Il mercato potenziale del credito di filiera è pari a più di 570 miliardi di euro ma ad oggi è poco sfruttato. Mentre factoring e anticipo fattura crescono nella diffusione, le soluzioni più tecnologiche sono ancora al’inizio
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Cresce in Italia l’interesse per il supply chain finance, l’insieme di soluzioni che consentono a un’impresa di finanziare il capitale circolante facendo leva, oltre che sulle caratteristiche economiche, finanziarie o di business, sul ruolo all’interno della filiera. Ma se il mercato potenziale è pari a più di 570 miliardi di euro (il valore totale del montecrediti di crediti commerciali a fine 2014), ad oggi ne è sfruttato solo il 27%. Le soluzioni di finanziamento del circolante più diffuse in Italia, infatti, il factoring e l’anticipo fattura, insieme finanziano complessivamente 146 miliardi di euro, pari al 26% del mercato potenziale. Le soluzioni di supply chain finance innovative coprono invece solo l’1%. Tra quelle più recenti che solitamente richiedono un utilizzo delle tecnologie digitali ci sono: l’inventory finance (che permette di “smobilizzare” il magazzino, di cui si segnalano recenti partnership tra istituti finanziari e operatori logistici) e il purchasing finance (il finanziamento basato su ordini di acquisto invece che fatture). L’invoice auction (marketplace per la compravendita di fatture tramite asta) e il dynamic discounting (la gestione dinamica dei tempi di pagamento e degli sconti tra cliente e fornitore) si sono appena affacciate al mercato italiano. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Supply Chain Finance della School of Management del Politecnico di Milano da cui emerge la necessità di nuovi modelli e strumenti di finanziamento nel nostro Paese, inclusi quelli di valutazione del merito creditizio.
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La banca nell’era dell’intelligenza artificiale
5 anni agoBlockchain, cognitive computer, software robot: la rivoluzione digitale del credito cambia le regole del gioco. E in Italia c’è chi è in pole position
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Un cambiamento epocale. Quasi un salto quantico, quello che attende il settore bancario nei prossimi anni. Le trasformazioni che hanno interessato il credito nell’ultimo decennio sono solo l’antipasto della rivoluzione, indotta dall’avvento di nuove tecnologie, che sta radicalmente innovando il modello di business del comparto. Un’autentica frattura di sistema che sta già portando gli istituti a spingere gli investimenti nella digitalizzazione sia del back office (con lo sviluppo della gestione intelligente dei big data) sia del front office, con l’accentuazione del passaggio delle principali funzionalità bancarie, a disposizione del cliente, sui dispositivi internet mobili.Innovazione dietro l’angolo. A segnalare come la digital transformation del canale bancario attraverso la fintech (tecnologia evoluta applicata ai sistemi creditizi) sia un fenomeno in accelerazione è una recente ricerca dell’Idc, International data corporation. La società specializzata in ricerche di mercato spiega che, nonostante gli importanti cambiamenti che hanno interessato il mondo bancario negli ultimi dieci anni, la trasformazione alla quale lo stesso andrà incontro tra il 2017 e il 2020 sarà senza precedenti. Entro tre anni, infatti, le principali tecnologie identificate come disruptive, tra le quali blockchain, cognitive computing e software robot, saranno in uso presso il 50% delle banche di tutto il mondo. Non si tratta di uno scenario ipotetico ma di un quadro in un’avanzata fase di sviluppo. Il 95% delle banche mondiali ha, infatti, già aperto un cantiere per l’adeguamento tecnologico che non si traduce solo in investimenti, e dunque in un’innovazione di processo e di prodotto, ma si sostanzia nell’adozione di un nuovo paradigma. Non basta, infatti, integrare nuove tecnologie nel lavoro. Gli operatori devono affiancarvi servizi finanziari innovativi, riscrivere le modalità di interazione con i clienti, cambiare i modelli di gestione del core business.
Blockchain. Le novità non si limitano solo al web e ai canali alternativi di gestione del rapporto con la clientela. Le tecnologie sulle quali oggi si punta per aumentare l’efficienza del sistema sposano algoritmi avanzati che anticipano l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Uno dei campi più promettenti è quello del Blockchain, un sistema nato nell’alveo del Bitcoin, la criptovaluta per le transazioni digitali. Il suo funzionamento si basa su un database che sfrutta la tecnologia peer-to-peer per mantenere collegate, come in una catena, una lista crescente di record. Il sistema è aperto: chiunque può entrare e prelevare informazioni dall’elenco e diventare un “nodo” della rete che certifica i dati contenuti.
