Le nuove tendenze del risparmio

In uno scenario globale in evoluzione prendono forma nuove strategie d’investimento e prodotti finanziari. Quali? Se ne è parlato nel corso di una tavola rotonda promossa da Ascosim
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Abbassare il rischio volatilità, prima di tutto. E mettersi al riparo dalle fluttuazioni delle materie prime, petrolio in testa. Dalla politica fiscale di Donald Trump, che dovrebbe generare inflazione e spingere la Fed a inasprire i tassi. Dalle conseguenze della Brexit, ancora tutte da verificare. Ma anche ottimizzare i portafogli andare in cerca di rendimento in un contesto di tassi zero o quasi.

Gli obiettivi degli investitori, sicurezza e profitto, sono quelli di sempre. Per raggiungerli però oggi bisogna fare i conti con uno scenario globale profondamente mutato. Ecco allora che si preferisce un approccio cross asset, piacciono i fondi aperti, si registra il boom di Etf smart beta e multiasset, si predilige una gestione attiva ma utilizzando come sottostanti strumenti a basso costo.

È la soluzione più vantaggiosa? A questa domanda ha provato a dare risposta la tavola rotonda dal titolo Strategie di investimento e prodotti finanziari: gestione attiva e passiva che si è svolta a Palazzo Mezzanotte lo scorso 1° febbraio. Il dibattito si è inserito all’interno dell’evento dedicato al mondo della consulenza finanziaria indipendente e al risparmio gestito promosso da Ascosim con la partnership editoriale di World Excellence. Alla tavola hanno partecipato esperti del settore come Antonio Bottillo, executive managing director e country head della società di gestione Natixis Global Asset Management, Marcello Chelli, referente Lyxor Etf per l’Italia, Mauro Giangrande, head of passive distribution di Deutsche Asset & Wealth Management Italy, e Massimo Siano, executive director, head of Southern Europe di Etf Securities. Le strategie per il 2017, l’utilizzo di fondi multiasset come produttori di rendimento, il rafforzamento del dollaro in confronto all’euro e alla sterlina, sono alcuni degli spunti emersi.

 

Secondo un recente studio pubblicato da JP Morgan Equity Research, negli Stati Uniti vi è stato un notevole spostamento dai fondi attivi ai quelli passivi, nell’ordine di 150 miliardi di dollari. Sempre nel 2016 solo il 32% dei fondi azionari attivi negli Usa hanno sovraperformato il proprio benchmark. È una tendenza che si osserva anche in Europa e in Italia?

chelli Queste tipo di ricerche sono note ormai da decenni, basti pensare al research di Mediobanca o allo spice index di Standard & Poor’s che calcola quanti sono in termini percentuali i fondi attivi che riescono a battere il loro benchmark. Ma i dati di queste pubblicazioni non sempre sono negativi, per esempio, nello studio dell’anno passato gli azionari italiani erano l’asset class che riusciva battere meglio il loro benchmark. Il vero trend va verso la gestione passiva all’interno di un servizio di investimento attivo. Costruire una soluzione di investimento per il cliente di carattere attivo utilizzando come sottostanti strumenti a basso costo, tra cui gli Etf, diventa un tema principale rispetto alla scelta tra fondo attivo e quello passivo. Siamo molto lontani come numeri rispetto all’America dove gli Etf pesano sul risparmio gestito per il 16%, mentre in Europa sono al 7% e in Italia al 2,3%. Quello che notiamo è l’inserimento di Etf all’interno di soluzioni attive, dove vi è anche una parte di risk management. Comprare un Etf su Ftse Mib non è la soluzione ai problemi finanziari ma è necessario inserirlo in una logica più dinamica e multiasset. I gestori si specializzano sempre meno su aree geografiche e molto più in un approccio cross asset. Lo si capisce analizzando i dati di Borsa italiana che ci rilevano che per ogni 100 euro negoziati in azioni, ve ne sono 17 negoziati in Etf: questo numero era 10 due anni fa e 2 dieci anni fa. È la conferma il fatto che si investe sempre più in un’ottica di asset allocation e non di stock picking e avendo questo tipo di approccio diventa naturale spostarsi sugli Etf.

Per concludere, contesto la dicotomia attivo contro passivo, ma ritengo che una soluzione per il futuro sia una gestione attiva su prodotti passivi. Si va verso soluzioni come gli unit linked basati negli Etf, le gestioni patrimoniali, i fondi che utilizzano Etf e la grande apertura che si presenta ora è da parte degli investitori istituzionali che cominciano a utilizzare gli Etf, soprattutto in un’ottica di protezione, come sottostanti di una soluzione più ampia.

