Spectrum Markets, il mercato pan-europeo per i certificates, ha deciso di dare un contributo concreto a due importanti associazioni impegnate nella lotta alla povertà.
Spectrum ha infatti deciso effettuare delle donazioni destinate alla francese Premiers de Cordée e Caritas Association, attiva a Francoforte e Cracovia. Oltre ad un contributo finanziario, la Caritas Association di Francoforte e Premiers de Cordée riceveranno dei regali per i bambini.
La Caritas Association userà i soldi derivanti dalla donazione e i regali ricevuti per supportare le famiglie in difficoltà. Premiers de Cordée consegnerà invece i doni ai bambini ricoverati, mentre i finanziamenti saranno destinati al progetto “Station 4”. Si tratta di uno strumento in grado di agevolare l’inserimento dell’esercizio fisico nella routine dei pazienti, permettendo loro di avere sessioni di allenamento individuali e regolari nella loro stanza. Station 4 rappresenta un valido supporto per la riabilitazione, la mobilità e la perdita di peso.
Nicky Maan, CEO di Spectrum Markets dichiara: “Quest’ultimo anno si è dimostrato sfidante per tutti noi e specialmente per le famiglie in difficoltà finanziarie e per i bambini ricoverati. Se il Natale rappresenta di solito un momento di unione con i propri cari, quest’anno dovremo minimizzare i contatti per prevenire la diffusione del Covid-19. Noi di Spectrum abbiamo voluto contribuire a regalare un Natale di gioia, nonostante le restrizioni. Abbiamo dunque deciso di effettuare delle donazioni ad organizzazioni che supportano coloro che ne hanno bisogno, dalle famiglie ai bambini negli ospedali”.
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Pronti ad affrontare le nuove sfide
3 anni agoDa un lato il boom dei Pir, dall’altro l’arrivo della Mifid 2. L’industria del risparmio gestito corre ed è in grande trasformazione
L’industria del risparmio in Italia è in piena trasformazione. Da una parte la rivoluzione dei Pir che sostiene l’economia reale, dall’altro la Mifid 2 che entrerà in vigore a gennaio. Come si stanno attrezzando le società? Quali sono i pericoli e quali le opportunità? World Excellence ne ha parlato con Massimo Mazzini, responsabile marketing e sviluppo commerciale di Eurizon.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Il primo semestre di Eurizon è stato molto positivo: che cosa prevedete per la seconda metà dell’anno?
Il patrimonio gestito di Eurizon lo scorso giugno ha raggiunto per la prima volta i 300 miliardi, in crescita del 4% rispetto a dicembre e del 9% su giugno 2016. Includendo anche la partecipata cinese Penghua si arriva a 374,3 miliardi. I primi dati sul secondo semestre confermano una crescita della raccolta netta sia domestica sia internazionale. A luglio siamo arrivati a 3,061 miliardi di euro, circa il 30% del totale in Italia (fonte Assogestioni), principalmente indirizzata su fondi multi-asset flessibili (55% della raccolta netta di luglio) seguiti da obbligazionari e azionari. Negli ultimi mesi anche a livello istituzionale Eurizon è cresciuta in maniera significativa attraverso l’acquisizione di mandati di gestione (2,17 miliardi di raccolta netta). Fondi pensione, casse di previdenza, assicurazioni e fondazioni nel definire gli investimenti devono tener conto di variabili sempre più complesse e numerose (passività, vincoli normativi etc.) e condizioni di mercato difficilmente prevedibili. Il nostro gruppo fornisce soluzioni di investimento ottimizzate per ciascun cliente in grado di adattarsi alle diverse condizioni di mercato.
Quali sono i vostri prodotti di maggior successo e perché sono tanto graditi?
Si conferma la crescita delle strategie multiasset e multistrategy e il deflusso dai mercati obbligazionari con particolare riferimento alle scadenze monetarie. Tra i nuovi portafogli multiasset ci sono i fondi Pir, la grande novità del 2017 di cui siamo stati tra i principali promotori. Eurizon ha lanciato i primi strumenti a febbraio raggiungendo 1,2 miliardi di raccolta a fine semestre tra fondi retail e soluzioni per la clientela istituzionale. I risparmiatori, spinti principalmente dai benefici fiscali, hanno avuto la possibilità di investire in strumenti ben diversificati che hanno mostrato finora un buon andamento di performance.Che cosa c’è al di là dei Pir?
Eurizon continua a crescere anche nella gestione della componente obbligazionaria, grazie a un track record consolidato e alla rilevanza delle masse gestite, con particolare riferimento a scelte d’investimento specifiche come high yield e mercati emergenti. Sull’azionario vengono privilegiate le soluzioni flessibili in grado di ridurre la volatilità e le oscillazioni del portafoglio. Puntiamo molto anche sulle aziende sostenibili. Crediamo inoltre che il successo del risparmio sia legato alla capacità di creare un legame diretto con l’economia reale. Per questo oltre ai Pir abbiamo lanciato una strategia specifica che investe nel credito strutturato.Avete nuovi prodotti in arrivo?