Nel caso del Bitcoin, il database è un libro contabile in cui sono registrate tutte le transazioni fatte nella moneta virtuale dal 2009 a oggi, e rese possibili perché approvate ogni volta dal 50%+1 dei nodi. Questo elimina il benestare delle banche per il via libera a una transazione economica. Lo stesso modello, estrapolato dal contesto originario, può essere utilizzato in altri gli ambiti. Per esempio per garantire il corretto scambio di titoli e azioni, per sostituire un atto notarile e per garantire la bontà di un sistema di votazione. Ogni transazione viene, infatti, sorvegliata da una rete di nodi che ne garantiscono la correttezza e ne mantengono l’anonimato.
Queste caratteristiche fanno del Blockchain un protocollo sicuro e inespugnabile sul quale incardinare transazioni con elevato grado di affidabilità e certezza. Per questo 40 banche hanno finanziato la nascita del consorzio R3 Cev che studia l’utilizzo della tecnologia nella piattaforma di pagamento internazionale e la definizione di regole di utilizzo negli scambi monetari. Al consorzio collaborano partner di alto livello come Microsoft Azure, Ibm e Amazon Aws e la presenza di questi big ha stimolato una crescita rapida degli investimenti nel comparto. Così il Blockchain ha le potenzialità per impattare su quasi ogni attività del settore finanziario e rivoluzionare, nel breve termine, il mercato dei pagamenti e del trade finance.Robot e software intelligenti. Ci sono altre aree di sviluppo tecnologico con le quali le banche dovranno necessariamente confrontarsi a breve. Una di queste è rappresentata dalle «tecnologie cognitive» già impiegate nell’ambito della finanza per risolvere le problematiche relative al rilevamento delle frodi o per fronteggiare gli attacchi di hacker ai sistemi informatici. Nel prossimo futuro gli stessi algoritmi saranno estesi anche, ad esempio, per semplificare la gestione dei prodotti finanziari da parte dei clienti. A questi strumenti si affiancheranno inoltre i nuovi software robot, cosiddetti bots, ovvero le tecnologie Rpa (Robotic process automation) le cui prime applicazioni sono già in uso in molte banche per gestire processi complessi sostituendosi all’uomo. I vantaggi che derivano sono principalmente l’abbattimento dei costi operativi, grazie alla riduzione degli errori di gestione, e l’incremento della soddisfazione dei clienti per la maggiore rapidità delle decisioni.
La fintech rappresenta dunque una nuova base sulla quale le banche potranno costruire le nuove architetture per l’analisi dei dati, l’automazione dei processi e la gestione dei processi decisionali. In breve tempo molte funzionalità dei sistemi ormai obsoleti saranno soppiantate dalle nuove pratiche accelerando, nel complesso, la trasformazione digitale del comparto finanziario.Automazione evoluta in agenzia. Non solo software avanzato e intelligenza artificiale. Le banche non possono rinunciare alla presenza fisica sul territorio attraverso le agenzie e le filiali. Ma anche in questo caso gli investimenti saranno indirizzati, principalmente, alla riqualificazione e all’aggiornamento evoluto delle modalità di contatto con la clientela. Le aziende di credito sono già oggi, per esempio, fortemente orientate alla gestione intelligente della rete di terminali bancomat per consentire un contenimento dei costi e soddisfare le esigenze della clientela sempre più evoluta. Le aziende che offrono business intelligence in questo settore offrono già soluzioni operative complete.
