Spectrum Markets, il mercato pan-europeo per i certificates, ha deciso di dare un contributo concreto a due importanti associazioni impegnate nella lotta alla povertà.
Spectrum ha infatti deciso effettuare delle donazioni destinate alla francese Premiers de Cordée e Caritas Association, attiva a Francoforte e Cracovia. Oltre ad un contributo finanziario, la Caritas Association di Francoforte e Premiers de Cordée riceveranno dei regali per i bambini.
La Caritas Association userà i soldi derivanti dalla donazione e i regali ricevuti per supportare le famiglie in difficoltà. Premiers de Cordée consegnerà invece i doni ai bambini ricoverati, mentre i finanziamenti saranno destinati al progetto “Station 4”. Si tratta di uno strumento in grado di agevolare l’inserimento dell’esercizio fisico nella routine dei pazienti, permettendo loro di avere sessioni di allenamento individuali e regolari nella loro stanza. Station 4 rappresenta un valido supporto per la riabilitazione, la mobilità e la perdita di peso.
Nicky Maan, CEO di Spectrum Markets dichiara: “Quest’ultimo anno si è dimostrato sfidante per tutti noi e specialmente per le famiglie in difficoltà finanziarie e per i bambini ricoverati. Se il Natale rappresenta di solito un momento di unione con i propri cari, quest’anno dovremo minimizzare i contatti per prevenire la diffusione del Covid-19. Noi di Spectrum abbiamo voluto contribuire a regalare un Natale di gioia, nonostante le restrizioni. Abbiamo dunque deciso di effettuare delle donazioni ad organizzazioni che supportano coloro che ne hanno bisogno, dalle famiglie ai bambini negli ospedali”.
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Lasciate stare le banche popolari
4 anni agoIl modello cooperativo degli istituti di credito legati al territorio, è messo in discussione. Il presidente di Assopopolari spiega come andrebbe difeso e perchè i numeri gli danno ragione. E ricorda che ci sono banche che non hanno mai venduto derivati, fatto subprime, emesso subordinate…
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Il 2017 sarà un anno importante per le banche popolari. La Corte Costituzionale scioglierà definitivamente il nodo sul cambio della governance e nel frattempo si capirà se la fusione tra Banco Popolare e Bpm sarà un caso isolato oppure l’inizio di una trasformazione più profonda. Nel frattempo anche il mondo delle Bcc va incontro a mutamenti epocali. Con il raggruppamento sotto diverse holding: nel giro di poco tempo 250 banche si uniranno in tre o quattro gruppi di respiro nazionale. Con Corrado Sforza Fogliani, presidente di Assopopolari, proviamo a immaginare quale sarà il futuro del credito cooperativo.Cominciamo con la domanda più facile: che cosa sta accadendo?
Il modello cooperativo sembra messo in discussione, nella forma e in quello spirito che caratterizza le banche di territorio al di là della loro dimensione. Noi siamo decisi a difenderlo. I numeri ci danno ragione. Abbiamo una patrimonializzazione di categoria che è il doppio di quella richiesta. Difendiamo il regime di concorrenza nel settore, che solo le banche territoriali assicurano. Difendiamo il solido legame con l’economia reale che rappresentano. È della primavera scorsa la notizia che il ministro delle Finanze tedesco e quello inglese sono intervenuti presso l’Ue proprio per la tutela delle banche di territorio. La generale constatazione che la Borsa punisce le banche che fanno credito deve oggi far riflettere il mondo dell’impresa, ma non solo.In Italia lo Stato torna azionista delle banche. La stagione delle privatizzazioni si è chiusa o quella in corso è solamente una pausa?
Le strutture del credito vanno affrancate da conduzioni pubbliche e para- pubbliche che le legano a un passato del tutto superato. I risparmiatori e gli investitori non possono essere chiamati a rispondere di responsabilità che, anche nell’allocazione del risparmio, fanno capo, in ultima analisi (e da sempre), allo Stato. Che infatti ne rispondeva.Che cosa vuol dire?
Che bisogna impedire la proliferazione di iniziative come i diversi fondi allestiti per i salvataggi bancari.
E perché?
Perché mettono a carico delle banche gestite bene il soccorso alle concorrenti in dissesto. Come si è visto si tratta di iniziative con il fiato corto.Se non intervengono le altre banche si impone la presenza dello Stato che però non vi piace. Come uscirne?
È urgente il ritorno allo Stato di diritto, anzitutto attraverso una giustizia civile efficiente, che ripristini il valore dei contratti privati, anche accorciando i tempi delle procedure concorsuali. Bisogna inoltre chiedersi se la politica monetaria sia davvero in grado di farci superare il momento critico che attraversa l’Europa.Non le piace quello che fa Draghi?
