La banca crea un nuovo linguaggio di interazione basato su una domanda, un hashtag e due punti.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Milano, 19 aprile 2016 – Widiba, la banca del Gruppo Montepaschi, a soli 18 mesi dalla nascita lancia sul mercato un nuovo paradigma di relazione: il primo motore di ricerca e del fare nel banking. Rispetto ai modelli consolidati, Widiba fa sintesi creando un solo punto di interazione in cui il cliente deve rispondere a un’unica semplice domanda, “Cosa vuoi fare?”, per cercare le informazioni o eseguire disposizioni diventando così la prima banca che non bisogna imparare ad usare.
You Might also like
-
La fiducia dei leader aziendali globali nella resilienza delle loro organizzazioni è in aumento, nonostante la pandemia
1 anno agoL’Unione Europea dispone di diversi programmi di finanziamento ed eroga fondi diretti o indiretti
-
La banca nell’era dell’intelligenza artificiale
5 anni agoBlockchain, cognitive computer, software robot: la rivoluzione digitale del credito cambia le regole del gioco. E in Italia c’è chi è in pole position
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Un cambiamento epocale. Quasi un salto quantico, quello che attende il settore bancario nei prossimi anni. Le trasformazioni che hanno interessato il credito nell’ultimo decennio sono solo l’antipasto della rivoluzione, indotta dall’avvento di nuove tecnologie, che sta radicalmente innovando il modello di business del comparto. Un’autentica frattura di sistema che sta già portando gli istituti a spingere gli investimenti nella digitalizzazione sia del back office (con lo sviluppo della gestione intelligente dei big data) sia del front office, con l’accentuazione del passaggio delle principali funzionalità bancarie, a disposizione del cliente, sui dispositivi internet mobili.Innovazione dietro l’angolo. A segnalare come la digital transformation del canale bancario attraverso la fintech (tecnologia evoluta applicata ai sistemi creditizi) sia un fenomeno in accelerazione è una recente ricerca dell’Idc, International data corporation. La società specializzata in ricerche di mercato spiega che, nonostante gli importanti cambiamenti che hanno interessato il mondo bancario negli ultimi dieci anni, la trasformazione alla quale lo stesso andrà incontro tra il 2017 e il 2020 sarà senza precedenti. Entro tre anni, infatti, le principali tecnologie identificate come disruptive, tra le quali blockchain, cognitive computing e software robot, saranno in uso presso il 50% delle banche di tutto il mondo. Non si tratta di uno scenario ipotetico ma di un quadro in un’avanzata fase di sviluppo. Il 95% delle banche mondiali ha, infatti, già aperto un cantiere per l’adeguamento tecnologico che non si traduce solo in investimenti, e dunque in un’innovazione di processo e di prodotto, ma si sostanzia nell’adozione di un nuovo paradigma. Non basta, infatti, integrare nuove tecnologie nel lavoro. Gli operatori devono affiancarvi servizi finanziari innovativi, riscrivere le modalità di interazione con i clienti, cambiare i modelli di gestione del core business.
Blockchain. Le novità non si limitano solo al web e ai canali alternativi di gestione del rapporto con la clientela. Le tecnologie sulle quali oggi si punta per aumentare l’efficienza del sistema sposano algoritmi avanzati che anticipano l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Uno dei campi più promettenti è quello del Blockchain, un sistema nato nell’alveo del Bitcoin, la criptovaluta per le transazioni digitali. Il suo funzionamento si basa su un database che sfrutta la tecnologia peer-to-peer per mantenere collegate, come in una catena, una lista crescente di record. Il sistema è aperto: chiunque può entrare e prelevare informazioni dall’elenco e diventare un “nodo” della rete che certifica i dati contenuti.
Nel caso del Bitcoin, il database è un libro contabile in cui sono registrate tutte le transazioni fatte nella moneta virtuale dal 2009 a oggi, e rese possibili perché approvate ogni volta dal 50%+1 dei nodi. Questo elimina il benestare delle banche per il via libera a una transazione economica. Lo stesso modello, estrapolato dal contesto originario, può essere utilizzato in altri gli ambiti. Per esempio per garantire il corretto scambio di titoli e azioni, per sostituire un atto notarile e per garantire la bontà di un sistema di votazione. Ogni transazione viene, infatti, sorvegliata da una rete di nodi che ne garantiscono la correttezza e ne mantengono l’anonimato.