È il caso della Bassilichi di Firenze che ha recentemente presentato B.Fit, un modello di analisi che consente di dimensionare, ottimizzare e aumentare l’efficacia del canale bancomat. «La nuova suite B.Fit testimonia la propensione all’innovazione che ha sempre guidato le nostre scelte in 60 anni di storia per continuare a offrire soluzioni efficaci in grado di supportare i clienti nella gestione del business e nei processi di trasformazione dettati dall’evoluzione dello scenario competitivo», ha commentato Leonardo Bassilichi, l’amministratore delegato della società. B.Fit rende visibili quattro aspetti fondamentali di una rete di bancomat: la mappatura precisa e completa (geo-localizzazione, unità organizzativa, tipologie di terminali); la rappresentazione del volume di operazioni per terminale, per fascia oraria, per tipologia di operazione; la valutazione della probabilità di coda e la percentuale di abbandono da parte della clientela, con particolare riferimento agli orari a rischio, e la correlazione con il numero di terminali disponibili e, infine, l’analisi dell’obsolescenza del parco terminali in riferimento alla localizzazione, all’unità operativa, alla tipologia e alla correlazione con l’operatività. Il reporting è immediato e le analisi supportano la banca con indicazioni puntuali sui siti in cui è necessario intervenire. Grazie alle informazioni ottenute la banca può destinare nuovi bancomat per aumentare il tasso di automazione di siti con forte saturazione e potrebbe, invece, evitare di posizionare nuovi asset in aree con bassa frequenza di utilizzo.I player italiani. Anche se alle prese con ricapitalizzazioni importanti imposte dalle autorità europee per adeguarsi a nuovi standard patrimoniali, le istituzioni creditizie italiane non sono rimaste alla finestra nei processi di adeguamento delle loro strutture alla tecnologia più avanzata. Lo testimonia il rapporto The state of digital banking 2016 pubblicato da Forrester Research (società di ricerca di mercato leader mondiale sui temi digital) che ha indicato Intesa Sanpaolo, l’unica europea insieme a Bbva e CaixaBank, tra i sette player mondiali più evoluti in termini di profondità della trasformazione digitale intrapresa. Nel report, l’istituto guidato dall’ad Carlo Messina, è espressamente citato come un benchmark ed evidenziato come un caso di eccellenza internazionale. A Intesa Sanpaolo è stata riconosciuta «la chiara comprensione dei percorsi di acquisto e post-vendita e la superiore capacità di utilizzo dei dati disponibili con le quali ha saputo ridisegnare l’esperienza multicanale della clientela». La leva sulle tecnologie digitali per implementare una forte integrazione dei dati (reddituali, transazionali, comportamenti multicanale da fonti interne ed esterne) unita alla visione globale del cliente, ha permesso l’avvio di un vero approccio di real time marketing. In parallelo sono stati rivisti i processi, anche in filiale, per rispondere sempre più in tempo reale alle richieste della clientela e recuperare così efficienza. Il rapporto cita anche esempi concreti: sui prestiti personali e carte di credito circa il 25% delle erogazioni avviene ora in tempo reale, mentre un ulteriore 60% è chiuso in giornata. Da sottolineare anche che la velocità non è andata a discapito dei conti aziendali: nei primi undici mesi del 2016 l’introduzione del nuovo processo multicanale ha ridotto drasticamente il peso del credito problematico.
Al dinamismo digitale di Intesa Sanpaolo risponderà in tempi brevissimi Unicredit con l’avvio operativo di Buddybank, la banca nativa digitale del gruppo progettata a misura di smartphone. La partenza, che doveva avvenire il primo gennaio scorso, è stata posticipata e l’annuncio dello slittamento è arrivato dal responsabile del progetto, Angelo D’Alessandro, che per la comunicazione ha scelto uno strumento in linea con lo spirito della banca: un post sul social Instagram. Già dalla partenza, Buddybank si focalizzerà esclusivamente sul canale smartphone per offrire tre prodotti finanziari classici (il conto corrente, la carta di credito o debito e prestiti personali fino a 25mila euro) più un servizio di concierge via chat o telefono, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, che assisterà i clienti anche in operazioni quotidiane, quali la prenotazione di un ristorante, lo spostamento in taxi o la pianificazione di un viaggio attraverso una rete di partnership con altre startup o aziende. L’obiettivo è di raggiungere il break-even al terzo anno con 300mila clienti e un cost/income del 30% in cinque anni. Un’idea che potrebbe diventare esperienza di riferimento di un nuovo concetto di credito digitale in tutto il mondo. Secondo i piani di sviluppo a fine 2018 è previsto che Buddybank approdi negli Usa. «Partendo dalla California», ha spiegato alla presentazione ufficiale D’Alessandro che ha aggiunto: «Stiamo valutando con il top management altri paesi. Con la licenza italiana possiamo andare in due mesi in tutti i paesi Ue, ma pensiamo anche a Sudamerica, Asia e Africa».[/auth]
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Lasciate stare le banche popolari
5 anni agoIl modello cooperativo degli istituti di credito legati al territorio, è messo in discussione. Il presidente di Assopopolari spiega come andrebbe difeso e perchè i numeri gli danno ragione. E ricorda che ci sono banche che non hanno mai venduto derivati, fatto subprime, emesso subordinate…
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Il 2017 sarà un anno importante per le banche popolari. La Corte Costituzionale scioglierà definitivamente il nodo sul cambio della governance e nel frattempo si capirà se la fusione tra Banco Popolare e Bpm sarà un caso isolato oppure l’inizio di una trasformazione più profonda. Nel frattempo anche il mondo delle Bcc va incontro a mutamenti epocali. Con il raggruppamento sotto diverse holding: nel giro di poco tempo 250 banche si uniranno in tre o quattro gruppi di respiro nazionale. Con Corrado Sforza Fogliani, presidente di Assopopolari, proviamo a immaginare quale sarà il futuro del credito cooperativo.Cominciamo con la domanda più facile: che cosa sta accadendo?