Ricordo che la politica dei tassi d’interesse negativi o al minimo è all’origine della crisi del 2007. Adottarla non induce «ad affamare la bestia» (come si dice negli Stati Uniti) della spesa pubblica, né a ridurre il debito che imbriglia l’iniziativa privata. II sistema bancario non può ancora essere condizionato dal pericolo di una fuga di denaro. Non può essere anchilosato da un eccesso di regolamentazione, proveniente proprio da un’istituzione che ha posto la proporzionalità della rappresentanza tra i suoi principi fondamentali. In qualche momento, abbiamo perfino avuto l’impressione che sia in atto una campagna preordinata contro le banche della nostra categoria.
Vuol dire che istituzioni europee vogliono le banche a taglia unica privilegiando il modello della Spa?
Diciamo che non hanno mostrato interesse per il nostro modello di governance. Senza accorgersi che ci sono popolari che non hanno applicato l’anatocismo ancora anni prima che venisse vietato, non hanno venduto derivati, non hanno fatto subprime (neppure all’italiana), non hanno emesso una subordinata. E hanno un Tier1 anche superiore al 18%. Eppure sono cose che forse a Francoforte trascurano e che non si riesce a far scrivere da nessun giornale. Non per dire che altri comportamenti siano scorretti, perché non lo sono, ma semplicemente perché sono una notizia e i giornali vendono notizie. Però non c’è niente da fare. Non passa.È anche vero che la banche non fanno molto per rendersi simpatiche. Ultimamente hanno perso anche l’affidabilità. Non è proprio una situazione splendida, non trova?
Prendersela con le banche non conviene a nessuno. Se non a chi pensa di poter ridurre il mercato del credito a un insieme di poche presenze che poi facilmente farebbero valere la propria posizione oligopolistica. Le banche di territorio sono il primo ostacolo a un disegno del genere. Per questo sono osteggiate.Un complotto ai danni delle banche popolari? Difficile da credere…
Le popolari fanno gola perché sono le più patrimonializzate del sistema. Fare i banchieri è sempre stato difficile. Ma oggi è difficile anche farlo serenamente: in caso di imprese in crisi, prefetti e sindacati chiedono che non venga tagliato il credito, che si evitino i licenziamenti. Chi si rifiuta è messo alla gogna ma chi lo fa, finisce davanti al giudice penale per abuso di credito.E l’Unione Europea?
L’Europa dei burocrati ci mette pesantemente del suo. La normativa sulla risoluzione delle crisi bancarie attraverso il bail-in è stata recepita con scarsa attenzione dal Parlamento italiano. Contro di essa si è espresso anche il Fondo monetario internazionale.Siamo alle solite però: la colpa è sempre degli altri. Mai possibile che i banchieri non abbiano mai responsabilità?
Tocca ai magistrati individuare le responsabilità. Vorrei ricordare, però, che nel diritto penale le colpe sono personali e non possono essere attribuite all’intero sistema. Invece l’opinione pubblica è inondata di dubbi, di remote eventualità, di possibili pericoli. Le banche che vanno bene sono state gravate dall’obbligo di mettere in sicurezza alcune banche da tempo commissariate. Fra l’altro tutte casse di risparmio o ex casse di risparmio, a eccezione di una sola popolare. Ma correggere informazioni errate al proposito è stato molto difficile.Ancora un’assoluzione per il credito facile?
Le banche hanno fatto le cose non nel modo in cui avevano pensato di farlo, ma nel modo in cui è stato loro imposto. Col risultato, per esempio, di creare il problema delle obbligazioni subordinate che altrimenti non ci sarebbe stato. Una struttura di regole così complicato da aver spinto un colosso come Barclays a pagare 250 milioni a Mediobanca perché rilevasse i suoi sportelli. Il venditore che paga il compratore pur di liberarsi delle proprie attività. Converrà che c’è qualcosa di malato in questa inversione dei ruoli. Soprattutto dovrebbero riflettere gli imprenditori che credono ancora in un sistema libero di economia e non solo nei sussidi di uno Stato onnivoro.
Da questa descrizione l’Italia appare come un Paese dov’è difficile fare tutto. Non solo impresa ma anche banca. Forse un eccesso di pessimismo, non crede?
Chi può continuare a operare serenamente sul mercato del credito nella situazione attuale, in un paese nel quale lo Stato, nel silenzio assordante di ogni altra istituzione, lascia spendere il proprio nome come garante in una megagalattica operazione in favore di chi raccoglie ma non fa credito? Siamo in una situazione in cui lo Stato parteggia per una parte in concorrenza le altre.Ogni riferimento a Poste Italiane non è casuale. Le banche popolari come si collocano in questa partita?
Il credito popolare e cooperativo è oggi una realtà in continua espansione. Nel mondo sono attivi oltre 200mila istituti di territorio che hanno 435 milioni di soci, 700 milioni di clienti, 9mila miliardi di euro di raccolta e 7mila di impieghi. Assopopolari (oggi Associazione di banche popolari e del territorio) conta 63 banche associate, 52 società finanziarie e 150 banche corrispondenti per un complesso di 1,3 milioni di soci, 12,4 milioni di clienti, 8.700 dipendenti, 450 miliardi di attivo. La quota di mercato è pari al 25% sia nella raccolta sia negli impieghi.Qual è lo scenario fuori dall’Italia?
