi il vero competitor è costituito in molti casi dalla scelta di una totale mancanza di copertura assicurativa. Spero che la nuova legge Gelli segni una nuova direttrice lungo la quale il mercato possa riaffacciarsi con nuove possibilità. Anche se i nuovi connotati della responsabilità delle strutture e degli operatori sanitari, soprattutto in conseguenza della nuova possibilità dell’azione diretta che il danneggiato potrà esercitare verso le imprese assicuratrici, non mancheranno di coinvolgere le scelte delle compagnie e di coloro i quali hanno sino a oggi scelto di percorrere la strada della non assicurazione.Qual è stato il percorso che ha portato alla nascita di Wide Group?
melani Wide è il concretizzarsi della collaborazione tra le generazioni che si succedono; è una condivisione costante di saperi e conoscenze; è un’azienda che è riuscita a mettere a fattor comune i punti di forza di tre società storiche e radicate nei rispettivi territori, sublimandone le debolezze. Proprio dalla consapevolezza della debolezza intrinseca al mercato dell’intermediazione assicurativa contemporaneo nasce l’idea di una società fondata su innovazione, specializzazione e libertà. Libertà nel senso di liberare il tempo del broker da ciò che lo rallenta, lo ostacola, impedendogli di dedicarsi alla cura dei clienti, alla ricerca di nuovi mercati e alla creazione di nuove soluzioni.Quali obiettivi si prefigge di raggiungere?
melani Prima si parlava di numeri. Le società iscritte alla sezione B del Rui sono 1.600, ma 1.520 hanno un volume di affari inferiore al milione di euro. Bastano questi due dati a descrivere un mercato dell’intermediazione assicurativa nazionale atomizzato, ma che comunque si trova a operare in un contesto internazionale che sempre più gestisce assicurazioni e capacità assicurative come commodities e intermediari/consulenti come distributori (vedasi direttiva UE 2016/97). È possibile distribuire una commodity mantenendo al contempo qualità nel servizio, specializzazione e professionalità? La risposta che ci siamo dati è: sì, investendo incessantemente in persone, formazione, innovazione e compliance. Oggi operiamo su sei sedi, (Bolzano, Bologna, Milano, Biella, Padova e Mestre) e nuove aperture sono in programma nel Centro Nord Italia.Spesso si fa riferimento al fatto che le compagnie evolvono lentamente e che i prodotti sono troppo standardizzati. E questo “ingessa” il broker. Quali soluzioni? Per esempio guardare Oltreoceano?
melani Sempre. Ogni giorno monitoriamo l’attività di startup InsurTech americane, europee e asiatiche e abbiamo un team It di cinque risorse che lavora sullo sviluppo degli algoritmi Wide raffrontandoli costantemente alle tendenze di altri player nel mondo. Insurance on demand, internet of things, blockchain sono parole a cui abituarsi che avranno sul comparto finanziario assicurativo lo stesso impatto che internet ha avuto sulla stampa e l’informazione.Che cosa pensa in merito al fatto che oggi l’intermediario non può più fare il distributore, ma deve distinguersi fornendo la necessaria consulenza per rispondere alle esigenze del cliente?
scala Mi sembra ovvio e vorrei aggiungere che il ruolo di consulente andrebbe fatto anche nei confronti delle compagnie. Ho la grande fortuna di rappresentare dei sottoscrittori esperti e competenti che non seguono il trend delle compagnie. Ai nostri coverholder, ma anche a chi si rivolge per la prima volta al mondo dei Lloyd’s, suggerisco di non chiedere dei prodotti preincartati, ma di discutere con i sottoscrittori le specifiche necessità assicurative dei loro clienti e gli scenari nei quali si inseriscono.Si parla molto dell’esigenza di innovazione nel mondo assicurativo. Quale è l’opinione dei broker?
cordero de vonzo Credo vada fatto un distinguo tra quella che è la copertura assicurativa (cioè i prodotti) e i processi gestionali e amministrativi che determinano la semplificazione della modalità di produzione del contratto. Su quest’ultimo aspetto siamo molto indietro. C’è molto da fare sulla informatizzazione e digitalizzazione delle modalità distributive dei prodotti.Quali richieste di copertura vi sono arrivate nell’ultimo periodo? Per tutelare quali rischi? Per esempio quelli informatici?