Il modello cooperativo sembra messo in discussione, nella forma e in quello spirito che caratterizza le banche di territorio al di là della loro dimensione. Noi siamo decisi a difenderlo. I numeri ci danno ragione. Abbiamo una patrimonializzazione di categoria che è il doppio di quella richiesta. Difendiamo il regime di concorrenza nel settore, che solo le banche territoriali assicurano. Difendiamo il solido legame con l’economia reale che rappresentano. È della primavera scorsa la notizia che il ministro delle Finanze tedesco e quello inglese sono intervenuti presso l’Ue proprio per la tutela delle banche di territorio. La generale constatazione che la Borsa punisce le banche che fanno credito deve oggi far riflettere il mondo dell’impresa, ma non solo.In Italia lo Stato torna azionista delle banche. La stagione delle privatizzazioni si è chiusa o quella in corso è solamente una pausa?
Le strutture del credito vanno affrancate da conduzioni pubbliche e para- pubbliche che le legano a un passato del tutto superato. I risparmiatori e gli investitori non possono essere chiamati a rispondere di responsabilità che, anche nell’allocazione del risparmio, fanno capo, in ultima analisi (e da sempre), allo Stato. Che infatti ne rispondeva.Che cosa vuol dire?
Che bisogna impedire la proliferazione di iniziative come i diversi fondi allestiti per i salvataggi bancari.
E perché?
Perché mettono a carico delle banche gestite bene il soccorso alle concorrenti in dissesto. Come si è visto si tratta di iniziative con il fiato corto.Se non intervengono le altre banche si impone la presenza dello Stato che però non vi piace. Come uscirne?
È urgente il ritorno allo Stato di diritto, anzitutto attraverso una giustizia civile efficiente, che ripristini il valore dei contratti privati, anche accorciando i tempi delle procedure concorsuali. Bisogna inoltre chiedersi se la politica monetaria sia davvero in grado di farci superare il momento critico che attraversa l’Europa.Non le piace quello che fa Draghi?
Ricordo che la politica dei tassi d’interesse negativi o al minimo è all’origine della crisi del 2007. Adottarla non induce «ad affamare la bestia» (come si dice negli Stati Uniti) della spesa pubblica, né a ridurre il debito che imbriglia l’iniziativa privata. II sistema bancario non può ancora essere condizionato dal pericolo di una fuga di denaro. Non può essere anchilosato da un eccesso di regolamentazione, proveniente proprio da un’istituzione che ha posto la proporzionalità della rappresentanza tra i suoi principi fondamentali. In qualche momento, abbiamo perfino avuto l’impressione che sia in atto una campagna preordinata contro le banche della nostra categoria.
Vuol dire che istituzioni europee vogliono le banche a taglia unica privilegiando il modello della Spa?
Diciamo che non hanno mostrato interesse per il nostro modello di governance. Senza accorgersi che ci sono popolari che non hanno applicato l’anatocismo ancora anni prima che venisse vietato, non hanno venduto derivati, non hanno fatto subprime (neppure all’italiana), non hanno emesso una subordinata. E hanno un Tier1 anche superiore al 18%. Eppure sono cose che forse a Francoforte trascurano e che non si riesce a far scrivere da nessun giornale. Non per dire che altri comportamenti siano scorretti, perché non lo sono, ma semplicemente perché sono una notizia e i giornali vendono notizie. Però non c’è niente da fare. Non passa.È anche vero che la banche non fanno molto per rendersi simpatiche. Ultimamente hanno perso anche l’affidabilità. Non è proprio una situazione splendida, non trova?