Nei primi sei mesi abbiamo lanciato 53 nuovi prodotti, di cui 46 di diritto italiano, dedicati sia alla clientela istituzionale che a quella retail e, nella seconda metà dell’anno, proseguiremo con l’innovazione di prodotto, per rispondere alle esigenze dei clienti. Inoltre i nostri collocatori, per rispondere alle nuove regole, stanno maggiormente diversificando i target per calibrare meglio l’offerta. Stiamo quindi definendo nuove strategie che si differenziano per stile di gestione, profilatura di rischio e orizzonte temporale.L’industria del risparmio continua a tirare. In sette mesi la raccolta ha già superato quella di tutto il 2016: quali sono le ragioni del boom e le prospettive: durerà ancora per molto?
L’industria nel primo semestre ha superato i 2mila miliardi di patrimonio con flussi netti complessivi da inizio anno di 56,5 miliardi. A luglio la raccolta è cresciuta di altri 10 miliardi. Un traguardo che conferma la solidità del settore e la centralità per il Paese, con ruolo più ampio di supporto all’economia reale. Il mondo della gestione ha saputo conquistarsi sempre più la fiducia dei risparmiatori sviluppando insieme ai distributori un modello di servizio che vede i diversi attori più vicini al cliente. Il dialogo continuo tra produttore-distributore-cliente ha aiutato a valorizzare i capitali in gestione. Ci sono spazi di crescita: lo stock investito in fondi ha un peso del patrimonio sul Pil intorno al 40%, minore rispetto alla media europea. L’Italia dovrà sicuramente crescere negli investimenti legati alla previdenza complementare. Crediamo che i futuri sviluppi europei normativi come i Pan-European Personal Pensions possano rappresentare un ulteriore stimolo di crescita.Quali sono le sue previsioni?
L’industria del risparmio gestito è legata a doppio filo con l’andamento dei mercati finanziari: il 2017 si è dimostrato, a oggi, un anno ancora nel complesso positivo anche se sono state fortemente penalizzate le gestioni che puntavano a una significativa diversificazione valutaria. Nel futuro dobbiamo offrire strumenti in grado di trarre vantaggio dai cambiamenti delle politiche monetarie e di modificare i portafogli in maniera flessibile. L’innovazione di prodotto e il continuo lavoro di consulenza e dialogo con i nostri clienti rimangono le leve su cui lavorare.Come mai questo successo per l’industria del risparmio anche se Mediobanca si ostina a parlare di rendimenti molto bassi per il complesso dei fondi italiani?
L’industria negli anni è stata in grado di apportare valore aggiunto, rinnovandosi con differenti soluzioni in risposta alle esigenze di una clientela sempre più sofisticata. I risparmiatori hanno mostrato sempre un approccio molto conservativo concentrando i patrimonio per lo più sul debito pubblico italiano. La compressione dei rendimenti li ha costretti a valutare investimenti alternativi. I gestori e i distributori, mappando correttamente le aspettative dei clienti, li hanno indirizzati per lo più su strategie di investimento diversificate a profilatura di rischio conservativa/moderata. Queste scelte si sono dimostrate in grado di consegnare performance interessanti se corrette per il rischio, comunque nella maggior parte dei casi superiori ai tassi impliciti dei titoli di Stato. Inoltre i clienti grazie all’industria del risparmio gestito hanno avuto accesso, per il giusto peso, a investimenti che hanno ben performato e che difficilmente possono essere acquistati con un buon grado di diversificazione con il fai da te (high yield, emerging market bond etc.)
Le sfide in corso si chiamano Pir e Mifid 2. Cominciamo dai Pir visto che siete stati i primi a partire e siete una delle Sgr più forti in questo settore: il successo è frutto solo dello sgravio fiscale o c’è dell’altro?
Sicuramente il vantaggio fiscale rappresenta uno stimolo importante ma crediamo non sia l’unica ragione del successo dei Pir. Come Eurizon siamo stati i primi a partire, ma dobbiamo riconoscere alla maggior parte degli operatori di aver interpretato lo spirito della riforma nel modo corretto. II Pir oggi presenti sul mercato rappresentano una risposta al cliente che può investire in società italiane delegando la gestione a un professionista e può ottenere per una componente importante la diversificazione anche su altri mercati. In ultimo non credo vada dimenticata l’opportunità di sostenere l’economia italiana. Troviamo una risposta positiva dai clienti anche sulla necessità di diluire l’investimento in cinque anni che consente di ridurre il rischio di ingresso nei mercati che spesso rappresenta un ostacolo all’investimento. Le performance del mercato italiano hanno sicuramente supportato la raccolta e il successo del prodottoNon c’è il pericolo che i Pir facciano la fine di una Ferrari su una strada di campagna: troppo potenti per il tracciato a disposizione e quindi a rischio incidenti?