scala Oggi di cyber parlano tutti, almeno in Italia, ma da circa 30 anni il mercato dei Lloyd’s è pronto a fornire copertura per questa tipologia di rischio. La richiesta di assicurazione nell’ambito della responsabilità professionale è in continua crescita: le professioni stanno cambiando, stanno allargando il loro spettro di competenze, modificando e incrementando di conseguenza i rischi. E alcune di queste professioni non hanno ancora una normativa di riferimento. Altre richieste riguardano invece settori nuovi e in evoluzione come le driverless cars o i droni, oppure tutto il comparto energy nelle sue forme più evolute. C’è poi un altro aspetto che di recente è tornato di grande attualità: gli ultimi tristi avvenimenti riguardanti i terremoti e le catastrofi naturali nel nostro Paese hanno scosso gli animi e pare anche l’esigenza di maggiore protezione. Sempre più intermediari ci riferiscono di un incremento nelle richieste dei clienti di aumentare anche del 60% la copertura terremoto per quanto riguarda la tutela dei capannoni. È evidente a tutti che le attuali protezioni non sono più sufficienti
Molti si stanno attivando su nuovi rischi come il cyber…
callarà Il cyber risk di tipo corporate è un mercato che esiste da anni. È il cyber Pmi che stenta a decollare. Penso che qualcosa accadrà il prossimo anno quando entrerà in vigore la nuova direttiva sulla privacy obbligando tutti a tenerne conto. Un altro tema sono i rischi ambientali: in Italia succedono spesso delle catastrofi, ma le Pmi neanche valutano le proposte assicurative sul tema, facendo finta di non sapere che la nuova normativa ambientale è talmente stringente che arriva a confiscare le aziende ai proprietari che non hanno la possibilità di fare la bonifica del danno prodotto.Conta molto il ruolo dell’intermediario in questo senso. E della consulenza che presta al cliente…
Steffano Conta e conterà molto. L’intermediario non dovrà solamente vendere polizze assicurative, bensì affinare la propria funzione consulenziale nella conoscenza di un settore articolato e complesso, per far emergere rischi vecchi e nuovi secondo una precisa, e personalizzata, gerarchia di intervento. Sia in termini di modalità di mitigazione che di trasferimento alle soluzioni assicurative.
bonezzi Credo ci si debba assumere maggiori responsabilità. Dobbiamo porci come consulenti. Il fatto, per esempio, che per anni abbiamo acquisito le commissioni all’interno di un premio di assicurazione, quindi in un certo senso “pagate” dalle compagnie, ci ha fatto perdere l’idea che siamo fuori dalle parti. Stiamo recuperando tantissimo, questo è vero, ma adesso dobbiamo lavorare per una vera innovazione, con l’alleanza delle compagnie.
maturi Non è difficile, oggi, farsi pagare una commissione per la consulenza. Semmai è difficile essere davvero consulenti, perché prima bisogna essere dei professionisti. Il mondo è diviso in due: ci sono i professionisti e i deprofessionalizzati. I primi sono in grado di seguire l’evoluzione anche culturale della clientela, i secondi no e per loro c’è poco da fare. Ma una vera professionalità si deve costruire anche con uno sforzo individuale continuo, al di là degli strumenti che può dare la società per cui si lavora.
cordero di vonzo Sì, anche se bisogna costruirsela e saperla proporre perché le Pmi fanno fatica a capire. Normalmente non hanno un risk manager.
melani Consulenza è consiglio. Un concetto che cambia nel tempo. Il nostro modo di dare consiglio oggi è offrendo ai nostri clienti e colleghi specializzazioni in ambito energy, No profit, impianti di risalita, classic car, High net worth individual, waste, contingency e molto altro; un’infrastruttura It che monitora tutta la filiera produttiva; un team market place che ricerca soluzioni sui mercati nazionali e internazionali; risorse umane, marketing, team sinistri e motor, compliance, finanza e controllo. Tutto questo ha un costo, ma genera anche efficienza ed economie di scala in un contesto win-win broker cliente.