Prendersela con le banche non conviene a nessuno. Se non a chi pensa di poter ridurre il mercato del credito a un insieme di poche presenze che poi facilmente farebbero valere la propria posizione oligopolistica. Le banche di territorio sono il primo ostacolo a un disegno del genere. Per questo sono osteggiate.Un complotto ai danni delle banche popolari? Difficile da credere…
Le popolari fanno gola perché sono le più patrimonializzate del sistema. Fare i banchieri è sempre stato difficile. Ma oggi è difficile anche farlo serenamente: in caso di imprese in crisi, prefetti e sindacati chiedono che non venga tagliato il credito, che si evitino i licenziamenti. Chi si rifiuta è messo alla gogna ma chi lo fa, finisce davanti al giudice penale per abuso di credito.E l’Unione Europea?
L’Europa dei burocrati ci mette pesantemente del suo. La normativa sulla risoluzione delle crisi bancarie attraverso il bail-in è stata recepita con scarsa attenzione dal Parlamento italiano. Contro di essa si è espresso anche il Fondo monetario internazionale.Siamo alle solite però: la colpa è sempre degli altri. Mai possibile che i banchieri non abbiano mai responsabilità?
Tocca ai magistrati individuare le responsabilità. Vorrei ricordare, però, che nel diritto penale le colpe sono personali e non possono essere attribuite all’intero sistema. Invece l’opinione pubblica è inondata di dubbi, di remote eventualità, di possibili pericoli. Le banche che vanno bene sono state gravate dall’obbligo di mettere in sicurezza alcune banche da tempo commissariate. Fra l’altro tutte casse di risparmio o ex casse di risparmio, a eccezione di una sola popolare. Ma correggere informazioni errate al proposito è stato molto difficile.Ancora un’assoluzione per il credito facile?
Le banche hanno fatto le cose non nel modo in cui avevano pensato di farlo, ma nel modo in cui è stato loro imposto. Col risultato, per esempio, di creare il problema delle obbligazioni subordinate che altrimenti non ci sarebbe stato. Una struttura di regole così complicato da aver spinto un colosso come Barclays a pagare 250 milioni a Mediobanca perché rilevasse i suoi sportelli. Il venditore che paga il compratore pur di liberarsi delle proprie attività. Converrà che c’è qualcosa di malato in questa inversione dei ruoli. Soprattutto dovrebbero riflettere gli imprenditori che credono ancora in un sistema libero di economia e non solo nei sussidi di uno Stato onnivoro.
Da questa descrizione l’Italia appare come un Paese dov’è difficile fare tutto. Non solo impresa ma anche banca. Forse un eccesso di pessimismo, non crede?
Chi può continuare a operare serenamente sul mercato del credito nella situazione attuale, in un paese nel quale lo Stato, nel silenzio assordante di ogni altra istituzione, lascia spendere il proprio nome come garante in una megagalattica operazione in favore di chi raccoglie ma non fa credito? Siamo in una situazione in cui lo Stato parteggia per una parte in concorrenza le altre.Ogni riferimento a Poste Italiane non è casuale. Le banche popolari come si collocano in questa partita?
Il credito popolare e cooperativo è oggi una realtà in continua espansione. Nel mondo sono attivi oltre 200mila istituti di territorio che hanno 435 milioni di soci, 700 milioni di clienti, 9mila miliardi di euro di raccolta e 7mila di impieghi. Assopopolari (oggi Associazione di banche popolari e del territorio) conta 63 banche associate, 52 società finanziarie e 150 banche corrispondenti per un complesso di 1,3 milioni di soci, 12,4 milioni di clienti, 8.700 dipendenti, 450 miliardi di attivo. La quota di mercato è pari al 25% sia nella raccolta sia negli impieghi.Qual è lo scenario fuori dall’Italia?
La cooperazione bancaria è, per la sua stessa storia, ben radicata nel Nordamerica e in Europa. Oggi appare in forte-espansione in Africa e in Sudamerica. Crescenti manifestazioni di interesse provengono dalla Cina, dove le banche cooperative hanno una radicata tradizione. Ovunque è apprezzato il fatto che le banche territoriali non vanno e vengono dal loro territorio. Sono anzi inscindibilmente legate (per dirla con Adam Smith: non per beneficenza, ma nel loro stesso interesse) al progresso e allo sviluppo dell’area in cui sono insediate, con quote di mercato che ne fanno, come bene è stato detto, dei «piccoli giganti».
Che cosa vuol dire in concreto?