I Pir, per i vincoli di investimento imposti, almeno il 70% in strumenti finanziari emessi da imprese italiane (o con stabile organizzazione in Italia) e di questa percentuale almeno il 30% in aziende non quotate nell’indice Ftse Mib (o equivalenti), hanno l’obiettivo di esporre l’investimento principalmente al sistema Italia. Per questo è opportuno scegliere fondi ben strutturati che utilizzano il patrimonio rimanente come diversificazione per migliorare il profilo rischio/rendimento. Non parlerei di bolla o di pericolo speculazione. L’indice Mid Cap e il segmento Star hanno visto un significativo aumento delle transazioni con un miglioramento delle quotazioni. Dobbiamo però notare che tale miglioramento ha colmato il gap di valorizzazione strutturale che le aziende italiane avevano rispetto alle concorrenti europee. Quindi, allo stato attuale, possiamo parlare piuttosto di supporto alla normalizzazione delle quotazioni di queste aziende e non di eccessi. Il segmento Star in particolare, per il rapporto favorevole flussi/capitalizzazione, sarà quello che continuerà maggiormente a beneficiare di questa iniziativa e a poter offrire un sufficiente grado di liquidità e trasparenza (rendicontazione trimestrale, copertura della ricerca dei broker etc.). Inoltre le Pmi rimangono la parte più viva dell’economia italiana, in molti casi assistiamo a crescite a doppia cifra delle esportazioni.Poi c’è l’Aim: fino a sei mesi fa fratellino povero di quello di Londra. Ora sembra diventato adulto troppo in fretta, non crede?
Anche gli scambi sul mercato Aim Italia hanno avuto effetti positivi grazie all’introduzione dei Pir, raggiungendo la soglia di 1 miliardo di euro in soli sette mesi e triplicando quindi il valore dello scorso anno (295 milioni totale 2016). È cresciuto anche il numero delle nuove quotazioni che è già superiore al totale raggiunto nel 2016.Come vi state attrezzando per l’arrivo della Mifid 2?
Eurizon ha già da tempo sviluppato le procedure e presidi per garantire un’operatività adeguata alla normativa Mifid 2 nelle principali aree in cui è coinvolta: trasparenza, incentivi e product governance. Abbiamo inoltre istituito una squadra interna per supportare gli intermediari nostri partner nell’adempimento degli obblighi di trasparenza e di rendicontazione al cliente prima e dopo l’investimento. Eurizon, sostanzialmente, adotta da oltre un anno un processo di product governance in linea con i principi definiti dalla Mifid 2, nella definizione del target market, nel product design e product testing e nella definizione e monitoraggio della strategia distributiva e post vendita.Da gennaio davvero non ci sarà più pericolo per i risparmiatori?
L’industria italiana, anche grazie all’attività degli organi di vigilanza, non ha mai generato casi o situazioni di pericolo per i risparmiatori. Il livello di trasparenza e tutela dei clienti è stato da sempre molto elevato. La norma prevede sicuramente un’omogeneizzazione della rendicontazione che renderà più facile al cliente valutare risultati e costi. Questo comporterà maggiore concorrenza sugli intermediari sia in termini di costi sia di livello di servizio.Come farà il risparmiatore a essere sicuro che il prodotto offerto è quello adatto alle sue necessità?
L’appuntamento con la Mifid 2 è a inizio 2018 con l’introduzione della product governance che implicherà una maggiore responsabilizzazione delle Sgr nel ciclo di vita del prodotto. Ci sarà una ripartizione equa di responsabilità tra fabbrica prodotto e distributore.
L’accusa principale che viene rivolta all’industria del risparmio è quella di vivere in un costante conflitto d’interessi: è davvero così e come si può combattere?
Non sono d’accordo, l’industria del risparmio gestito ha dimostrato nel tempo di essere trasparente e solida. Ricordiamo che chi si è affidato al risparmio gestito non è mai stato coinvolto nelle grandi crisi che si sono susseguite negli ultimi anni. A tale proposito citerei un’iniziativa di Assogestioni in cui anni fa aveva valorizzato cinque buone ragioni ancora attuali per investire in fondi comuni: autonomia, in quanto il patrimonio del fondo è separato da quello della società; controllo, essendo soggetti alle rigide norme e ai controlli di Banca d’Italia e Consob; diversificazione, per cogliere le migliori opportunità e ridurre il rischio; trasparenza, innanzitutto grazie alla pubblicazione della quota giornalmente; solidità, attestata da oltre trent’anni di track-record.[/auth]
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parla Antonio Patuelli: Banche, troppe regole fanno male
3 anni agoPer gli istituti di credito, dice il presidente dell’Abi, la sfida principale è recuperare redditività: sono infiniti gli sforzi di riduzione dei costi, di miglioramento nella gestione dei rischi e di ottimizzazione delle dotazioni di capitale. Ma sono anche ingenti gli investimenti per l’innovazione, la sicurezza, la semplificazione dei processi. Ora le nuove decisioni del Comitato di Basilea devono favorire la stabilità e non complicare la ripresa