Queste caratteristiche fanno del Blockchain un protocollo sicuro e inespugnabile sul quale incardinare transazioni con elevato grado di affidabilità e certezza. Per questo 40 banche hanno finanziato la nascita del consorzio R3 Cev che studia l’utilizzo della tecnologia nella piattaforma di pagamento internazionale e la definizione di regole di utilizzo negli scambi monetari. Al consorzio collaborano partner di alto livello come Microsoft Azure, Ibm e Amazon Aws e la presenza di questi big ha stimolato una crescita rapida degli investimenti nel comparto. Così il Blockchain ha le potenzialità per impattare su quasi ogni attività del settore finanziario e rivoluzionare, nel breve termine, il mercato dei pagamenti e del trade finance.Robot e software intelligenti. Ci sono altre aree di sviluppo tecnologico con le quali le banche dovranno necessariamente confrontarsi a breve. Una di queste è rappresentata dalle «tecnologie cognitive» già impiegate nell’ambito della finanza per risolvere le problematiche relative al rilevamento delle frodi o per fronteggiare gli attacchi di hacker ai sistemi informatici. Nel prossimo futuro gli stessi algoritmi saranno estesi anche, ad esempio, per semplificare la gestione dei prodotti finanziari da parte dei clienti. A questi strumenti si affiancheranno inoltre i nuovi software robot, cosiddetti bots, ovvero le tecnologie Rpa (Robotic process automation) le cui prime applicazioni sono già in uso in molte banche per gestire processi complessi sostituendosi all’uomo. I vantaggi che derivano sono principalmente l’abbattimento dei costi operativi, grazie alla riduzione degli errori di gestione, e l’incremento della soddisfazione dei clienti per la maggiore rapidità delle decisioni.
La fintech rappresenta dunque una nuova base sulla quale le banche potranno costruire le nuove architetture per l’analisi dei dati, l’automazione dei processi e la gestione dei processi decisionali. In breve tempo molte funzionalità dei sistemi ormai obsoleti saranno soppiantate dalle nuove pratiche accelerando, nel complesso, la trasformazione digitale del comparto finanziario.Automazione evoluta in agenzia. Non solo software avanzato e intelligenza artificiale. Le banche non possono rinunciare alla presenza fisica sul territorio attraverso le agenzie e le filiali. Ma anche in questo caso gli investimenti saranno indirizzati, principalmente, alla riqualificazione e all’aggiornamento evoluto delle modalità di contatto con la clientela. Le aziende di credito sono già oggi, per esempio, fortemente orientate alla gestione intelligente della rete di terminali bancomat per consentire un contenimento dei costi e soddisfare le esigenze della clientela sempre più evoluta. Le aziende che offrono business intelligence in questo settore offrono già soluzioni operative complete.
È il caso della Bassilichi di Firenze che ha recentemente presentato B.Fit, un modello di analisi che consente di dimensionare, ottimizzare e aumentare l’efficacia del canale bancomat. «La nuova suite B.Fit testimonia la propensione all’innovazione che ha sempre guidato le nostre scelte in 60 anni di storia per continuare a offrire soluzioni efficaci in grado di supportare i clienti nella gestione del business e nei processi di trasformazione dettati dall’evoluzione dello scenario competitivo», ha commentato Leonardo Bassilichi, l’amministratore delegato della società. B.Fit rende visibili quattro aspetti fondamentali di una rete di bancomat: la mappatura precisa e completa (geo-localizzazione, unità organizzativa, tipologie di terminali); la rappresentazione del volume di operazioni per terminale, per fascia oraria, per tipologia di operazione; la valutazione della probabilità di coda e la percentuale di abbandono da parte della clientela, con particolare riferimento agli orari a rischio, e la correlazione con il numero di terminali disponibili e, infine, l’analisi dell’obsolescenza del parco terminali in riferimento alla localizzazione, all’unità operativa, alla tipologia e alla correlazione con l’operatività. Il reporting è immediato e le analisi supportano la banca con indicazioni puntuali sui siti in cui è necessario intervenire. Grazie alle informazioni ottenute la banca può destinare nuovi bancomat per aumentare il tasso di automazione di siti con forte saturazione e potrebbe, invece, evitare di posizionare nuovi asset in aree con bassa frequenza di utilizzo.I player italiani. Anche se alle prese con ricapitalizzazioni importanti imposte dalle autorità europee per adeguarsi a nuovi standard patrimoniali, le istituzioni creditizie italiane non sono rimaste alla finestra nei processi di adeguamento delle loro strutture alla tecnologia più avanzata. Lo testimonia il rapporto The state of digital banking 2016 pubblicato da Forrester Research (società di ricerca di mercato leader mondiale sui temi digital) che ha indicato Intesa Sanpaolo, l’unica europea insieme a Bbva e CaixaBank, tra i sette player mondiali più evoluti in termini di profondità della trasformazione digitale intrapresa. Nel report, l’istituto guidato dall’ad Carlo Messina, è espressamente citato come un benchmark ed evidenziato come un caso di eccellenza internazionale. A Intesa Sanpaolo è stata riconosciuta «la chiara comprensione dei percorsi di acquisto e post-vendita e la superiore capacità di utilizzo dei dati disponibili con le quali ha saputo ridisegnare l’esperienza multicanale della clientela». La leva sulle tecnologie digitali per implementare una forte integrazione dei dati (reddituali, transazionali, comportamenti multicanale da fonti interne ed esterne) unita alla visione globale del cliente, ha permesso l’avvio di un vero approccio di real time marketing. In parallelo sono stati rivisti i processi, anche in filiale, per rispondere sempre più in tempo reale alle richieste della clientela e recuperare così efficienza. Il rapporto cita anche esempi concreti: sui prestiti personali e carte di credito circa il 25% delle erogazioni avviene ora in tempo reale, mentre un ulteriore 60% è chiuso in giornata. Da sottolineare anche che la velocità non è andata a discapito dei conti aziendali: nei primi undici mesi del 2016 l’introduzione del nuovo processo multicanale ha ridotto drasticamente il peso del credito problematico.