Guardate alle condizioni del credito nel nostro Sud. È stato colpito, dopo l’eliminazione delle banche di territorio, da una crisi di liquidità che tutti conoscono ma di cui nessuno parla: le poche grosse banche rimaste erogano finanziamenti dove già (e se) gli conviene.Sta descrivendo il piccolo mondo antico che andava bene a metà dell’800 quando le prime popolari videro la luce. Ma adesso?
Il loro ruolo resta fondamentale per l’economia locale. Le banche popolari investono nel loro territorio quanto in esso raccolgono. Esaltano la mutualità che ci caratterizza (la nostra forza è rappresentata dal rapporto socio-cliente) sotto un particolare aspetto. Quello della «solidarietà di territorio», che non è chiusura ma sinergia. Hanno, cosa che in molti trascurano, nel loro stesso modo di fare banca, l’economia di scala migliore. Il monitoraggio dei clienti è esercitato da un controllo sociale che va ben al di la dei contratti. Le banche locali, per questo, sono contraddistinte in assoluto dai migliori indici di redditività e da una migliore qualità del credito. E anche per questo sono state in altri periodi storici assediate e soggette a indebite forzature.Per esempio?
Nel 1927 il governo dispose a quelle con depositi inferiori a 5 milioni di fondersi o essere poste in liquidazione. Quelle con depositi inferiori a 10 milioni venivano costrette a confluire in qualche altra banca della categoria.La storia si ripete considerando il decreto che impone il cambio di governance…
Oggi il nostro paese è tenuto in scacco da quello che abbiamo chiamato «il vento del bonapartismo economico». E questo nonostante l’esperienza degli Stati Uniti e le recenti vicende dimostrino che il gigantismo bancario non è la cura di tutti i mali, non rende necessariamente il sistema più stabile. Spesso non contribuisce neppure a una sua maggior efficienza.Che cos’è il bonapartismo economico?
Qualcuno, come l’economista bolognese Stefano Zamagni ha ipotizzato l’esistenza di un preciso disegno che punta all’eliminazione delle banche del territorio. Non direttamente ma esasperando il rispetto di regole troppo pesanti,Una specie di Spectre mondiale del credito. Tesi suggestiva ma su quali basi si appoggia?
L’economia globalizzata appare sempre di più dominata dalla grande finanza e dalla tecnocrazia. La concentrazione spinta del sistema bancario ha portato a meccanismi collusivi tra le diverse banche e tra le banche e i grandi gruppi industriali. Un meccanismo che è stato alla base del crack del 2007. Proprio per questo condivido la tesi di Marco Vitale, economista di valore e grande esperto di banche popolari.E qual è la tesi di Marco Vitale?
Le banche devono diventare sempre più omogenee, burocratiche, rigide, anonime e staccate dal territorio e da simili sentimentalismi. Senza anima, identità e cultura. Per fortuna la Costituzione e un grande baluardo contro queste forzature.[/auth]
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Parla Gian Maria Mossa: Vogliamo diventare la più grande banca private
5 anni agoL’amministratore delegato di Banca Generali mira a trasformare l’attività dell’istituto applicando ai piccoli risparmiatori le stesse tecniche di gestione utilizzate per i grandi patrimoni. Ecco come
Banca Generali accelera sulla trasformazione in banca private. Naturalmente inseguendo l’eccellenza. È questa la svolta che l’amministratore delegato Gian Maria Mossa vuole imprimere all’istituto in un orizzonte di cinque anni[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]A Londra avete dedicato una intera giornata al tema della Mifid 2. Che cosa cambierà per il cliente e per la banca?Con le nuove regole viene posta attenzione ancora maggiore alla qualità del servizio. Il valore della consulenza risulta centrale così come il rispetto del profilo dei clienti. Le aree di intervento riguardano anche la «product governance», ovvero la centralità dei produttori asset-manager, l’importanza della formazione e la trasparenza informativa. Oltre naturalmente ai costi. In sostanza il cliente potrà meglio confrontare il valore del servizio, e le dinamiche dei differenti prodotti più focalizzati sul proprio profilo.Quanto costerà alle banche la riforma?Per le banche diventano necessari nuovi standard di trasparenza nei costi, massima coerenza nella distribuzione, maggiori controlli sulle operazioni effettuate sui mercati non regolamentati. Tutto questo comporterà sicuramente forti investimenti in tecnologia cui si aggiungono oneri più pesanti per