La cooperazione bancaria è, per la sua stessa storia, ben radicata nel Nordamerica e in Europa. Oggi appare in forte-espansione in Africa e in Sudamerica. Crescenti manifestazioni di interesse provengono dalla Cina, dove le banche cooperative hanno una radicata tradizione. Ovunque è apprezzato il fatto che le banche territoriali non vanno e vengono dal loro territorio. Sono anzi inscindibilmente legate (per dirla con Adam Smith: non per beneficenza, ma nel loro stesso interesse) al progresso e allo sviluppo dell’area in cui sono insediate, con quote di mercato che ne fanno, come bene è stato detto, dei «piccoli giganti».
Che cosa vuol dire in concreto?
Guardate alle condizioni del credito nel nostro Sud. È stato colpito, dopo l’eliminazione delle banche di territorio, da una crisi di liquidità che tutti conoscono ma di cui nessuno parla: le poche grosse banche rimaste erogano finanziamenti dove già (e se) gli conviene.Sta descrivendo il piccolo mondo antico che andava bene a metà dell’800 quando le prime popolari videro la luce. Ma adesso?
Il loro ruolo resta fondamentale per l’economia locale. Le banche popolari investono nel loro territorio quanto in esso raccolgono. Esaltano la mutualità che ci caratterizza (la nostra forza è rappresentata dal rapporto socio-cliente) sotto un particolare aspetto. Quello della «solidarietà di territorio», che non è chiusura ma sinergia. Hanno, cosa che in molti trascurano, nel loro stesso modo di fare banca, l’economia di scala migliore. Il monitoraggio dei clienti è esercitato da un controllo sociale che va ben al di la dei contratti. Le banche locali, per questo, sono contraddistinte in assoluto dai migliori indici di redditività e da una migliore qualità del credito. E anche per questo sono state in altri periodi storici assediate e soggette a indebite forzature.Per esempio?
Nel 1927 il governo dispose a quelle con depositi inferiori a 5 milioni di fondersi o essere poste in liquidazione. Quelle con depositi inferiori a 10 milioni venivano costrette a confluire in qualche altra banca della categoria.La storia si ripete considerando il decreto che impone il cambio di governance…
Oggi il nostro paese è tenuto in scacco da quello che abbiamo chiamato «il vento del bonapartismo economico». E questo nonostante l’esperienza degli Stati Uniti e le recenti vicende dimostrino che il gigantismo bancario non è la cura di tutti i mali, non rende necessariamente il sistema più stabile. Spesso non contribuisce neppure a una sua maggior efficienza.Che cos’è il bonapartismo economico?
Qualcuno, come l’economista bolognese Stefano Zamagni ha ipotizzato l’esistenza di un preciso disegno che punta all’eliminazione delle banche del territorio. Non direttamente ma esasperando il rispetto di regole troppo pesanti,Una specie di Spectre mondiale del credito. Tesi suggestiva ma su quali basi si appoggia?
L’economia globalizzata appare sempre di più dominata dalla grande finanza e dalla tecnocrazia. La concentrazione spinta del sistema bancario ha portato a meccanismi collusivi tra le diverse banche e tra le banche e i grandi gruppi industriali. Un meccanismo che è stato alla base del crack del 2007. Proprio per questo condivido la tesi di Marco Vitale, economista di valore e grande esperto di banche popolari.E qual è la tesi di Marco Vitale?