I fondi multiasset stanno avendo un grande successo (120 miliardi raccolti negli ultimi tre anni). Le prospettive di mercato consigliano di puntare ancora su questi prodotti?

bottillo Inizialmente si è pensato al multiasset non solo per tendere a una diversificazione “sostenibile”, ma anche tenendo conto del fatto che gli investitori hanno abbandonato l’investimento diretto in securities, azioni e obbligazioni singole a favore dei fondi aperti. Oggi vediamo un’evoluzione nell’utilizzo di questa strategia all’interno dei portafogli, che va nella direzione di usare i fondi multi-asset per generare rendimento. Ritengo che nel futuro le classificazioni fin qui fatte verranno abbandonate per spostarsi verso una catalogazione in base al ruolo specifico che hanno all’interno del portafoglio. In particolare, ci avvicineremo a due classificazioni specifiche: strategie in grado di contribuire alla diminuzione della volatilità del portafoglio e strategie volte a ottimizzare e tendere a un maggior rendimento.

Continua senza sosta anche la crescita degli Etf smart beta. Secondo Morningstar, l’incremento in Europa è stato del 25% negli ultimi 12 mesi raggiungendo quota 40 miliardi di dollari. Possono essere una valida soluzione anche per il 2017?

giangrande Gli smart beta appartengono a quella famiglia di Etf che si caratterizza per il fatto di replicare indici che utilizzano criteri alternativi rispetto alla classica capitalizzazione. Sebbene l’obiettivo sia spesso quello di creare un extra-rendimento rispetto al mercato, gli Etf smart beta sono comunque prodotti a gestione passiva, ossia non vi è un gestore che adotta scelte di natura discrezionale. Sul mercato sono stati lanciati diversi Etf smart beta azionari, in Borsa italiana ce ne sono per esempio già oltre 50. Nell’ambito obbligazionario sono invece molti meno, e la ragione risiede nel fatto che gli indici fixed income classici, basati per l’appunto sulla capitalizzazione, sono molto efficienti. Sia perché sono spesso caratterizzati da un turnover contenuto sia perché la capitalizzazione rimane un criterio fondamentale per determinare se un titolo è liquido o meno. Ciò non toglie che sia possibile proporre delle soluzioni volte a superare alcuni dei limiti degli indici fixed income, il più noto dei quali è per esempio quello relativo al debito accumulato. La capitalizzazione, infatti, nulla ci dice in merito alla capacità di un emittente di ripagare i suoi debiti in futuro, inoltre, più aumenta il debito a causa di un crescente fabbisogno finanziario, e più aumenta il peso di un emittente all’interno dell’indice.

Non sempre si tratta di Etf lanciati sul mercato di recente, basti pensare che i primi prodotti high dividend, ossia quelli che selezionano i titoli e stabiliscono i pesi sulla base del dividendo, esistevano già nel 2007. Il successo è stato immediato perché erano semplici da comprendere, anche per i retail. Con gli Etf di più recente generazione, quelli definiti fattoriali, c’è voluto un po’ più di tempo ma gli ultimi dati di raccolta sono molto interessanti. Ancora più interessante è il fatto che con questa tipologia di Etf si è verificato un vero e proprio riavvicinamento, se non addirittura una invasione di campo, tra la gestione passiva e quella attiva. Se la gestione attiva sta infatti cercando di beneficiare di alcuni vantaggi tipici degli Etf, quotando alcune delle strategie più note, la gestione passiva sta facendo altrettanto su un altro piano, quello delle performance: molti studi hanno dimostrato che alcune caratteristiche comuni a più titoli, per esempio quelli value, riescono a spiegare buona parte dell’extra rendimento che si può generare nel medio lungo termine. Tale rendimento prescinde dalle caratteristiche specifiche di un titolo, e quindi dal classico stock picking, per cui può essere riprodotto attraverso gli Etf con una gestione totalmente quantitativa e a costi decisamente ridotti.

Lo scorso anno c’è stata una notevole volatilità delle quotazioni delle materie prime, in particolare del petrolio. Quali sono ora le aspettative?