graziani Dobbiamo confrontarci con consumatori, soprattutto le nuove generazioni, che si evolvono e di fronte a questo le compagnie stanno rispondendo con una standardizzazione spinta del sistema. Ne deriva che per un broker si aprono spazi importanti e opportunità interessanti se è efficiente ed efficace nella consulenza.[/auth]
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Nuove tecnologie per una leadership digitale e internazionale
4 anni agoCresce in Italia il mercato Ict trainato dalle medie imprese. Un’opportunità per competere all’estero e per abilitarsi a nuovi business. Le Fonti ne ha discusso in una tavola rotonda a Palazzo Mezzanotte con imprenditori ed esperti del settore
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Cloud, internet delle cose, mobile business e soluzioni per la sicurezza. Il settore Ict lo scorso anno è stato caratterizzato dalla crescita di questi servizi. È quanto attestano le ultime rilevazioni Assinform, condotte con la collaborazione di Netconsulting Cube. E sono dati che trovano conferma anche nelle parole degli imprenditori protagonisti dell’ultimo Ceo Summit promosso da Le Fonti: Innovazione e nuove tecnologie per una leadership digitale e internazionale, svoltosi a Palazzo Mezzanotte lo scorso 15 novembre. Protagonisti del dibattito, Massimo Zanetti, presidente di Massimo Zanetti Beverage Group, la holding che include il noto brand del caffè Segafredo, Flavio Radice, presidente e Ceo della multinazionale Hitachi Systems Cbt e Stefano Franceschini, presidente della società di software gestionale Passepartout. A dialogare con loro, uno dei massimi esperti a livello globale di digitalizzazione, Marcus East, global digital director del colosso britannico della vendita al dettaglio Marks & Spencer, già eCommerce manager di Apple al fianco di Steve Jobs. L’apertura ai mercati internazionali garantita dalle nuove tecnologie, la capacità per le società di software di farsi abilitatori del business e consulenti delle aziende, l’evoluzione del mercato dell’information technology e i suoi diversi modelli di business, tra fusioni e percorsi indipendenti, e poi ancora i dilemmi sull’utilizzo dell’intelligenza artificale e i futuri trend dell’eCommerce sono stati alcuni dei temi trattati.Digitale trainato dalle medie imprese. Tornando ai dati di Assinform, sia per il 2016 sia per il 2017, il cloud cresce a tassi del 26%, l’IoT del 17%, il mobile business di oltre il 13% e le soluzioni per la sicurezza del 5%. Dispositivi e sistemi poi risentono positivamente dell’aumentata domanda di componenti in banda larga e ultralarga. L’ambito retail continua a dare soddisfazione, anche perché stanno prendendo sempre più piede nuovi servizi (dall’internet banking all’e-commerce) e canali di svago (i social su tutti). Il mercato digitale italiano (informatica, telecomunicazioni e contenuti) crescerà quindi dell’1,4% nel 2016 (a 65,79 miliardi di euro) e dell’1,6 % nel 2017 (a 65,83 miliardi). Dopo la svolta del 2015, che ha interrotto una fase negativa che durava da anni, il mercato dell’innovation technology italiano sembra così entrato in un ciclo di crescita stabile. E sono le medie imprese a fare la parte del leone. Si stima che contenuti e pubblicità digitale continueranno a crescere bene (+7% a 10.372 milioni di euro), ma miglioreranno ancora le performance di mercato dei servizi Ict (+2,9% a 10.878 milioni), del software e delle soluzioni Ict (+5,1% a 6.577 milioni) e rimarrà anche in moderata ripresa il rimanente comparto dei dispositivi e sistemi (+0,6% a 17.208 milioni).Innovazione per essere internazionali. A prescindere dalla tipologia di strumento high tech adottato, la crescita per le aziende italiane di qualunque settore non può prescindere dall’investimento in sviluppo di soluzioni innovative. «Il nostro è un lavoro molto vecchio, perché il caffè è il prodotto più vecchio che c’è. Ma l’innovazione ci consente di farlo diventare internazionale», dice Massimo Zanetti affermando che l’It è inteso dalle imprese italiane come ponte per una presenza sempre più capillare a livello globale. Un’opportunità che anche le aziende tradizionali non possono farsi scappare per essere competitive. «L’innovazione e il processo di digitalizzazione sono fondamentali. La nostra innovazione principale è stata quella di essere andati a vendere il caffè nel mondo», ha spiegato il patron della Segafredo. «Avendo noi creato una cinquantina di società in giro per il