Le banche devono diventare sempre più omogenee, burocratiche, rigide, anonime e staccate dal territorio e da simili sentimentalismi. Senza anima, identità e cultura. Per fortuna la Costituzione e un grande baluardo contro queste forzature.[/auth]
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La difficile gestione dei crediti deteriorati
5 anni agoDi Non Performing Loans se ne parla ormai da anni, ma oggi più che mai il problema preoccupa governi, istituzioni, banche e operatori del mercato finanziario decisi a trovare una rapida ed efficace soluzione a un’incombenza di portata globale.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]A preoccupare l’intera comunità finanziaria europea sono gli ultimi numeri relativi alla percentuale dell’incidenza dei crediti inesigibili sul totale di quelli erogati. In Italia il dato si attesta intorno al 17%, cifra molto superiore rispetto ad altri paesi europei come Germania, Francia e Spagna che, insieme, non raggiungono il 15%. Questo ha rappresentato per il nostro Paese un campanello di allarme nei confronti di una situazione che necessita di immediati ed efficaci interventi normativi. In sintesi, i crediti deteriorati, detti anche Npls, sono crediti che la banca vanta verso soggetti terzi, i quali, trovandosi in uno stato di insolvenza e non potendo restituire le somme prese in prestito, non ne garantiscono il rimborso. Di conseguenza le banche devono raccogliere il capitale necessario per coprire questa eventuale assenza di pagamento, rischiando la bancarotta in caso di mancata copertura. Numerose sono state le proposte pensate dal Governo italiano ed esposte all’Unione Europea per risolvere il problema e ridurre la portata dei crediti in sofferenza. In primis, il progetto di una bad bank. Progetto che, basandosi all’origine su risorse pubbliche e rischiando quindi un aumento del prezzo di mercato dei crediti, non ha incontrato i favori di Bruxelles, da sempre ostile agli aiuti di Stato. Successivamente c’è stata la proposta, questa volta accolta dall’Ue, di una Garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze bancarie (Gacs): un sistema che permetta alle banche italiane di cedere i propri crediti deteriorati a nuovi veicoli finanziari creati per ciascun istituto, che potranno rivendere i crediti attraverso l’emissione di un titolo cartolarizzato coperto da una garanzia pubblica. A questi si è aggiunta la terza strada, che alla fine ha avuto la meglio, ritenuta da molti una via di mezzo fra una bad bank e un fondo di solidarietà per garantire gli aumenti di capitale delle banche creditrici. Si tratta di Atlante, il fondo d’investimento alternativo gestito da Quaestio Sgr e varato l’11 aprile scorso, il quale, con una dote di 5 miliardi di euro aumentabili fino a 6, si prefigge l’obiettivo di sostenere la ricapitalizzazione delle banche italiane e favorire la cessione delle sofferenze. Dei rischi, delle incertezze e delle difficoltà relative alla complessa questione dei Non Performing Loans e ai vari strumenti proposti se ne è parlato alla tavola rotonda di Le Fonti dal titolo «Banche e imprese: la gestione dei crediti deteriorati», moderata da Angela Maria Scullica, direttore responsabile delle testate economiche del gruppo. Alla tavola hanno partecipato: Alberto Del Din di Paul Hastings; Giulia Battaglia di Chiomenti; Umberto Mauro di Norton Rose Fulbright; Matteo Bascelli di Cba Studio Legale e Tributario; Fabrizio Colonna di Stelè Perelli Studio Legale; Oliviero Cimaz dello studio Biscozzi Nobili e Vieri Bencini Ceo di Sigla.Al problema dei crediti deteriorati il Governo ha risposto con varie soluzioni. Oltre alla bad bank, quali altri strumenti sono stati proposti al fine di arginare la crisi?BASCELLI Siamo di fronte a una situazione che pretende soluzioni sistemiche e innovative. Una recente variante introdotta per evitare che lo Stato subisca costi di processo ed scongiurare in tal modo la censura degli aiuti di Stato, è rappresentata dalla costituzione di bad banks per ciascuna banca o per pluralità individuata di banche in crisi, come avvenuto per le quattro banche commissariate Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. In questi casi, nella/e bad bank/s, priva/e di licenza bancaria e posta/e in liquidazione coatta amministrativa, sono concentrati in forma di contenitore/i i prestiti in sofferenza che residuano una volta fatte assorbire le perdite dalle azioni e dalle obbligazioni subordinate e, per la parte eccedente, da un apporto del cosiddetto Fondo di Risoluzione (previsto dalle norme europee con la Direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie – BRRD, recepite nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 180/2015, amministrato dall’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia ed alimentato con contribuzioni di tutte le banche del sistema), mentre alla parte buona (banca-ponte o bridge bank) sono conferite tutte le attività diverse dai prestiti in sofferenza, nonché i depositi, i conti correnti e le obbligazioni ordinarie. Sempre con il fine di smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari, il Governo ha recentemente introdotto con il D.L. 18/2016 le regole che definiscono la concessione di garanzie dello Stato nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza (cosiddette Gacs). Lo Stato garantirà