Al dinamismo digitale di Intesa Sanpaolo risponderà in tempi brevissimi Unicredit con l’avvio operativo di Buddybank, la banca nativa digitale del gruppo progettata a misura di smartphone. La partenza, che doveva avvenire il primo gennaio scorso, è stata posticipata e l’annuncio dello slittamento è arrivato dal responsabile del progetto, Angelo D’Alessandro, che per la comunicazione ha scelto uno strumento in linea con lo spirito della banca: un post sul social Instagram. Già dalla partenza, Buddybank si focalizzerà esclusivamente sul canale smartphone per offrire tre prodotti finanziari classici (il conto corrente, la carta di credito o debito e prestiti personali fino a 25mila euro) più un servizio di concierge via chat o telefono, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, che assisterà i clienti anche in operazioni quotidiane, quali la prenotazione di un ristorante, lo spostamento in taxi o la pianificazione di un viaggio attraverso una rete di partnership con altre startup o aziende. L’obiettivo è di raggiungere il break-even al terzo anno con 300mila clienti e un cost/income del 30% in cinque anni. Un’idea che potrebbe diventare esperienza di riferimento di un nuovo concetto di credito digitale in tutto il mondo. Secondo i piani di sviluppo a fine 2018 è previsto che Buddybank approdi negli Usa. «Partendo dalla California», ha spiegato alla presentazione ufficiale D’Alessandro che ha aggiunto: «Stiamo valutando con il top management altri paesi. Con la licenza italiana possiamo andare in due mesi in tutti i paesi Ue, ma pensiamo anche a Sudamerica, Asia e Africa».[/auth]
Post Views: 326 -
La difficile gestione dei crediti deteriorati
6 anni agoDi Non Performing Loans se ne parla ormai da anni, ma oggi più che mai il problema preoccupa governi, istituzioni, banche e operatori del mercato finanziario decisi a trovare una rapida ed efficace soluzione a un’incombenza di portata globale.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]A preoccupare l’intera comunità finanziaria europea sono gli ultimi numeri relativi alla percentuale dell’incidenza dei crediti inesigibili sul totale di quelli erogati. In Italia il dato si attesta intorno al 17%, cifra molto superiore rispetto ad altri paesi europei come Germania, Francia e Spagna che, insieme, non raggiungono il 15%. Questo ha rappresentato per il nostro Paese un campanello di allarme nei confronti di una situazione che necessita di immediati ed efficaci interventi normativi. In sintesi, i crediti deteriorati, detti anche Npls, sono crediti che la banca vanta verso soggetti terzi, i quali, trovandosi in uno stato di insolvenza e non potendo restituire le somme prese in prestito, non ne garantiscono il rimborso. Di conseguenza le banche devono raccogliere il capitale necessario per coprire questa eventuale assenza di pagamento, rischiando la bancarotta in caso di mancata copertura. Numerose sono state le proposte pensate dal Governo italiano ed esposte all’Unione Europea per risolvere il problema e ridurre la portata dei crediti in sofferenza. In primis, il progetto di una bad bank. Progetto che, basandosi all’origine su risorse pubbliche e rischiando quindi un aumento del prezzo di mercato dei crediti, non ha incontrato i favori di Bruxelles, da sempre ostile agli aiuti di Stato. Successivamente c’è stata la proposta, questa volta accolta dall’Ue, di una Garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze bancarie (Gacs): un sistema che permetta alle banche italiane di cedere i propri crediti deteriorati a nuovi veicoli finanziari creati per ciascun istituto, che potranno rivendere i crediti attraverso l’emissione di un titolo cartolarizzato coperto da una garanzia pubblica. A questi si è aggiunta la terza strada, che alla fine ha avuto la meglio, ritenuta da molti una via di mezzo fra una bad bank e un fondo di solidarietà per garantire gli aumenti di capitale delle banche creditrici. Si tratta di Atlante, il fondo d’investimento alternativo gestito da Quaestio Sgr e varato l’11 aprile scorso, il quale, con una dote di 5 miliardi di euro aumentabili fino a 6, si prefigge l’obiettivo di sostenere la ricapitalizzazione delle banche italiane e favorire la cessione delle sofferenze. Dei rischi, delle incertezze e delle difficoltà relative alla complessa questione dei Non Performing Loans e ai vari strumenti proposti se ne è parlato alla tavola rotonda di Le Fonti dal titolo «Banche e imprese: la gestione dei crediti deteriorati», moderata da Angela Maria Scullica, direttore responsabile delle testate economiche del gruppo. Alla tavola hanno partecipato: Alberto Del Din di Paul Hastings; Giulia Battaglia