pianeta, se non ci fossero internet e tutti i vari servizi interconnessi tra loro, non avremmo una trasmissione così rapida dei dati e la possibilità di seguire contemporaneamente i diversi mercati». L’imprenditore ha ripercorso i passaggi che hanno portato l’azienda all’estero e le difficoltà per i produttori italiani di caffè di concorrere con i colossi statunitensi, puntando su qualità e proprio nuove tecnologie. «Noi siamo stati i primi a creare negozi dedicati, e poi un grande americano ne ha fatti molti più di noi. Tuttavia ciò che è innovazione nell’ambito del caffè è nato dalle aziende italiane e non certamente dalle società straniere e siamo stati aiutati in questo dalla rivoluzione tecnologica partita con i computer e oggi inarrestabile».It e cloud abilitatori del business. «Mi fa piacere che un imprenditore parli dell’informazione in termini tecnologici». ribatte Flavio Radice di Hitachi Systems Cbt, system integrator attivo nei servizi di information technology. «Noi come Hitachi ci poniamo sicuramente con una base tecnologica importante, ma siamo molto connessi al business perché vogliamo supportarlo. Questo si fa soprattutto parlando con i dirigenti delle aziende e capendo come le tecnologie possano essere un fattore abilitante. Da qui la necessità di un approccio consulenziale, per trovare soluzioni innovative che partano dai singoli modelli di business». In particolare il manager spiega come il cloud rappresenti un acceleratore importante in quanto «disintermedia quello che è l’approccio tecnologico e va direttamente nell’ambito delle soluzioni». «Oggi si parla molto di internet delle cose», aggiunge «a cui si sommano l’analisi dei dati e l’analisi predittiva per consentire all’azienda di prendere delle decisioni in tempo reale, o quanto più veloce possibile, come reazione a quello che sta accadendo sul mercato». Imprese come questa intendono muoversi in un contesto che, partendo dall’Italia, guardi a un orizzonte globale. Da qui l’acquisizione nel 2015 da parte della multinazionale Hitachi Systems dell’azienda di servizi It Cosmic Blue Team (Cbt) per sostenere il proprio business in Italia e in altri mercati del Vecchio Continente. «Noi siamo un avamposto legato al territorio italiano», conferma Radice, «ma con un piano di espansione europea molto interessante per tutto ciò che è nel mercato dell’innovazione high tech».Modelli tecnologici a confronto. Il caso di Hitachi è l’esempio del dinamismo del settore con la concentrazione nelle mani di alcuni player di riferimento delle dinamiche legate ai servizi It. Non tutti però seguono il medesimo modello di business. È il caso della società Passpartout, presieduta da Stefano Franceschini. «Il nostro è un mercato maturo, non ci sono molte aziende che arrivano “vergini” per farsi informatizzare. È un mercato soprattutto di sostituzione. Il software gestionale pervade l’azienda di abitudini, di modalità, di codifiche e di molto altro, per cui è difficile rimuovere il vecchio, anche se un prodotto è migliore e più aggiornato. Vuol dire fare cambiare abitudini a aziende e personale. Spesso la via più semplice per chi ha dei soldi da investire (spesso e volentieri si tratta dei fondi comuni o delle finanziarie) è acquistare completamente i concorrenti, e quindi acquistare marchi, prodotti, clienti, distributori. Il problema sorge automaticamente dopo, quando si cerca di ottimizzare e di riunire tutto per avere un unico prodotto valido, che nel 90% fa quello che fanno gli altri, senza differenze. Quindi si raddoppia il fatturato, ma si rischia di perdere dei clienti perché chi è abituato, non vuole cambiare. Il software gestionale si acquista all’inizio e magari può andar bene per quel momento, ma siccome è sempre in evoluzione può non essere adatto per il futuro». È basandosi su queste premesse che Franceschini afferma di aver optato per un percorso differente. «Per questo motivo noi abbiamo seguito un’altra strada, che è quella di avere non soltanto un software gestionale, ma anche una piattaforma che sia in grado di evolvere direttamente, non dall’utente finale, ma dal partner o dal distributore e che sia in grado di sviluppare non solo le opzioni standard, ma anche ciò che rappresenta il cuore dell’azienda, le sue strategie, gli aspetti che la caratterizzano e che ne fanno la forza, soprattutto di quelle medio-piccole». «Io ho scelto la strada di non comprare altre aziende né di farmi comprare da loro», conclude l’imprenditore, ma