in questa tipologia di operazioni soltanto le tranche senior delle cartolarizzazioni, cioè quelle più sicure, in quanto destinate a sopportare per ultime, rispetto alle tranche più rischiose (junior e mezzanine) le eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese.DEL DIN Il tema della bad bank è un tema su cui si lavora da oltre quattro anni, ci sono delle banche che hanno dichiarato da tempo che non avrebbero aderito alla bad bank pubblica e hanno scelto delle strade autonome e diverse, ad esempio scegliendo per le grandi esposizioni creditizie di costituire delle piattaforme di investimento con l’adesione degli operatori professionali che si propongono l’obiettivo di valorizzare il sottostante attraverso processi di turn-around e ristrutturazione industriale e finanziaria, accompagnati dall’erogazione di nuova finanza. Ovviamente in questo caso stiamo parlando di portafogli che non sono granulari, ma di loans di importi rilevanti e che richiedono l’elaborazione di strategie di valorizzazione che non può essere fatta su posizioni granulari. I progetti di bad bank tre, quattro anni fa erano progetti che tendevano ad aggregare banche di piccole e medie dimensioni per poter creare delle masse critiche attraverso il conferimento a valori IAS compliant dei propri crediti in sofferenza. Questi progetti privati contemplavano infatti che una molteplicità di banche conferissero i propri Npl (a valori IAS compliant) potendo deconsolidare ai fini contabili e creando una massa critica che, gestita da servicers adeguati alle dimensioni complessive dei portafogli ceduti alla bad bank, avrebbe potuto consentire un efficientamento del servicing e la creazione di un track record sulle performance dei predetti portafogli che avrebbero potuto facilitare una corretta valutazione da parte dei potenziali investitori interessati ad acquistare i portafogli Npl di tali banche. Questi progetti non hanno avuto al tempo il necessario seguito e non sono quindi stati all’epoca realizzati.BATTAGLIA È sicuramente importante la distinzione tra banche grandi e banche piccole, ma il mercato a mio avviso va suddiviso più tra le operazioni su crediti di grandi dimensioni e di dimensioni medio-piccole. Sulle esposizioni di grandi dimensioni possono esistere soluzioni tecniche basate su una gestione del singolo credito su base individuale e che sono state avviate ma sono soluzioni che funzionano o funzioneranno solo per i crediti deteriorati per i quali vale la pena di fare uno sforzo di strutturazione, valutazione, di analisi sia da parte di un eventuale investitore in equity che delle banche, quindi solo per quelli di importo molto elevato. C’è poi tutto un altro mondo che è quello dei portafogli frammentati e delle esposizioni verso le medie imprese che può essere trattato solamente come “massa” e lo strumento ideale per affrontare il problema di queste esposizioni è tramite una cartolarizzazione o una cessione, appunto, in massa. La garanzia dello Stato per agevolare la cartolarizzazione, (vale a dire il trasferimento del rischio al di fuori del sistema bancario), è uno strumento che funziona solo se i portafogli vengono venduti a prezzi di mercato e quindi tendenzialmente solo su portafogli che siano già stati ampiamente svalutati (il che accade per i portafogli di crediti molto piccoli ma non sempre per i crediti verso le medie imprese). Mentre per i crediti grandi esistono quindi delle possibili soluzioni privatistiche, che non implicano l’intervento dello Stato, per i portafogli già svalutati di crediti molto piccoli da gestire “in massa” sono ipotizzabili cartolarizzazioni e Gacs, per i crediti “medi” c’è un gap tra domanda e offerta, ovvero tra prezzo al quale il mercato sarebbe disposto a rilevare i crediti in sofferenza e i prezzi ai quali le banche sarebbero disposte a vendere, che al momento non sembra colmabile se non con un intervento pubblico.BENCINI Concordo che il Gacs, che ha lo scopo di rendere maggiormente vendibile la tranche senior della cartolarizzazione, funziona solo e soltanto con una struttura di capitale in cui si riesca a convincere gli investitori junior che i cash flow in sette-otto anni sono sufficienti a dare un ritorno del 13-15%. C’è un forte gap tra valore a bilancio e valori che sono effettivamente percepiti dal mercato, però secondo me il gap è minore sui crediti piccoli, perché sono quelli più facilmente trattabili e recuperabili. Su di essi la banca ha dei processi di accantonamento che sono più routinari e con carattere di maggiore oggettività perché fatti su base statistica. Il mercato, che sta crescendo fortemente, è quasi tutto sui crediti di piccolo taglio ed è lì che le banche hanno fatto il lavoro più strutturato di coprire e ridurre quel gap tra domanda e offerta.Qual è la situazione dal punto di vista fiscale?CIMAZ Il problema che noi fiscalisti riscontriamo, nel momento in cui ci poniamo dal lato delle banche, è quello delle svalutazioni o perdite sui crediti. Le implicazioni fiscali le valutiamo in base a quelle che sono le situazioni e le politiche di bilancio delle banche. Tradizionalmente era riscontrabile una grande distinzione tra le svalutazioni e le perdite su crediti, laddove vi era il timore che la svalutazione venisse gonfiata per ridurre le imposte. Oggi l’esigenza è invece completamente opposta. L’anno