la trasparenza. Sono sfide che Banca Generali ha affrontato per tempo. In questo senso oggi ci sentiamo in pole position.Come cambierà la figura del promotore?Continuiamo a credere nel ruolo del professionista e nel contributo della consulenza non indipendente, che rispecchia già ora pienamente i requisiti normativi. La nostra clientela ha a disposizione una molteplicità di prodotti con un’offerta di qualità. Ma anche la protezione dai rischi di liquidità, credito, attribution oltre che di mercato. Abbiamo fatto un passo avanti proponendo un nuovo contratto di consulenza evoluta (Bg Personal Advisory). Un’opportunità aggiuntiva per la protezione del patrimonio: finanziario (con il monitoraggio delle posizioni e delle masse detenute anche presso istituti terzi come avviene nei family office) e non finanziario col nostro approccio esclusivo alla gestione. Soluzioni su misura in ambito immobiliare, finanza d’impresa e passaggio generazionale per gestire tutte le necessità familiari.Una ricerca così esasperata della trasparenza serve davvero alla clientela o c’è solo una produzione spropositata di carta?Ci sono aree dove l’interpretazione normativa non ha ancora fornito direttive precise. Il dialogo con gli operatori vuole mantenere il focus sull’interesse del risparmiatore. Ci auguriamo che le autorità tengano conto del ruolo fondamentale che i professionisti hanno avuto al fianco delle famiglie assistendole in questi anni di criticità per il sistema finanziario. Ad ogni modo, ben vengano le iniziative che contribuiscono ad accrescere il dialogo di fiducia tra le parti. Certamente i cambiamenti non saranno facilmente digeribili per tutti. Penso alle piccole realtà che dovranno affrontare crescenti costi per gli obblighi informativi e gli adeguamenti richiesti. La tecnologia gioca un ruolo determinante nel rendere le procedure più efficienti, focalizzare i flussi di informazioni, e quindi nella razionalizzazione delle comunicazioni cartacee. L’attenzione alla consulenza anche nei prodotti gestiti per avere una diversificazione su misura ci ha spinto verso una nuova frontiera di prodotti. Si tratta dei «wrapper» finanziari e assicurativi, che già presentano livelli di trasparenza molto elevati con tutte le note di scomposizione dell’investimento e le voci relative. Per verificarne lo stato basta l’accesso alle consultazioni digitali delle app per i clienti o la Doconline per la rendicontazione.Perché cambiate focalizzazione: da rete a banca private. Significa che taglierete i portafogli più piccoli?Essere banca private per noi non significa servire solo la clientela con determinate possibilità. È un approccio opposto, e del tutto nuovo nel panorama italiano. Significa portare la qualità dei servizi private, finora prerogativa solo di grandi investitori o delle fasce più elevate di patrimonio, alle famiglie. La personalizzazione dell’offerta, tipica delle soluzioni private, si applica a tutti i clienti. Grazie alle economie di scala e allo sviluppo tecnologico mettiamo a disposizione competenze, professionalità, tecnologia ed esclusività di strumenti e servizi. Il nostro approccio ai servizi di gestione con la consulenza sugli investimenti immobiliari, la finanza d’impresa, il family protection, o la consulenza sui molteplici rischi di investimento e protezione dei portafogli, sono paradigmi che vanno oltre la semplice diversificazione. Sono soluzioni che vestono come un abito su misura le necessità patrimoniali, e non solo di risparmio, della clientela.Quale sarà la strategia nei confronti della rete di consulenti?I nostri consulenti sono e resteranno centrali. Tutti i servizi sono studiati sulla base del valore del loro ruolo nei confronti del cliente. Al contrario di altre esperienze, consideriamo un punto di forza l’orientamento molto chiaro in questa direzione. Puntiamo a valorizzare il talento dei consulenti attraverso molteplici strumenti e soluzioni evolute. I forti investimenti in tecnologia, l’evoluzione dei prodotti come i nostri contenitori «wrapper» gestiti che sottendono un elevata personalizzazione, così come l’approccio esclusivo alla gestione, sono fattori che aprono a nuove frontiere nella relazione col cliente. Questa scelta trova riscontro nei numeri. I portafogli medi dei nostri professionisti sono passati da circa 7 milioni nel 2007 ad oltre 26 milioni dieci anni dopo. L’espansione li ha portati ai vertici del mondo Assoreti e sta proseguendo. La formazione per noi è fondamentale e rappresenta un