automaticamente di diventare da un’azienda di circa 200 dipendenti, una società di duemila sviluppatori, che fanno l’ultimo miglio e che poi lo editano sul marketplace. Io sono un sostenitore di John Nash, che diceva che quando ogni componente del gruppo nella competizione fa il meglio per sé e per gli altri, si raggiunge il massimo risultato».Globalizzazione e protezionismo. Ma come si raggiunge il massimo risultato in un contesto che vede alternarsi spinte contrapposte, tra isolazionismo e nuove forme di globalizzazione? «La tendenza del mondo è oggi quella di richiudersi dentro le frontiere: abbiamo visto la Brexit, Trump in America, Erdogan, Putin. Questo restringersi dei mercati può creare a chi si occupa di innovazione qualche problema?». si chiede Zanetti. Secondo l’esperto di trasformazione digitale, Marcus East, «le generazioni con un’età maggiore abbracciano l’isolazionismo, mentre le più giovani no. Parlando per esempio di Brexit, le persone over 45 hanno votato a favore, mentre le più giovani contro. Questo perché non vedono gli stessi confini nazionali che le persone più adulte colgono. Nel mio lavoro mi confronto spesso coi giovani: loro vogliono fare tutto su internet, anche gli acquisti. Ma non si fermano qui. Alcune delle tecnologie più all’avanguardia come IoT o intelligenza artificiale, potrebbero andare a dissolvere queste barriere e creare una nuova forma di globalizzazione».Intelligenza artificiale e dilemmi etici. Tuttavia le potenzialità dell’intelligenza artificiale non sono ancora comprese in pieno e spaventano. «Io rappresento un’azienda di innovation technology, per definizione evolutiva, quindi sono molto affascinato da tutto ciò che è rappresentato dall’intelligenza artificiale, ma sono abbastanza preoccupato di come questa possa prevedere i fabbisogni legati al business, soprattutto in un contesto come quello italiano, dove tipicamente la piccola media impresa, non ha dei modelli così strutturati e così conformati come altre realtà multinazionali. Come ci dobbiamo porre di fronte a questa opportunità e che sviluppi potrà avere in futuro?», si domanda Flavio Radice. «La mia opinione è che per sfruttare al meglio le intelligenze artificiali le società debbano dotarsi di un buon business model e di un ottimo programma», risponde East. «Bisogna avere ben chiari i dati da cui partire, gli obiettivi e dove si vuole arrivare tramite l’utilizzo di questi dati. Segnalo un esempio molto controverso: nella Silicon Valley c’è una città che utilizza i poliziotti robot. Sono massicci e vengono utilizzati per fare la ronda in un quartiere in cui si trova la strada che divide l’area più povera da quella più ricca della valle. Ad oggi questi robot hanno solo la possibilità di seguire una persona che ritengono sospetta, tramortirla e fermarla, nulla di più. Quindi la domanda è: se uno di questi robot ferma e malauguratamente uccide una persona, chi è responsabile? L’ingegnere che ha scritto il programma? Chi ha programmato direttamente il robot? Oppure l’agente che ha dato le informazioni al robot? L’aspetto inquietante è che in questi quartieri le persone pensano che gli agenti robot rappresentino un miglioramento, in quanto andrebbero comunque a uccidere meno persone di quelle freddate dagli agenti reali».Tutte le tracce in uno smartphone. Il tema della sicurezza appare cruciale anche per Stefano Franceschini: «Basti pensare a come gli strumenti informatici per l’identificazione in aeroporto o stazione e il reperimento di dati sensibili influenzeranno il modo di vivere e quanto possono fare i governi per la loro diffusione». Per East «questo è sicuramente il futuro, che ci piaccia o meno: il riconoscimento biometrico facciale arriverà». L’ex manager di Apple dunque non ha dubbi e aggiunge. «Di recente ho letto un report scientifico secondo il quale se si analizzasse il nostro smartphone si potrebbero ottenere tantissime informazioni, dalla marca del prodotto per la cura dei capelli a quella del detergente delle mani, al codice pin del bancomat: si lasciano già talmente tante tracce fisiche e biologiche sulla tecnologia che non ce ne rendiamo conto. Lasciamo proprio un’impronta su queste apparecchiature. Questo cambiamento è quindi già in atto. Personalmente non ne sono spaventato, ma bisogna adottare delle giuste politiche private, aziendali e pubbliche. Occorre adeguare leggi e regolamenti a questo nuovo fronte tecnologico perché è già una realtà».[/auth]Post Views: 3