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Non servono troppe regole, anzi. È questa l’opinione espressa da Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, in un mondo dove invece il dirigismo burocratico sembra aver preso il sopravvento. «Basta pensare», dice, «che nel 2016, per il solo mondo finanziario e assicurativo sono state emanate addirittura 1.247 provvedimenti. Circa cinque per ogni giorno lavorativo».Però le crisi bancarie hanno minacciato la stabilità dell’intero sistema economico italiano. Un giro di vite era indispensabile non crede?Le banche stanno facendo ingenti investimenti per l’innovazione, la sicurezza, la semplificazione dei processi e, quindi, della vita di ciascuno di noi. Le priorità sono sotto gli occhi di tutti: dematerializzazione, pagamenti in mobilità, integrazione competitiva fra canali. Più qualità, più velocità, più possibilità di scelta sono risultati tangibili di innovazioni raggiunte dalle banche in Italia. Tenendo sempre ben presente che persone e cultura saranno determinanti. Le macchine che debbono essere guidate dall’intelligenza umana e dalle regole, anche con continue riqualificazioni professionali. Gli algoritmi debbono essere guidati dalle persone e non schiacciarle.Resta il fatto che il governo ha dovuto mettere sul piatto 20 miliardi per salvare le banche italiane. È immaginabile che i contribuenti ne avrebbero fatto volentieri a meno, non trova?Per voltare definitivamente pagina con la crisi occorre fare piena luce su tutti gli aspetti meritevoli di inchieste. L’Abi non è una corporazione, ma un’associazione privata che non può avere strumenti di controllo sugli associati, né notizie privilegiate e riservate di vigilanza. Esprimo la massima indignazione per diversi elementi emersi sulle banche che sono andate in crisi. Ora attendiamo i processi. Più trasparenza sulle crisi bancarie è anche premessa per un maggiore clima di fiducia. Abbiamo grande rispetto per la magistratura e per la commissione parlamentare d’inchiesta sulle crisi bancarie. L’etica, l’intransigenza morale, l’impegno per l’applicazione precisa di tutte le normative sono precondizioni delle attività bancarie che sono tutte tracciate.Resta il fatto che i recenti scandali non hanno certo migliorato il livello di popolarità del sistema bancario…Parleranno le sentenze. Debbono essere tempestivamente accertati e perseguiti tutti i responsabili delle crisi bancarie, senza «caccia alle streghe». Vorrei anche aggiungere che nonostante il peso dei crediti deteriorati, le attività innovative e la forte concorrenza, le banche in Italia realizzano tassi medi sui prestiti assai vantaggiosi per le famiglie e le imprese: a maggio 2017, secondo dati Bce, il tasso medio nell’area euro, sui prestiti inferiori al milione di euro, è stato del 2,19%. In Italia del 2,13%. Per quelli superiori al un milione il tasso medio in Italia è stato dell’1,14%, migliore dell’1,31%, media dell’area euro.A proposito di imprese: lei aveva chiesto che le banche salvate con l’intervento dello Stato pubblicassero l’elenco delle maggiori insolvenze. Com’è finita?Il Parlamento ha deciso altrimenti. I rapporti quadrimestrali del ministero dell’Economia disposti dal decreto «Salvarisparmio» votato nel febbraio 2017 favoriranno la trasparenza delle analisi bancarie.Però di queste relazioni finora nemmeno l’ombra…C’è una disposizione di legge. Siamo certi che verrà osservata. Tanto più che alla base di tutte le innovazioni è indispensabile più trasparenza per la chiara definizione delle regole, dei rischi e della comunicazione; più responsabilità e più coerenza fra le norme emanate dalle diverse autorità; più proporzionalità fra norme imposte e benefici attesi, e per le diverse dimensioni dei soggetti giuridici che debbono applicarle.Quali sono le nuove regole cui guardate con maggiore attenzione?Stiamo guardando alle nuove decisioni del Comitato di Basilea, a cominciare da quelle prudenziali sui titoli di Stato. Devono favorire la stabilità e non complicare la ripresa, evitando, come previsto dal mandato del G20, generalizzati incrementi nei requisiti patrimoniali delle banche.Le regole di Basilea debbono essere identiche per le due sponde dell’Atlantico e applicate in modo coerente per prevenire scompensi e conflitti.Le nuove regole di Basilea serviranno soprattutto alla stabilizzazione del sistema?Per le banche la sfida principale è recuperare redditività per favorire lo sviluppo e il prudenziale ciclo degli accantonamenti e dei dividendi: sono infiniti gli sforzi di riduzione dei costi, di miglioramento nella gestione dei rischi e di ottimizzazione delle dotazioni di capitale.Dall’inizio della crisi, ha rilevato il governatore della Banca d’Italia, le banche italiane hanno quasi raddoppiato i coefficienti relativi al patrimonio di migliore qualità e continuano ad accrescerli. Occorre stabilizzare le norme europee e internazionali sui requisiti di capitale per dare certezza ai mercati, alle banche e a tutte le imprese, per favorire la ripresa e dare attuazione, con saggezza e proporzionalità, a quelle già adottate.Lei ha espresso molte riserve sul bail-in l’anno scorso. È sempre della stessa idea?Le critiche giuridiche a queste regole debbono essere colte, non trattandosi delle tavole di Mosè, né di norme costituzionali.E quindi?Bisogna esaminare criticamente Unione bancaria a quasi tre anni dalla nascita. La riflessione servirà a correggere i processi decisionali europei non sempre comprensibili. Ma anche le inammissibili e incostituzionali retroattività, le scelte estreme, le forzature come le svalutazioni imposte alle quattro banche oggetto di risoluzione, come se avessero dovuto liquidare (cioè svendere) immediatamente i loro crediti deteriorati. Le nuove «linee guida» della Bce sui crediti deteriorati rappresentano più lungimiranti strategie che devono essere utilizzate anche per le banche in difficoltà, tenendo comunque presente la realtà delle strutture produttive e commerciali italiane.