di Chiomenti; Umberto Mauro di Norton Rose Fulbright; Matteo Bascelli di Cba Studio Legale e Tributario; Fabrizio Colonna di Stelè Perelli Studio Legale; Oliviero Cimaz dello studio Biscozzi Nobili e Vieri Bencini Ceo di Sigla.Al problema dei crediti deteriorati il Governo ha risposto con varie soluzioni. Oltre alla bad bank, quali altri strumenti sono stati proposti al fine di arginare la crisi?BASCELLI Siamo di fronte a una situazione che pretende soluzioni sistemiche e innovative. Una recente variante introdotta per evitare che lo Stato subisca costi di processo ed scongiurare in tal modo la censura degli aiuti di Stato, è rappresentata dalla costituzione di bad banks per ciascuna banca o per pluralità individuata di banche in crisi, come avvenuto per le quattro banche commissariate Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. In questi casi, nella/e bad bank/s, priva/e di licenza bancaria e posta/e in liquidazione coatta amministrativa, sono concentrati in forma di contenitore/i i prestiti in sofferenza che residuano una volta fatte assorbire le perdite dalle azioni e dalle obbligazioni subordinate e, per la parte eccedente, da un apporto del cosiddetto Fondo di Risoluzione (previsto dalle norme europee con la Direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie – BRRD, recepite nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 180/2015, amministrato dall’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia ed alimentato con contribuzioni di tutte le banche del sistema), mentre alla parte buona (banca-ponte o bridge bank) sono conferite tutte le attività diverse dai prestiti in sofferenza, nonché i depositi, i conti correnti e le obbligazioni ordinarie. Sempre con il fine di smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari, il Governo ha recentemente introdotto con il D.L. 18/2016 le regole che definiscono la concessione di garanzie dello Stato nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza (cosiddette Gacs). Lo Stato garantirà in questa tipologia di operazioni soltanto le tranche senior delle cartolarizzazioni, cioè quelle più sicure, in quanto destinate a sopportare per ultime, rispetto alle tranche più rischiose (junior e mezzanine) le eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese.DEL DIN Il tema della bad bank è un tema su cui si lavora da oltre quattro anni, ci sono delle banche che hanno dichiarato da tempo che non avrebbero aderito alla bad bank pubblica e hanno scelto delle strade autonome e diverse, ad esempio scegliendo per le grandi esposizioni creditizie di costituire delle piattaforme di investimento con l’adesione degli operatori professionali che si propongono l’obiettivo di valorizzare il sottostante attraverso processi di turn-around e ristrutturazione industriale e finanziaria, accompagnati dall’erogazione di nuova finanza. Ovviamente in questo caso stiamo parlando di portafogli che non sono granulari, ma di loans di importi rilevanti e che richiedono l’elaborazione di strategie di valorizzazione che non può essere fatta su posizioni granulari. I progetti di bad bank tre, quattro anni fa erano progetti che tendevano ad aggregare banche di piccole e medie dimensioni per poter creare delle masse critiche attraverso il conferimento a valori IAS compliant dei propri crediti in sofferenza. Questi progetti privati contemplavano infatti che una molteplicità di banche conferissero i propri Npl (a valori IAS compliant) potendo deconsolidare ai fini contabili e creando una massa critica che, gestita da servicers adeguati alle dimensioni complessive dei portafogli ceduti alla bad bank, avrebbe potuto consentire un efficientamento del servicing e la creazione di un track record sulle performance dei predetti portafogli che avrebbero potuto facilitare una corretta valutazione da parte dei potenziali investitori interessati ad acquistare i portafogli Npl di tali banche. Questi progetti non hanno avuto al tempo il necessario seguito e non sono quindi stati all’epoca realizzati.BATTAGLIA È sicuramente importante la distinzione tra banche grandi e banche piccole, ma il mercato a mio avviso va suddiviso più tra le operazioni su crediti di grandi dimensioni e di dimensioni medio-piccole. Sulle esposizioni di grandi dimensioni possono esistere soluzioni tecniche basate su una gestione del singolo credito su base individuale e che sono state avviate ma sono soluzioni che funzionano o funzioneranno solo per i crediti deteriorati per i quali vale la pena di fare uno sforzo di strutturazione, valutazione, di analisi sia da parte di un eventuale investitore in equity che delle banche, quindi solo per quelli di importo molto