scorso è stato emanato un altro provvedimento che ha attutito queste differenze. Le regole che si applicheranno comportano una sfumatura della differenza tra le svalutazioni e le perdite su crediti: oggi le svalutazioni sono deducibili in quanto appostate in bilancio in conformità con i regimi contabili applicabili. Andando a ritroso nel tempo è possibile riscontrare come, inizialmente, fosse presente la regola che prevedeva che le svalutazioni fossero al massimo pari allo 0,50% dei crediti, ma successivamente ci si è accorti che la regola non aveva senso per le banche e quindi c’è stata un’apertura alla regola della deducibilità in diciotto anni. Il concetto era: rimane questo zoccolo dello 0,50% (poi ridotto allo 0,30%), tutto quello che viene in più si ripartisce su diciotto esercizi. In seguito, nel 2013, la regola è nuovamente cambiata, passando a cinque esercizi, il che significa che in banca abbiamo residui che si riportano su 18, oppure 9, ed infine 5 esercizi. Attualmente, invece, è tutto parificato, di conseguenza, in futuro, la regola sarà che svalutazioni e perdite su crediti andranno dedotte nello stesso esercizio. A governare sono i principi contabili e le impostazioni di bilancio.Qual è la posizione dell’Italia rispetto al resto dell’Europa nell’affrontare il problema dei crediti deteriorati?MAURO Come è stato accennato in precedenza, siamo arrivati un po’ in ritardo rispetto ad altri paesi europei. C’è un tema di fondo, che riguarda il timore che la garanzia sui crediti in sofferenza sia un’arma spuntata. Forse si potrebbe recuperare qualcosa con le servicing fee, soprattutto per i crediti di taglio minore, in cui l’incidenza della servicing fee può essere più alta, in modo da attenuare la differenza tra prezzo richiesto e prezzo offerto (peraltro la nuova normativa sulla garanzia impone che l’attività di servicing venga svolta da un soggetto diverso dalla banca cedente). Il problema si estende anche a problemi strutturali di fondo come la lentezza giudiziaria nel recupero dei crediti e nelle procedure concorsuali. Inviterei il legislatore a non fermarsi alla garanzia, limitata nel tempo a diciotto mesi, eventualmente prorogabile, ma ad intervenire su aspetti più importanti, ovvero sullo snellimento delle procedure di recupero dei crediti.COLONNA Riprendendo il tema della posizione dell’Italia e della lentezza operativa, mi viene in mente quello che è accaduto dal Governo Monti in poi, con il dialogo con la World Bank per il Doing Business che finalmente ha messo attorno a un tavolo tutti coloro che collaboravano per capire sia la questione della lunghezza del recupero crediti sia il tema dell’enforceability dei contratti, ovvero varie facce di una stessa medaglia. Proprio in questo contesto, per la prima volta, è stato compreso che quello dei recuperi crediti è un problema, originato in primis dalla lentezza e dall’incertezza della procedura. Il male del nostro Paese, a mio avviso, è che non conosciamo bene il “come” e il “quando” delle varie procedure, e ciò pone l’Italia in uno scalino inferiore rispetto ad altri paesi simili.BASCELLI Vengono sempre più ad affacciarsi sul mercato degli Npl quelli che la dottrina ha già battezzato come fondi d’investimento “di ristrutturazione”, cioè fondi assimilabili, per certi versi, a quelli già noti di private equity che raccolgono il patrimonio che andranno a gestire mediante le cessioni/conferimenti dei crediti deteriorati attribuendo alle banche cedenti/conferitarie quote del fondo stesso. La caratteristica fondamentale di queste ultime soluzioni sta nel diverso approccio di gestione, fortemente dinamico, dei crediti così ceduti/conferiti, rispetto a quanto si assiste nei casi delle bad banks e delle mere cartolarizzazioni. In particolare, guardando l’operazione anche nell’ottica della società debitrice, è innegabile che la concentrazione in un nuovo ed unico soggetto interlocutore (i.e. la società di gestione del fondo cessionario) rispetto alla pletora indistinta dei creditori cedenti (ossia le varie banche con distinte posizioni di credito), la discontinuità manageriale che la nuova gestione potrà garantire attraverso l’inserimento di figure professionali adeguate, la possibilità di apportare tramite appositi comparti, nuova finanza nonché le capacità di networking tipiche di un fondo di investimento, rappresentino caratteristiche che fanno immediatamente intuire il diverso grado di successo che tali soluzioni, definibili di vero e proprio turnaround, possono avere. Le banche cedenti/conferenti, da parte loro, avranno il vantaggio, a determinate condizioni, di una derecognition dei crediti ceduti a fronte delle quote del fondo ricevute quale “corrispettivo” della cessione, con diverso grado di “assorbimento” del patrimonio di vigilanza, potendo al contempo contare sull’auspicato futuro ritorno da investimento e recuperando in tal modo, almeno in parte, lo “sconto” applicato in fase di cessione. Tale ultimo aspetto potrebbe peraltro aiutare a superare una delle ragioni che attualmente paiono maggiormente ostative per una vera e propria partenza del mercato degli Npl in Italia, ossia il forte divario attualmente esistente tra i valori bid (ossia i valori che i menzionati operatori attribuiscono ai crediti deteriorati e ai quali sono disposti a comprarli) e quelli ask (ossia i valori ai quali le banche sono disposte a cedere i medesimi crediti).Quali sono state le conseguenze dell’esplosione dei crediti deteriorati per il tessuto imprenditoriale?MAURO La conseguenza più grave dell’esplosione dei crediti in sofferenza e quindi del peggioramento dei bilanci delle banche, è stata la contrazione dei crediti alle imprese. Questo problema c’è stato anche in altri paesi e ha determinato lo sviluppo del cd. shadow banking, cioè la disintermediazione bancaria. In questo contesto sono stati riconosciuti da molti ordinamenti nuovi player, tipicamente fondi, imprese di assicurazione, e società per la cartolarizzazione. L’Italia è arrivata in ritardo anche in questo caso.BATTAGLIA Nel primo momento in cui c’è stata la liberalizzazione e l’apertura ai lender alternativi, e quindi l’eliminazione della ritenuta dall’estero, l’apertura ai fondi di credito era un momento in cui le imprese italiane avevano un problema enorme di accesso al credito. Adesso siamo nella situazione contraria dove coloro da proteggere sono le banche che non riescono a impiegare i propri fondi; quindi in una situazione di tassi a zero in cui l’accesso al credito è più facile, è più importante dare una mano alle banche che alle imprese, che sono aiutate dai tassi molto bassi. Tornando al mio intervento precedente, l’analisi su quali sono le aree deboli dei portafogli bancari si riferiva non tanto al microcredito, ma a quei crediti che non vengono trattati nelle joint venture, ma sono comunque di importo elevato. Per tornare al servicing dei crediti, posso affermare che il servicing del credito elevato viene affrontato da solo in autonomia, il servicing del credito piccolo comporta delle procedure di recupero lunghe e banali, mentre la fascia di mezzo non è gestita. Proprio per quest’ultima sarebbe necessario implementare delle strategie che esistono già in altri paesi ma che in Italia sono poco note.BASCELLI Paiono maturi i tempi per risolvere alcune storture di sistema e rompere alcuni tabù, la cui permanenza parrebbe da attribuirsi a resistenze culturali e preoccupazioni politiche, piuttosto che ad irrinunciabili ragioni di tutela e salvaguardia di sistema. Si pensi, ad esempio, alle difficoltà operative che conseguono dalla (a dir poco) confusa normativa in tema di anatocismo (che attende ancora oggi le determinazioni tecniche del Cicr) e alle intrinseche limitazioni poste dalla Legge 108/1996 in materia di contrasto all’usura, la cui necessità di superamento, a determinate condizioni, è emersa solo con i cosiddetti Decreti “Sviluppo” e “Sviluppo bis”, in occasione della previsione dei minibond. A tale ultimo proposito – pur sempre avendo cura di preservare il sistema da fenomeni “patologici” e criminosi – nuove deroghe potrebbero essere pensate, ad esempio, per le Gacs alle relative tranche junior e mezzanine e per i menzionati fondi di ristrutturazione ai relativi comparti di nuova finanza, i quali, in quanto maggiormente rischiosi, pretendono remunerazioni più elevate di quelle di mercato. Ancora, l’ordinamento italiano attende da anni l’adeguamento del sistema garantuale, rigidamente ancorato ai principi di tipicità, di spossessamento e di non rotatività, salvo rare eccezioni come quelle introdotte con la disciplina sulle “garanzie finanziarie”.DEL DIN Non per spezzare una lancia a favore della Banca d’Italia, ma culturalmente l’Italia è diversa dal mondo anglosassone: nel nostro contesto storico, politico e sociale, la Banca d’Italia si pone a mio avviso il problema dell’apertura indiscriminata della possibilità di fare finanziamenti perché in Italia le piccole e medie imprese sarebbero le prime a subire le conseguenze negative di un ampliamento indiscriminato della facoltà di erogazione del credito a soggetti non istituzionali o comunque in assenza dei presidi ad oggi esistenti a tutela degli stessi debitori. Anche i minibond, per cui c’è stato un grande entusiasmo iniziale, hanno avuto un esito diverso da quello atteso.COLONNA Partiamo con il dire che la garanzia dello Stato non poteva garantire tutto, altrimenti sarebbe stato un aiuto di Stato. È un dato di fatto che in questo momento c’è la possibilità di accedere facilmente al credito bancario, ma le banche non guadagnano più come una volta sullo spread sul differenziale tra raccolta e impieghi, che costituiva un tempo il piatto ricco delle banche retail. In Italia le banche che ci hanno provato ma non sono state in grado di fare investment banking, si scontreranno poi con lo scoglio del fintech, con l’uso di determinati strumenti di pagamento che allargheranno la platea dei players. In questo modo si riducono i margini di guadagno e c’è una massa di crediti deteriorati e una platea di soggetti che rischia di sfuggire anche al controllo della vigilanza, pensiamo anche al tema dello shadow banking. Da qui ci sarà una dicotomia tra tutta una serie di soggetti già autorizzati e quindi vigilati che probabilmente manterrà l’hub in Italia (si pensi alle principali banche), mentre numerosi altri soggetti entreranno in questo mercato anche e soprattutto dall’estero, e saranno difficilmente monitorabili e rintracciabili dai soggetti preposti. Per quanto riguarda le tranche junior, senior e mezzanino, mi chiedo le tranche non garantite che appetibilità hanno per l’investitore estero? Ritengo