altro elemento distintivo della strategia sulla rete.Come affrontate la sfida della robot advisory?Gli algoritmi per l’allocazione degli investimenti esistono ormai da quindici anni. Non per questo è venuta meno la centralità dei gestori. L’evoluzione tecnologica ha reso più accessibili queste piattaforme che hanno il pregio di sensibilizzare i risparmiatori sul tema della diversificazione. Su temi come pianificazione patrimoniale, protezione del patrimonio e consulenza sugli obiettivi del cliente e della famiglia, servono competenze specialistiche e professionisti supportati al meglio. Per questo noi nei riferimenti al fintech e alla tecnologia per il settore parliamo di robo for advisory, ovvero di applicativi e componenti digitali che consentono di sviluppare piattaforme e soluzioni informatiche esclusive per la consulenza evoluta. È qui la sfida più interessante nelle nuove frontiere del private della consulenza.Come procede la trasformazione digitale?Molto bene. È un processo complesso che va seguito con molta attenzione per cogliere appieno i vantaggi delle ultime tecnologie sulla base degli obiettivi. Guardiamo alle migliori esperienze internazionali non solo nel comparto, ma anche laddove la cura del cliente è stata attraversata da processi di innovazione che ne hanno fatto un’eccellenza. Abbiamo sposato appieno le potenzialità del digitale in mobilità con app dedicate ogni servizio della banca: mercati, consulenza evoluta, portafogli etc. La nostra presenza digitale consente l’attività operativa e le pratiche amministrative con semplici passaggi che tengono il consulente al fianco del cliente. Stiamo lavorando sull’intero modello di banca in chiave informatica: rivedendo i processi, gli spazi, l’home banking che aprirà a nuove funzionalità particolarmente evolute anche in chiave di protezione degli investimenti. Abbiamo chiamato «Bg ALLways» il progetto che pone al centro la qualità, sempre e in tutti i modi, in tutti gli ambiti della banca.Avete annunciato possibili acquisizioni: avete qualcosa in mente o almeno può dirci che tipo di azienda state cercando e in quale area geografica?La crescita per linee esterne fa parte del dna di sviluppo di Banca Generali sin dalle sue origini, ma non è un dogma. L’incorporazione di realtà come Bsi Italia, Gottardo, il ramo di private di Credit Suisse, solo per citare le ultime operazioni straordinarie, dimostrano l’efficienza e la capacità di costruzione di nuovi perimetri. La crescita di oltre 5 miliardi della raccolta dell’anno scorso, ribadita quest’anno con una stima tra i 5 e 5,5 miliardi, conferma la solidità di un modello di business capace di allargare il perimetro in modo significativo anche per linee interne. Quando sono arrivato in banca, quattro anni fa, le masse erano poco più di 26 miliardi. Ora sono raddoppiate, accelerando di oltre 10 miliardi nell’ultimo anno e mezzo grazie soprattutto al lavoro della struttura. La capacità di innovazione nei prodotti e la qualità delle persone sono, oggi, la componente di crescita maggiore. Per rispondere chiaramente, Banca Generali è sempre pronta a valutare le opportunità di mercato, magari nelle piccole boutique in difficoltà nel fronteggiare le sfide di mercato e della Mifid 2. Andare avanti su questa strada non è un obbligo e deve sempre essere basato sulla coerenza del prezzo.Come sarà Banca generali nel 2021?Lavoriamo in un settore molto complesso in cui la volatilità e le variabili sui mercati possono avere influenze significative. È difficile quindi tracciare orizzonti accurati in un quadro così mutevole e fluido. Quello che posso dire è che stiamo lavorando perché nel medio-lungo termine Banca Generali continui a essere protagonista nella consulenza e nel private. Cerchiamo uno sviluppo sostenibile puntando sull’innovazione tecnologica e sulla professionalità dei consulenti. Al termine di triennio vediamo le nostra masse passare dai 52 miliardi attuali agli oltre 70 miliardi. Crediamo nell’esclusività delle nostre soluzioni gestite per proteggere dai rischi di mercato. Per questo ci aspettiamo che le masse in questo segmento raddoppino già nel giro di un biennio a oltre 20 miliardi. Stiamo ridisegnando tutti i processi alla base del nostro modello relazionale di essere banca, in chiave digitale. In poche parole, vogliamo essere quello puntiamo a esprimere col nostro lavoro: la prima banca private in Italia per valore e innovazione del servizio.[/auth]
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