È una critica agli stress test?Gli esami devono prevenire e non creare o accentuare le crisi bancarie. Dopo la privatizzazione delle banche pubbliche, in Italia le crisi sono state affrontate sotto la guida della Banca d’Italia, senza infliggere traumi ai risparmiatori e alle banche concorrenti. Invece le regole dell’Unione bancaria hanno portato traumi e costi eccessivi.In concreto che cosa significa?Significa che la verifica in sede europea di queste normative deve correggerle per evitare che le risoluzioni aggravino i problemi, scarichino oneri su risparmiatori e su banche concorrenti, alterando anche la concorrenza, distruggano valore e fiducia.Però il livello delle sofferenze stenta a diminuire…Come ha autorevolmente affermato la Banca d’Italia la soluzione dei crediti deteriorati richiede tempo. Il governatore Visco ha spiegato correttamente che le sofferenze vere sono quelle nette, aggiungendo che a fine 2016 erano scese a 81 miliardi. Ad assisterle garanzie reali per oltre 90 miliardi e personali per quasi 40. Le sofferenze nette sono ulteriormente scese sotto i 77 miliardi, mentre è in atto nelle banche un grande lavoro per ridurle ancora anche in tempi brevi.Che cosa serve per il futuro?È innanzitutto indispensabile una forte ripresa di etica fra tutti gli operatori economici in modo che la restituzione dei prestiti, nei modi e nei tempi liberamente contratti e dovuti, sia non solo un obbligo giuridico, ma innanzitutto un dovere morale.E dal punto di vista pratico?Fra le riforme da completare sono prioritarie quelle sui tempi della giustizia civile, baluardo per i doveri e i diritti degli onesti, che sono un indicatore decisivo per attrarre capitali. Significativi passi avanti sono stati realizzati negli ultimissimi anni e potranno essere sviluppati quando il Senato, prima della fine della legislatura, avrà approvato i disegni di legge delega, licenziati dalla Camera, per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza e per l’efficienza del processo civile.A che punto è la ristrutturazione del sistema bancario?Nel solo 2016 gli sportelli si sono ridotti della cifra record di 1.231 e stanno calando ulteriormente e rapidamente. L’Italia aveva, sei mesi fa, uno sportello bancario ogni 2.041 abitanti, una cifra intermedia fra i principali Paesi della Ue. Le economie di scala sono sviluppate nelle più diverse forme, compresa l’esternalizzazione di servizi e di produzioni. Il mondo bancario italiano è il più aperto d’Europa agli investitori internazionaliChe previsioni si sente di fare?Le riforme e le aggregazioni in Italia porteranno, a inizio 2018, a un numero molto basso, in assoluto e rispetto alle medie europee, di circa 115 gruppi bancari e banche singole indipendenti, oltre alle succursali di banche estere. Attenzione, però, a non estremizzare: non deve essere compressa l’indispensabile concorrenza nei mercati locali in un contesto dove il 95% delle imprese ha meno di dieci dipendenti. Le aggregazioni potranno servire per prevenire altre eventuali crisi bancarieCi fa un pronostico per l’anno prossimo?Dopo le elezioni presidenziali in Francia avvertiamo un’aria nuova e più costruttiva. Sia a livello politico generale sia per quanto riguarda l’attività bancaria. Sui crediti deteriorati vi sono meno dogmi e linee guida più pragmatiche. Si discute apertamente di bad bank anche europea. C’è più ragionevolezza nel riconoscere le complessità di regole uguali per tutti in presenza di Costituzioni diverse. A livello nazionale hanno la prevalenza in attesa di una esplicita, certa e chiara Costituzione europea che garantisca più certezza del diritto. Una gerarchia complessiva delle fonti del diritto fra Unione europea e Stati nazionali, per garantire unità e pluralismo.[/auth]
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Bitcoin: eldorado o bolla?
3 anni agoC’è chi li considera una frode. E chi, avendoli acquistati qualche anno fa, nel frattempo è diventato milionario. Intanto nascono future, indici e derivati ad hoc. Certo è che la blockchain, la tecnologia che ne permette il funzionamento, è considerata da tutti una delle innovazioni più rivoluzionarie degli ultimi tempi. E avrà grandi sviluppi
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Tra speculazione e diffidenza, nuova corsa all’oro e timori di un bolla, il Bitcoin è uno dei grandi protagonisti della scena economica degli ultimi mesi. Un fenomeno che, tra detrattori ed entusiasti, alimenta un dibattito mondiale che ha portato il conio digitale a entrare nel linguaggio economico di tutti i giorni. La sfida è solo all’inizio. Mentre la sua quotazione cresce senza sosta.