elevato. C’è poi tutto un altro mondo che è quello dei portafogli frammentati e delle esposizioni verso le medie imprese che può essere trattato solamente come “massa” e lo strumento ideale per affrontare il problema di queste esposizioni è tramite una cartolarizzazione o una cessione, appunto, in massa. La garanzia dello Stato per agevolare la cartolarizzazione, (vale a dire il trasferimento del rischio al di fuori del sistema bancario), è uno strumento che funziona solo se i portafogli vengono venduti a prezzi di mercato e quindi tendenzialmente solo su portafogli che siano già stati ampiamente svalutati (il che accade per i portafogli di crediti molto piccoli ma non sempre per i crediti verso le medie imprese). Mentre per i crediti grandi esistono quindi delle possibili soluzioni privatistiche, che non implicano l’intervento dello Stato, per i portafogli già svalutati di crediti molto piccoli da gestire “in massa” sono ipotizzabili cartolarizzazioni e Gacs, per i crediti “medi” c’è un gap tra domanda e offerta, ovvero tra prezzo al quale il mercato sarebbe disposto a rilevare i crediti in sofferenza e i prezzi ai quali le banche sarebbero disposte a vendere, che al momento non sembra colmabile se non con un intervento pubblico.BENCINI Concordo che il Gacs, che ha lo scopo di rendere maggiormente vendibile la tranche senior della cartolarizzazione, funziona solo e soltanto con una struttura di capitale in cui si riesca a convincere gli investitori junior che i cash flow in sette-otto anni sono sufficienti a dare un ritorno del 13-15%. C’è un forte gap tra valore a bilancio e valori che sono effettivamente percepiti dal mercato, però secondo me il gap è minore sui crediti piccoli, perché sono quelli più facilmente trattabili e recuperabili. Su di essi la banca ha dei processi di accantonamento che sono più routinari e con carattere di maggiore oggettività perché fatti su base statistica. Il mercato, che sta crescendo fortemente, è quasi tutto sui crediti di piccolo taglio ed è lì che le banche hanno fatto il lavoro più strutturato di coprire e ridurre quel gap tra domanda e offerta.Qual è la situazione dal punto di vista fiscale?CIMAZ Il problema che noi fiscalisti riscontriamo, nel momento in cui ci poniamo dal lato delle banche, è quello delle svalutazioni o perdite sui crediti. Le implicazioni fiscali le valutiamo in base a quelle che sono le situazioni e le politiche di bilancio delle banche. Tradizionalmente era riscontrabile una grande distinzione tra le svalutazioni e le perdite su crediti, laddove vi era il timore che la svalutazione venisse gonfiata per ridurre le imposte. Oggi l’esigenza è invece completamente opposta. L’anno scorso è stato emanato un altro provvedimento che ha attutito queste differenze. Le regole che si applicheranno comportano una sfumatura della differenza tra le svalutazioni e le perdite su crediti: oggi le svalutazioni sono deducibili in quanto appostate in bilancio in conformità con i regimi contabili applicabili. Andando a ritroso nel tempo è possibile riscontrare come, inizialmente, fosse presente la regola che prevedeva che le svalutazioni fossero al massimo pari allo 0,50% dei crediti, ma successivamente ci si è accorti che la regola non aveva senso per le banche e quindi c’è stata un’apertura alla regola della deducibilità in diciotto anni. Il concetto era: rimane questo zoccolo dello 0,50% (poi ridotto allo 0,30%), tutto quello che viene in più si ripartisce su diciotto esercizi. In seguito, nel 2013, la regola è nuovamente cambiata, passando a cinque esercizi, il che significa che in banca abbiamo residui che si riportano su 18, oppure 9, ed infine 5 esercizi. Attualmente, invece, è tutto parificato, di conseguenza, in futuro, la regola sarà che svalutazioni e perdite su crediti andranno dedotte nello stesso esercizio. A governare sono i principi contabili e le impostazioni di bilancio.Qual è la posizione dell’Italia rispetto al resto dell’Europa nell’affrontare il problema dei crediti deteriorati?MAURO Come è stato accennato in precedenza, siamo arrivati un po’ in ritardo rispetto ad altri paesi europei. C’è un tema di fondo, che riguarda il timore che la garanzia sui crediti in sofferenza sia un’arma spuntata. Forse si potrebbe recuperare qualcosa con le servicing fee, soprattutto per i crediti di taglio minore, in cui l’incidenza della servicing fee può essere più alta, in modo da attenuare la differenza tra prezzo richiesto e prezzo offerto (peraltro la nuova normativa sulla garanzia impone che l’attività di servicing venga svolta da un soggetto diverso dalla banca cedente). Il problema si estende anche a problemi strutturali di