siano Negli ultimi cinque anni, l’indice dei prezzi della produzione cinese è sempre calato: la Cina quindi ha esportato in deflazione. Il 2017 vede per la prima volta l’indice salire rispetto all’anno precedente. E dato che vi è una forte correlazione tra l’indice dei prezzi della produzione in Cina quello dei prezzi al consumo mondiale, vuol dire che probabilmente i prezzi delle materie prime saranno stabili o in rialzo. Un’altra novità è che gli Usa sono potenzialmente esportatori netti di gas naturali, ma se investono in tecnologia a prezzi attuali, nei prossimi cinque anni potrebbero diventare anche esportatori netti di greggio. Questo significa che il dollaro acquisirà forza, le spese militari saranno minori e migliorerà la bilancia dei pagamenti. Non è un caso che uno dei primi provvedimenti dell’amministrazione Trump sia stato l’autorizzazione a due oleodotti e gasdotti importanti che passano dal Canada fino ad arrivare in Texas. Da qui al 2030 vi sono 640 miliardi di dollari di investimenti privati nelle infrastrutture energetiche, con tassi di interesse molto elevati. In sintesi la Cina esporta inflazione, l’amministrazione Trump agevola infrastrutture energetiche e le società che costruiscono oleodotti e gasdotti hanno finanziato all’86% il partito repubblicano che ha vinto in quegli stati dove dovrebbero passare le infrastrutture. Se sommiamo questi eventi economici e politici pensiamo che il prezzo delle materie prime, in particolare di quelle energetiche, sarà lievemente in rialzo e il settore su cui puntare nel 2017 sia proprio quello delle infrastrutture energetiche americane.

A dicembre la Fed ha alzato i tassi per la prima volta dal 2015. E si prevede un’accelerazione nel corso dei prossimi mesi. Con quali conseguenze?

chelli Se si fa riferimento al rischio di rialzo dei tassi e dell’inflazione, vorrei che si guardasse agli Etf in maniera diversa: non solo come strumenti di market access ma anche di risk management. Finora si è pensato l’Etf come un modo per poter accedere al mercato in modo semplice immediato ed economico. In realtà gli Etf si prestano a essere strumento per gestire i rischi. Se si guarda il rialzo dell’inflazione esistono Etf che permettono di esporsi a basket di titoli inflation linked. L’elemento nuovo sul mercato sono gli Etf sull’inflazione attesa, che vanno a scommettere sulle aspettative del mercato. Scontano quella che è l’attesa di inflazione implicita nei prezzi dei bond inflation linked. Con questi strumenti si può prendere posizione sulle attese di inflazione. Mentre una soluzione più semplice per gestire il rialzo dei tassi è selezionare Etf su bond a tasso variabile.

Molti osservatori pronosticano un rafforzamento del dollaro. Come cogliere questa opportunità e quali rischi per i risparmiatori?

siano Innanzitutto il vero evento predominante è il caso Brexit e il valore della sterlina. Nel 2016 il dollaro, il peso messicano e la lira turca sono sprofondati allo stesso livello e la sterlina è diventata una moneta emergente. Il vero problema nell’area euro potrebbe essere l’inflazione. Nel momento in cui l’articolo 50 verrà firmato la Gran Bretagna avrà due anni di tempo per uscire dall’Ue e stipulare un nuovo trattato. Se firmerà, nel 2019, lo stato britannico dovrà pagare dazio nelle esportazioni. Ciò comporterà grandi cambiamenti, in particolare nell’industria pesante che sarà costretta a spostarsi dalla Gran Bretagna in quanto per vendere automobili in Europa, l’80% dei componenti devono essere prodotti e assemblati all’interno della zona europea. Inoltre i servizi finanziari dalla Gran Bretagna non saranno più passaportati quindi l’Unione Europea chiederà una sede europea per tutta l’industria finanziaria britannica. Questo rappresenta un grave problema sia dalla parte dei servizi sia per l’industria pesante. Si presume che nel lungo periodo si vedrà un dollaro forte se l’amministrazione Trump non cambierà la sua politica di ritorno ai dazi. Mentre vedremo un euro debole e il business vero si proietterà sulla sterlina.

L’attuale contesto di mercato e la maggiore concorrenza nella distribuzione dei prodotti possano comportare una pressione sui margini della società prodotto e sulle commissioni?

bottillo Il passaggio dalla promozione alla consulenza è un cambiamento epocale. Ci si svincola dalla tendenza di creare prodotti dedicati ad alcuni momenti specifici dei trend macroeconomici e si passa a una logica diversa: offrire soluzioni. Siamo di fronte a un trend che va nella direzione di una riduzione dei margini. Il quadro giuridico di riferimento va verso una maggiore tutela dell’investitore mentre l’industria deve sostenere un incremento dei costi. Questo non vuol dire che l’industria del risparmio gestito non sarà da cavalcare. Anzi, abbiamo sempre maggiore necessità di investire e contribuire alla trasformazione del risparmiatore in investitore, in particolare nell’ambito italiano. Abbiamo, dunque, necessità di procedere con servizi concreti e reali: la costruzione di portafogli, il ruolo dell’asset class, delle soluzioni e delle strategie verso quella che è la necessità dell’investitore. Si va verso una compressione dei guadagni, ma verso una maggiore attenzione ai costi che gli investitori dovranno sostenere.

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