Il timore di un grande flop. Il partito dei critici annovera big della finanza e governi. La Cina, per esempio, grande pioniere nell’uso di valuta digitale, lo scorso ottobre ha iniziato a chiudere le piattaforme sulle quali era trattata. Anche la Corea del Sud è scesa in campo con un stretta sulle transazioni. Il governo di Seul ha in mente di vietare le operazioni in valuta virtuale per minorenni e stranieri, la tassazione dei profitti sulle criptovalute e l’obbligo di identificazione da parte dei trader. Anche il numero uno di JpMorgan Chase, Jamie Dimon, li ha definiti una «frode», il fondo Usa Bridgewater li ha già etichettati come la prossima bolla, e il principe saudita Al Waleed ha descritto il fenomeno come una nuova Enron.
A lanciare l’ultimo allarme i vertici di Ubs: «Come banca abbiamo messo in guardia contro questo prodotto perché non lo consideriamo né di alcun valore, né sostenibile», ha avvertito il presidente della banca svizzera Axel Weber, già governatore della Bundesbank, sollecitando l’intervento dei regolatori a tutela dei piccoli investitori. «Nel momento in cui iniziano a investire i piccoli investitori, è richiesto l’intervento dei regolatori», ha sottolineato Weber.
Eppure la corsa dei Bitcoin prosegue incessante. I divieti e gli allarmi hanno generato solo qualche estemporanea frenata, ma l’appetito degli investitori non sembra conoscere tregua. All’inizio del 2017 i Bitcoin valevano circa mille dollari, lo scorso 11 dicembre, giorno nel quale al Chicago Board Options Exchange (Cboe) è partito lo scambio di future sulla criptovaluta, il loro valore ha superato i 18mila dollari. Stesso risultato anche per il contratto future lanciato, qualche settimana dopo, dalla rivale Cme (Chicago Mercantile Exchange). Così anche se il mercato si interroga sui reali motivi del boom, l’industria non può più ignorarlo.
Una corsa senza freni. Difficile prevedere un successo del genere dalla nascita, avvenuta a inizio 2009, per mano di Satoshi Nakamoto, pseudonimo che ancora cela l’identità dello sconosciuto inventore. Nei primi sei anni e mezzo la valuta elettronica ha subìto una lenta evoluzione, ma con l’accelerazione dell’ultimo periodo al momento non si vede un orizzonte ben definito. C’è una sola certezza: esploderà, in un senso o nell’altro. «Entro tre anni la criptovaluta più famosa toccherà la quota di 2 milioni di dollari, oppure crollerà fino a scomparire. Non si scappa: o il fallimento o la gloria». Ne è convinto Giacomo Zucco, uno dei principali esperti italiani del settore, amministratore delegato di Bhb Network – BlockchainLab, un’azienda di consulenza attiva da diversi anni nel campo della blockchain e delle criptovalute. Per ora chi li detiene scommette su una valorizzazione in ascesa visto che ipotizza di cederli solo a caro prezzo. In media 200mila dollari. È questa, infatti, la cifra che un investitore accetterebbe oggi per privarsi della sua criptovaluta secondo una ricerca di LendEdu, una piattaforma americana che si occupa di prestiti studenteschi e che negli ultimi mesi ha promosso ricerche su blockchain e monete virtuali. Nell’ultima indagine ha chiesto informazioni a 564 cittadini statunitensi che hanno già comprato Bitcoin e dalla quale è venuto fuori il ritratto di una platea ottimista. In attesa di possibili ulteriori rialzi LendEdu ha chiesto: «Per quale cifra saresti disposto a vendere tutti i tuoi Bitcoin?». Risposta (media): 196.165 dollari. Il responso cambia in base a quanti pezzi si possiedono, ma è comunque una cifra considerevole perché le stesse persone hanno affermato di aver investito, sempre in media, poco meno di 3mila dollari. L’attesa di un rialzo è quindi notevole, come conferma il fatto che due investitori su tre non hanno venduto neppure un Bitcoin nonostante la recente impennata delle quotazioni.
Il settore prova la normalizzazione: nascono Cci30 indice ad hoc, i derivati e i future. Chi opera nel comparto auspica comunque una normalizzazione con l’introduzione di regole in grado di evitare fenomeni speculativi che rischiano di lasciare spazio a bolle distruttive. Un primo passo in questa direzione è sicuramente la creazione di un indice che misura il valore di tutte criptovalute e che può fornire indicazioni di tendenza agli operatori. Il primo in assoluto è stato presentato a Zugo, in Svizzera, si chiama Crypto currency index (Cci30) ed è un paniere che raccoglie le 30 monete virtuali con la maggiore capitalizzazione di mercato. Dai più famosi Bitcoin, Ethereum e Ripple, fino a quelle più nuove, ma in forte crescita, come Neo e Iota. L’indicatore rappresenta oltre il 93% della capitalizzazione totale del mercato ed è stato elaborato da un team di matematici, analisti e operatori di borsa.
Il primo giorno di contrattazioni, il 16 ottobre scorso, ha segnato alla chiusura 3.896 punti. A fine novembre era andato oltre i 5.500, due settimane dopo aveva già superato i 10mila.