fondo come la lentezza giudiziaria nel recupero dei crediti e nelle procedure concorsuali. Inviterei il legislatore a non fermarsi alla garanzia, limitata nel tempo a diciotto mesi, eventualmente prorogabile, ma ad intervenire su aspetti più importanti, ovvero sullo snellimento delle procedure di recupero dei crediti.COLONNA Riprendendo il tema della posizione dell’Italia e della lentezza operativa, mi viene in mente quello che è accaduto dal Governo Monti in poi, con il dialogo con la World Bank per il Doing Business che finalmente ha messo attorno a un tavolo tutti coloro che collaboravano per capire sia la questione della lunghezza del recupero crediti sia il tema dell’enforceability dei contratti, ovvero varie facce di una stessa medaglia. Proprio in questo contesto, per la prima volta, è stato compreso che quello dei recuperi crediti è un problema, originato in primis dalla lentezza e dall’incertezza della procedura. Il male del nostro Paese, a mio avviso, è che non conosciamo bene il “come” e il “quando” delle varie procedure, e ciò pone l’Italia in uno scalino inferiore rispetto ad altri paesi simili.BASCELLI Vengono sempre più ad affacciarsi sul mercato degli Npl quelli che la dottrina ha già battezzato come fondi d’investimento “di ristrutturazione”, cioè fondi assimilabili, per certi versi, a quelli già noti di private equity che raccolgono il patrimonio che andranno a gestire mediante le cessioni/conferimenti dei crediti deteriorati attribuendo alle banche cedenti/conferitarie quote del fondo stesso. La caratteristica fondamentale di queste ultime soluzioni sta nel diverso approccio di gestione, fortemente dinamico, dei crediti così ceduti/conferiti, rispetto a quanto si assiste nei casi delle bad banks e delle mere cartolarizzazioni. In particolare, guardando l’operazione anche nell’ottica della società debitrice, è innegabile che la concentrazione in un nuovo ed unico soggetto interlocutore (i.e. la società di gestione del fondo cessionario) rispetto alla pletora indistinta dei creditori cedenti (ossia le varie banche con distinte posizioni di credito), la discontinuità manageriale che la nuova gestione potrà garantire attraverso l’inserimento di figure professionali adeguate, la possibilità di apportare tramite appositi comparti, nuova finanza nonché le capacità di networking tipiche di un fondo di investimento, rappresentino caratteristiche che fanno immediatamente intuire il diverso grado di successo che tali soluzioni, definibili di vero e proprio turnaround, possono avere. Le banche cedenti/conferenti, da parte loro, avranno il vantaggio, a determinate condizioni, di una derecognition dei crediti ceduti a fronte delle quote del fondo ricevute quale “corrispettivo” della cessione, con diverso grado di “assorbimento” del patrimonio di vigilanza, potendo al contempo contare sull’auspicato futuro ritorno da investimento e recuperando in tal modo, almeno in parte, lo “sconto” applicato in fase di cessione. Tale ultimo aspetto potrebbe peraltro aiutare a superare una delle ragioni che attualmente paiono maggiormente ostative per una vera e propria partenza del mercato degli Npl in Italia, ossia il forte divario attualmente esistente tra i valori bid (ossia i valori che i menzionati operatori attribuiscono ai crediti deteriorati e ai quali sono disposti a comprarli) e quelli ask (ossia i valori ai quali le banche sono disposte a cedere i medesimi crediti).Quali sono state le conseguenze dell’esplosione dei crediti deteriorati per il tessuto imprenditoriale?MAURO La conseguenza più grave dell’esplosione dei crediti in sofferenza e quindi del peggioramento dei bilanci delle banche, è stata la contrazione dei crediti alle imprese. Questo problema c’è stato anche in altri paesi e ha determinato lo sviluppo del cd. shadow banking, cioè la disintermediazione bancaria. In questo contesto sono stati riconosciuti da molti ordinamenti nuovi player, tipicamente fondi, imprese di assicurazione, e società per la cartolarizzazione. L’Italia è arrivata in ritardo anche in questo caso.BATTAGLIA Nel primo momento in cui c’è stata la liberalizzazione e l’apertura ai lender alternativi, e quindi l’eliminazione della ritenuta dall’estero, l’apertura ai fondi di credito era un momento in cui le imprese italiane avevano un problema enorme di accesso al credito. Adesso siamo nella situazione contraria dove coloro da proteggere sono le banche che non riescono a impiegare i propri fondi; quindi in una situazione di tassi a zero in cui l’accesso al credito è più facile, è più importante dare una mano alle banche che alle imprese, che sono aiutate dai tassi molto bassi. Tornando al mio