che ci voglia la certezza del diritto per invogliare gli stranieri a investire in questo mercato.Che possibilità ci sono, nella gestione dei crediti deteriorati, di rivolgersi anche a investitori esteri?BENCINI Dal mio osservatorio, oggi sono gli investitori stranieri che prevalentemente stanno comprando e che poi allocano ai diversi servicer gli asset in modalità diversa. A mio parere, dunque, il 90% dei flussi di investimento viene dall’estero e solo il 10% proviene dall’Italia.MAURO In Italia c’è un tema molto stringente: l’attività di acquisto crediti è un’attività finanziaria a tutti gli effetti, regolamentata, pertanto limitata a certi soggetti. Vorrei ricordare che, per i crediti deteriorati è stata fatta un’apertura l’anno scorso consentendo a certe condizioni alle società che svolgono l’attività di recupero crediti, e che tecnicamente non sono degli intermediari finanziari, di acquistare tali crediti deteriorati da banche o intermediari finanziari.BATTAGLIA Sono d’accordo che nel medio-lungo periodo è necessaria una modifica nell’atteggiamento del legislatore italiano, in modo che diventi più creditor friendly; al momento quello che noi vediamo da operatori del diritto, è uno spostamento verso garanzie di diritto straniero, per cui per esempio su alcuni asset, come le navi, le banche straniere richiedono che tali asset siano conferiti in società che non siano italiane, con un’ipoteca non di diritto italiano, ovvero che le partecipazioni in società italiane siano trasferite a SPV lussemburghesi o irlandesi per avere la certezza di poter escutere il pegno in caso di necessità.DEL DIN Esiste l’esigenza primaria di supportare i valori dei crediti in sofferenza attraverso una riforma che modifichi in modo più radicale il processo di esecuzione forzata allo scopo di velocizzare i tempi di recupero dei crediti in sofferenza, per poter ridurre il gap tuttora esistente tra domanda e offerta e sbloccare quindi il mercato delle sofferenze bancarie. Per i crediti unsecured il mercato si è rivalutato e si è mosso in qualche modo, mentre per le sofferenze ipotecarie non c’è una soluzione immediata. Io credo appunto che la soluzione più incisiva sia quella di modificare ancora le procedure esecutive e in modo più drastico per consentire, ad esempio, alle banche la repossession sulle sofferenze già esistenti. Ciò consentirebbe un recupero più breve, permettendo alle banche di poter valutare in modo più adeguato i crediti garantiti da ipotecari. Il punto è che bisogna operare con una certa urgenza. Il mercato immobiliare è tra quelli più colpiti perché la congiuntura economica sfavorevole non dà segni di sensibili miglioramenti nel breve.Qual è il vostro giudizio conclusivo sul provvedimento relativo ai crediti deteriorati?DEL DIN La Gags è uno strumento assolutamente utile, ma non risolutivo perché siamo di fronte a una malattia grave e questo strumento da solo non può sbloccare il mercato delle sofferenze.BATTAGLIA Dati i vincoli a disposizione e la necessità di conformarsi a quelli che erano i dettami della comunità europea in termini di aiuti di Stato, è stato fatto probabilmente il provvedimento migliore possibile. Chiaramente perfettibile in alcuni piccoli aspetti, ma tecnicamente il giudizio è positivo.COLONNA Diciamo che il provvedimento è una condizione necessaria ma non sufficiente, e come tale va considerato. Mantengo un punto interrogativo sulla conversione e sulle novità che comporta. Certo è che si è consolidato un trend di apertura verso mondi giuridicamente e culturalmente diversi dal nostro, che abolisce tutti i confini territoriali creando un mercato unico e vasto, che va verso una uniformità di soluzioni.MAURO Anche secondo la mia opinione non era possibile fare di più, nel rispetto della normativa sugli aiuti di Stato. Ora mi auspico che si intervenga sullo snellimento delle procedure giudiziarie ed esecutive. Infine credo che se si vuole risolvere il problema dei crediti in sofferenza non ci si debba rivolgere soltanto all’istituto di garanzia, ma siano necessari altri interventi in altri ambiti.BASCELLI Personalmente mi sento di esprimere un giudizio complessivamente positivo circa gli interventi normativi sinora posti in essere nel tentativo di contrastare il protrarsi della congiuntura economica sfavorevole, convinto al contempo che le regole debbano avere anche il tempo per potersi consolidare tramite la loro applicazione pratica, prima di essere eventualmente integrate e/o riformate.BENCINI Concordo sul fatto che di più non si poteva fare visti i vincoli europei, e credo che il governo e la Banca d’Italia spingano nella direzione di consolidare il sistema bancario attraverso un processo di aggregazione di banche piccole e grandi. Solo un sistema bancario forte potrà svalutare correttamente i crediti deteriorati e mettere di nuovo le banche nelle condizioni di erogare e finanziare l’economia.CIMAZ Lo Stato non può sostituirsi alle banche, ci sono delle regole che permettono agli operatori di lavorare nel rispetto delle leggi e quello che ho colto dagli esperti di diritto bancario è che qualcosa di buono è stato realizzato, ma la complessità delle procedure esecutive e il ritardo dell’Italia su quanto avviene nel resto d’Europa lascia perplessi.Federica Chiezzi[/auth]
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