Allo stesso tempo, per mitigare i problemi collegati all’estrema volatilità, sono nati i primi strumenti derivati sui Bitcoin che hanno riscosso già un certo interesse. Nella prima settimana di contrattazioni regolamentate sulla piattaforma LedgerX, che ha ottenuto a luglio il via libera dalle autorità, sono stati trattati 176 contratti fra swap e opzioni, per un valore nominale che ha superato il milione di dollari.
Infine, sempre nella ricerca di stabilità, il Bitcoin ha iniziato a essere trattato come una asset al pari di petrolio e oro grazie ai contratti future arrivati prima della fine dell’anno scorso. L’introduzione di contratti future offre alle banche la possibilità di coprirsi da brusche variazioni di prezzo della valuta elettronica, mentre i piccoli investitori possono contare su modalità più semplici per scambiarla.Jp Morgan: Bitcoin no, ma sì convinto alla blockchain. Se il Bitcoin non convince alcuni eminenti investitori e banchieri, diverso approccio si ha verso il sistema che lo supporta e cioè la blockchain. Una tecnologia che consente la creazione e la gestione di un database attraverso nodi di rete collegati tra loro (detti chain) in modo che, ogni operazione di scambio avviata sulla rete, sia validata dalla rete stessa. Ciascun nodo, in altre parole, è chiamato a vedere, controllare e approvare le transazioni precedenti, creando una catena di informazioni collegate che certifica gli elementi di ogni passaggio.
Il sistema assicura la veridicità delle operazioni in maniera automatica e veloce e per questo ha riscosso l’interesse del sistema bancario. In particolare della Jp Morgan Chase che ha avviato un programma pilota che sfrutta la blockchain per conservare e proteggere i dati e consentire trasferimenti più sicuri di pagamenti transfrontalieri con la Royal Bank of Scotland e con la Australia and New Zealand Banking Group. Il nuovo programma non utilizza e non scambia Bitcoin ma gestisce i pagamenti da un Paese all’altro. Oggi i livelli di comunicazione tra i vari soggetti interessati per verificare la transazione sono diversi e per alcune operazioni complesse possono servire anche 15 giorni. La nuova tecnologia, secondo le aspettative, taglierà drasticamente i tempi, che si ridurranno ad alcune ore.
Un giudizio positivo sul meccanismo della blockchain è arrivato anche dal colosso elvetico Ubs che, in un suo report, ha spiegato che può apportare grandi benefici al settore finanziario, a quello manifatturiero, all’healthcare e alle utility. Nel suo dossier la banca svizzera sottolinea invece dubbi sulle criptomonete e sul fatto che queste possano effettivamente diventare valute largamente utilizzate vista l’impossibilità di avere corso legale. Inoltre, «la fornitura potenzialmente limitata di criptomonete crea pesanti barriere all’adozione diffusa delle stesse», mentre il forte incremento delle loro valutazioni negli ultimi mesi fa sospettare «quasi certamente una bolla speculativa» Ma, aggiunge ancora Ubs, «se da un lato abbiamo dubbi sul fatto che le criptovalute possano diventare effettivamente un metodo di scambio diffuso, dall’altro la blockchain entro il 2027 potrebbe portare a un aumento del valore economico globale di circa 300-400 miliardi di dollari».La blockchain nella vita di tutti i giorni. Finanza, contratti, notai, internet delle cose, testamento biologico, cibo e ora anche diplomi universitari del prestigioso Mit di Boston. Sono sempre più estesi gli usi della blockchain considerata una delle innovazioni digitali più rivoluzionarie degli ultimi tempi. L’ultimo è quello dell’università statunitense che ha iniziato a tenere traccia della vita digitale degli studenti usando proprio il registro di blockchain. Ogni singolo voto, attestato, esame, diploma e laurea è scritto in bit, convalidato dalla rete ed è a disposizione di università, aziende e datori di lavoro. Con questo sistema il Mit ha già distribuito diplomi agli studenti. Oltre a quello cartaceo è disponibile una copia digitale rilasciata con Blockcerts Wallet, un’app creata appositamente in collaborazione con la società di software Learning Machine. «Il Mit ha ideato un registro in un formato che può sopravvivere anche nel caso l’ateneo dovesse chiudere, è un cambiamento fondamentale», ha spiegato Chris Jagers, ceo di Learning Machine. Si tratta di una sola delle applicazioni possibili della blockchain che, nel 2018, potrebbero crescere in maniera esponenziale. Con programmi che aiuteranno, per esempio, a costruire la tracciabilità del cibo che finisce nei piatti in maniera efficiente e meno costosa. O diventando uno strumento di tutela di documenti che toccano direttamente la sfera personale, come il testamento biologico e le dichiarazioni di volontà relative ai trattamenti salvavita.
Il Bitcoin entra nelle tasche. Lentamente comunque anche il Bitcoin inizia a essere usato per lo scopo classico di ogni moneta e cioè regolare gli scambi. E non solo quelli tra i privati. Ne è prova il fisco svedese che ha riscosso in criptomoneta l’ammontare di tasse dovuto da un’azienda. Nello specifico, lo scorso ottobre la Swedish Enforcement Authority ha ricevuto 0,6 Bitcoin, pari allora a circa 2.600 euro. La somma è stata, poi, venduta al migliore offerente con un’asta online.