intervento precedente, l’analisi su quali sono le aree deboli dei portafogli bancari si riferiva non tanto al microcredito, ma a quei crediti che non vengono trattati nelle joint venture, ma sono comunque di importo elevato. Per tornare al servicing dei crediti, posso affermare che il servicing del credito elevato viene affrontato da solo in autonomia, il servicing del credito piccolo comporta delle procedure di recupero lunghe e banali, mentre la fascia di mezzo non è gestita. Proprio per quest’ultima sarebbe necessario implementare delle strategie che esistono già in altri paesi ma che in Italia sono poco note.BASCELLI Paiono maturi i tempi per risolvere alcune storture di sistema e rompere alcuni tabù, la cui permanenza parrebbe da attribuirsi a resistenze culturali e preoccupazioni politiche, piuttosto che ad irrinunciabili ragioni di tutela e salvaguardia di sistema. Si pensi, ad esempio, alle difficoltà operative che conseguono dalla (a dir poco) confusa normativa in tema di anatocismo (che attende ancora oggi le determinazioni tecniche del Cicr) e alle intrinseche limitazioni poste dalla Legge 108/1996 in materia di contrasto all’usura, la cui necessità di superamento, a determinate condizioni, è emersa solo con i cosiddetti Decreti “Sviluppo” e “Sviluppo bis”, in occasione della previsione dei minibond. A tale ultimo proposito – pur sempre avendo cura di preservare il sistema da fenomeni “patologici” e criminosi – nuove deroghe potrebbero essere pensate, ad esempio, per le Gacs alle relative tranche junior e mezzanine e per i menzionati fondi di ristrutturazione ai relativi comparti di nuova finanza, i quali, in quanto maggiormente rischiosi, pretendono remunerazioni più elevate di quelle di mercato. Ancora, l’ordinamento italiano attende da anni l’adeguamento del sistema garantuale, rigidamente ancorato ai principi di tipicità, di spossessamento e di non rotatività, salvo rare eccezioni come quelle introdotte con la disciplina sulle “garanzie finanziarie”.DEL DIN Non per spezzare una lancia a favore della Banca d’Italia, ma culturalmente l’Italia è diversa dal mondo anglosassone: nel nostro contesto storico, politico e sociale, la Banca d’Italia si pone a mio avviso il problema dell’apertura indiscriminata della possibilità di fare finanziamenti perché in Italia le piccole e medie imprese sarebbero le prime a subire le conseguenze negative di un ampliamento indiscriminato della facoltà di erogazione del credito a soggetti non istituzionali o comunque in assenza dei presidi ad oggi esistenti a tutela degli stessi debitori. Anche i minibond, per cui c’è stato un grande entusiasmo iniziale, hanno avuto un esito diverso da quello atteso.COLONNA Partiamo con il dire che la garanzia dello Stato non poteva garantire tutto, altrimenti sarebbe stato un aiuto di Stato. È un dato di fatto che in questo momento c’è la possibilità di accedere facilmente al credito bancario, ma le banche non guadagnano più come una volta sullo spread sul differenziale tra raccolta e impieghi, che costituiva un tempo il piatto ricco delle banche retail. In Italia le banche che ci hanno provato ma non sono state in grado di fare investment banking, si scontreranno poi con lo scoglio del fintech, con l’uso di determinati strumenti di pagamento che allargheranno la platea dei players. In questo modo si riducono i margini di guadagno e c’è una massa di crediti deteriorati e una platea di soggetti che rischia di sfuggire anche al controllo della vigilanza, pensiamo anche al tema dello shadow banking. Da qui ci sarà una dicotomia tra tutta una serie di soggetti già autorizzati e quindi vigilati che probabilmente manterrà l’hub in Italia (si pensi alle principali banche), mentre numerosi altri soggetti entreranno in questo mercato anche e soprattutto dall’estero, e saranno difficilmente monitorabili e rintracciabili dai soggetti preposti. Per quanto riguarda le tranche junior, senior e mezzanino, mi chiedo le tranche non garantite che appetibilità hanno per l’investitore estero? Ritengo che ci voglia la certezza del diritto per invogliare gli stranieri a investire in questo mercato.Che possibilità ci sono, nella gestione dei crediti deteriorati, di rivolgersi anche a investitori esteri?BENCINI Dal mio osservatorio, oggi sono gli investitori stranieri che prevalentemente stanno comprando e che poi allocano ai diversi servicer gli asset in modalità diversa. A mio parere, dunque, il 90% dei flussi di investimento viene dall’estero e solo il 10% proviene dall’Italia.MAURO In Italia c’è un tema molto stringente: l’attività di acquisto crediti è un’attività finanziaria a tutti gli effetti, regolamentata, pertanto limitata a certi soggetti. Vorrei ricordare che, per i crediti deteriorati è stata fatta un’apertura l’anno scorso consentendo a certe condizioni alle società che svolgono l’attività di recupero crediti, e che tecnicamente non sono degli intermediari finanziari, di acquistare tali crediti deteriorati da banche o intermediari finanziari.BATTAGLIA Sono d’accordo che nel medio-lungo periodo è necessaria una modifica nell’atteggiamento del legislatore italiano, in modo che diventi più creditor friendly; al momento quello che noi vediamo da operatori del diritto, è uno spostamento verso garanzie di diritto straniero, per cui per esempio su alcuni asset, come le navi, le banche straniere richiedono che tali asset siano conferiti in società che non siano italiane, con un’ipoteca non di diritto italiano, ovvero che le partecipazioni in società italiane siano trasferite a SPV lussemburghesi o irlandesi per avere la certezza di poter escutere il pegno in caso di necessità.DEL DIN Esiste l’esigenza primaria di supportare i valori dei crediti in sofferenza attraverso una riforma che modifichi in modo più radicale il processo di esecuzione forzata allo scopo di velocizzare i tempi di recupero dei crediti in sofferenza, per poter ridurre il gap tuttora esistente tra domanda e offerta e sbloccare quindi il mercato delle sofferenze bancarie. Per i crediti unsecured il mercato si è rivalutato e si è mosso in qualche modo, mentre per le sofferenze ipotecarie non c’è una soluzione immediata. Io credo appunto che la soluzione più incisiva sia quella di modificare ancora le procedure esecutive e in modo più drastico per consentire, ad esempio, alle banche la repossession sulle sofferenze già esistenti. Ciò consentirebbe un recupero più breve, permettendo alle banche di poter valutare in modo più adeguato i crediti garantiti da ipotecari. Il punto è che bisogna operare con una certa urgenza. Il mercato immobiliare è tra quelli più colpiti perché la congiuntura economica sfavorevole non dà segni di sensibili miglioramenti nel breve.Qual è il vostro giudizio conclusivo sul provvedimento relativo ai crediti deteriorati?DEL DIN La Gags è uno strumento assolutamente utile, ma non risolutivo perché siamo di fronte a una malattia grave e questo strumento da solo non può sbloccare il mercato delle sofferenze.BATTAGLIA Dati i vincoli a disposizione e la necessità di conformarsi a quelli che erano i dettami della comunità europea in termini di aiuti di Stato, è stato fatto probabilmente il provvedimento migliore possibile. Chiaramente perfettibile in alcuni piccoli aspetti, ma tecnicamente il giudizio è positivo.COLONNA Diciamo che il provvedimento è una condizione necessaria ma non sufficiente, e come tale va considerato. Mantengo un punto interrogativo sulla conversione e sulle novità che comporta. Certo è che si è consolidato un trend di apertura verso mondi giuridicamente e culturalmente diversi dal nostro, che abolisce tutti i confini territoriali creando un mercato unico e vasto, che va verso una uniformità di soluzioni.MAURO Anche secondo la mia opinione non era possibile fare di più, nel rispetto della normativa sugli aiuti di Stato. Ora mi auspico che si intervenga sullo snellimento delle procedure giudiziarie ed esecutive. Infine credo che se si vuole risolvere il problema dei crediti in sofferenza non ci si debba rivolgere soltanto all’istituto di garanzia, ma siano necessari altri interventi in altri ambiti.BASCELLI Personalmente mi sento di esprimere un giudizio complessivamente positivo circa gli interventi normativi sinora posti in essere nel tentativo di contrastare il protrarsi della congiuntura economica sfavorevole, convinto al contempo che le regole debbano avere anche il tempo per potersi consolidare tramite la loro applicazione pratica, prima di essere eventualmente integrate e/o riformate.BENCINI Concordo sul fatto che di più non si poteva fare visti i vincoli europei, e credo che il governo e la Banca d’Italia spingano nella direzione di consolidare il sistema bancario attraverso un processo di aggregazione di banche piccole e grandi. Solo un sistema bancario forte potrà svalutare correttamente i crediti deteriorati e mettere di nuovo le banche nelle condizioni di erogare e finanziare l’economia.CIMAZ Lo Stato non può sostituirsi alle banche, ci sono delle regole che permettono agli operatori di lavorare nel rispetto delle leggi e quello che ho colto dagli esperti di diritto bancario è che qualcosa di buono è stato realizzato, ma la complessità delle procedure esecutive e il ritardo dell’Italia su quanto avviene nel resto d’Europa lascia perplessi.Federica Chiezzi[/auth]Post Views: 344