Sempre nel mondo va citato il fornitore di servizi internet per aziende e consumatori, la giapponese Gmo Internet Group, che ha deciso di pagare gli stipendi dei suoi dipendenti in Bitcoin a partire da febbraio. I dipendenti avranno un limite inferiore di 10mila yen (circa 88 dollari) e un limite massimo di 100mila yen (880 dollari) per prelevare i loro salari in moneta digitale.
La diffusione dei nuovi strumenti di pagamento è in crescita anche in Italia. La Sant’Agostino, casa d’aste di Torino, accetterà anche i Bitcoin. «La nuova tipologia di trasferimenti finanziari», hanno spiegato Vanessa Carioggia, proprietaria con il fratello Claudio della casa d’aste, e Agostino Ghiglia, senior partner della società Aornet, «permetterà di ottenere benefici per i clienti come costi bancari decisamente inferiori e certificazione in loco della ricezione del pagamento, senza intermediari, ritardi o complicazioni».
Infine è da segnalare Portale Sardegna (società web specializzata nel turismo, quotata da poco al listino Aim Italia) che accetterà pagamenti in moneta digitale. L’azienda ha raggiunto un accordo con la piattaforma Conio che consentirà al tour operator di incassare soldi digitali, convertendoli istantaneamente in euro, neutralizzando così l’effetto di cambio valute.
Riscatti e truffe, i danni collaterali della valuta digitale. I fenomeni negativi non mancano nemmeno nel mondo dorato del Bitcoin. Anche i malintenzionati e il crimine hanno, infatti, scoperto le monete virtuali. Sono all’ordine del giorno le infezioni dei sistemi informatici delle grandi aziende attraverso i ransomware, codici dannosi che limitano l’accesso ai dati o alle applicazioni dei pc. Il rientro in possesso delle proprie periferiche da parte delle imprese colpite dagli attacchi avviene solo dopo il pagamento di un riscatto spesso richiesto in Bitcoin, che garantiscono l’anonimato dell’estorsione. Non solo. A farsi avanti sono anche i truffatori che sfruttano l’entusiasmo dei risparmiatori attratti dai rendimenti a doppia cifra. A Londra, per esempio, è stato arrestato un uomo che aveva allestito nel centro della City finanziaria, un call center che usava pratiche particolarmente aggressive per convincere i clienti contattati a investire in una criptovaluta inesistente.
Il fenomeno ha preso abbondantemente piede anche in Italia con distorsioni giù individuate. È recente la multa dell’Antitrust alle società promotrici della criptomoneta OneCoin, sanzionate con 2,6 milioni di euro per «vendita piramidale e promozione ingannevole». In particolare, ha spiegato il Garante, l’attività promozionale era «incentrata sulla promessa che il consumatore potesse ottenere gli OneCoin e che successivamente le monete virtuali avrebbero incrementato il loro valore in ragione della loro diffusione, tutti elementi che non hanno trovato riscontro nel corso del procedimento». La proposta commerciale di One Life, era infatti basata sulla prospettazione, falsa, di ingenti guadagni.La Russia scende in campo. A inserirsi nel dibattito mondiale sulle criptovalute ci sono anche gli enti regolatori monetari ufficiali. Uno dei Paesi che ha preso una posizione chiara è la Russia che non introdurrà un bando sugli strumenti finanziari, come fatto di recente dalla Cina, ma mira a porne sotto il controllo dello Stato sia l’emissione sia la circolazione. Le linee guida sono state dettate dallo stesso presidente Vladimir Putin. «L’uso delle criptovalute comporta seri rischi», ha avvertito, «tra cui il riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale e il finanziamento del terrorismo. Inoltre, non vi è sicurezza», ha sottolineato. «Se il sistema collassa o se si verifica una bolla, non c’è un’entità legale che ne è responsabile». Piuttosto che risolvere la questione con un generale divieto però, il capo del Cremlino ha chiesto di costruire, «sulla base dell’esperienza internazionale, un sistema normativo per rendere possibile la codifica delle relazioni in questa sfera, proteggere in modo affidabile gli interessi dei cittadini, del business e dello Stato e fornire le garanzie legali per l’uso di strumenti finanziari innovativi». Allo stesso tempo, Putin ha voluto sottolineare che «è importante non porre troppe barriere, ma piuttosto fornire le condizioni fondamentali per aggiornare e far progredire il sistema finanziario nazionale».
L’attenzione per le valute virtuali in Russia è iniziata a crescere, quando Putin, a giugno scorso, ha incontrato Vitalik Buterin, il creatore di Ethereum, la seconda più importante criptomoneta dopo Bitcoin, dando di fatto la sua benedizione allo sviluppo della tecnologia blockchain nel Paese. Non così euforica però è la Banca centrale: «Siamo totalmente contrari al denaro privato», ha detto il governatore Elvira Nabiullina, «non importa se sia in forma fisica o virtuale». Intanto, però, alcuni progetti russi di cryptocurrency stanno andando avanti. Come nel caso della Sberbank Pjsc, la più grande banca russa, che sta studiando la possibilità di aprire conti in criptovaluta nella sua filiale svizzera.[/auth]
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