Le banche tra smartphone e concorrenza del web

Gli istituti di credito stanno ripensando il concetto stesso di filiale, sempre meno frequentata dai correntisti, per costruirlo attorno a una serie di competenze specializzate, che giustifichino un prezzo più elevato per il cliente. E si preparano all’arrivo dei colossi di internet che rischiano di mettere a repentaglio margini e fatturato.

Interattivi ed esigenti, iperconnessi e alla ricerca di costi dei servizi sempre più bassi ma con elevata qualità. Sono i nuovi clienti delle banche, profondamente diversi da quelli che solo qualche anno fa si presentavano allo sportello, oggi affiancato in maniera sempre più prevalente dal canale digitale.

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Un recente report di CheBanca (gruppo Mediobanca) spiega che nei prossimi cinque anni il contatto tra cliente e banca avverrà dalle 20 alle 30 volte al mese con lo smartphone, 5-10 volte con un contact center, 3-5 attraverso un Atm e solamente una o due in filiale. Un cambiamento che ha già messo in moto meccanismi di riposizionamento strategico dell’attività bancaria: le transazioni classiche (come i versamenti, i prelievi e l’incasso di carta finanziaria) tradizionalmente erogate allo sportello registreranno una tendenza decrescente, genereranno minor valore aggiunto e saranno marginali nel contributo al conto economico, mentre i costi di struttura resteranno quasi inalterati. L’unica voce in crescita sarà la richiesta di un contatto specialistico nelle sedi fisiche su dossier complessi che necessitano di consulenza specifica, come la richiesta di mutui o le operazioni di finanza strutturata per le piccole imprese. Le banche dovranno dunque ripensare il concetto di filiale e costruirlo attorno a una serie di competenze specializzate, disponibili a richiesta, e che giustificano la richiesta di un prezzo più elevato al cliente.

Smartphone e pc: il grande business. A testimoniare il cambio delle modalità di accesso in banca è anche una ricerca dell’Associazione bancaria italiana, in collaborazione con Gfk, che spiega come siano ormai oltre 18 milioni i clienti che accedono ai servizi grazie al web. Non solo. La metà di questi lo fa in mobilità attraverso lo smartphone, con una crescita molto elevata nell’ultimo anno mentre negli ultimi due sono cresciuti di oltre 3,5 milioni gli utilizzatori di mobile banking e lo smartphone è utilizzato da oltre 9 milioni di persone (pari al 31%, contro il 24 nel 2016)
Nel complesso il 95% delle persone usa almeno un canale digitale per relazionarsi con la banca, scegliendo o mixando tra Atm, internet banking, mobile banking e contact center. La ricerca ha individuato tre grandi fasce di clientela rideterminate dall’ingresso massiccio della rete nel contatto tra clienti e istituti di credito. Così accanto ai tradizionali, e cioè coloro che accedono ai servizi tramite l’agenzia o il promotore, si sono posizionati i fisici e digitali, caratterizzati da un uso di entrambi le modalità e che rappresentano il 53% della clientela. Infine, i solo digitali evoluti, navigatori abituali sulla rete e utilizzatori di internet banking, che accedono sempre più spesso alla banca anche con lo smartphone: 52% contro una media del 31 relativa all’universo dei bancarizzati. Anche la frequenza di contatto è elevata: il 59% di questi clienti fa un uso assiduo della banca, accedendovi almeno ogni due giorni o anche più spesso, e il 52% raccoglie informazioni e confronta i servizi bancari, non solo recandosi nelle agenzie ma anche effettuando ricerche in rete nei siti bancari e non.

Nuovi concorrenti e un mercato diverso. Non è solo sulle transazioni classiche che la banca sarà costretta a cambiare tattica. In tutti i settori del credito è l’arrivo di nuovi concorrenti, estranei all’attività tradizionale, a mettere a repentaglio margini e fatturato. Nel settore dei pagamenti, per esempio, i colossi di internet hanno già messo radici e iniziano a occupare gli spazi che prima erano di dominio assoluto delle banche. Se finora questa evoluzione ha interessato gli Usa ora i primi passi sono mossi anche sui mercati europei. Così negli Stati Uniti è già attivo Google Wallet, un’applicazione che trasforma il telefono cellulare in un borsellino digitale senza costi aggiuntivi. E sullo stesso principio si basa Apple Pay sviluppato dalla casa di Cupertino e già inserito nel portafoglio di offerta dei principali istituti bancari italiani. Anche Facebook si muove nella stessa direzione con il test sugli utenti di Messenger (oggi 700 milioni nel mondo) di un sistema di pagamento attraverso gli sms scambiati sulla piattaforma del social network.
Si tratta di una sfilza di concorrenti aggressivi che non hanno però l’intenzione prioritaria di conquistare le banche, e non sono nemmeno partiti per sviluppare un sistema di pagamenti alternativo. La loro filosofia è diversa e può rappresentare una traccia per ripensare il modello di business degli operatori classici del credito. I social media, infatti, nascono aggregando persone, costruiscono una piattaforma sulla comunità generata (la cosiddetta community) e a questa forniscono servizi di ogni genere, anche quelli bancari dunque, ma non solo. Sta agli operatori tradizionali individuare forme di partnership per agganciarsi a queste nuove realtà, pena la loro scomparsa.
Sulla base di questi condizioni anche il credito deve iniziare a considerare, nel suo capitale intangibile, il valore della community dei suoi clienti. A questa occorre proporre non solo servizi tradizionali (la transazione non la vuole pagare più nessuno perché è diventata una commodity e i clienti la fanno da soli) ma soprattutto utilità ad alto valore aggiunto. Non è solo teoria. Gli esempi di questo modello sono già presenti sul mercato.
Uno di questi è Swizzy offerto da Artigiancassa (gruppo Bnl Bnp Paribas), un’app studiata per agli artigiani e le microimprese che non nasce come servizio bancario ma come strumento di marketing digitale da usare su smartphone. A utilizzarlo per primi in maniera strutturata sono stati i parrucchieri. Una categoria che ha bisogno, oltre ai fidi, anche di un aiuto per sviluppare il business. Nel caso specifico il coiffeur, che ha un’attività con picchi di lavoro concentrati in alcune ore della giornata, può attraverso lo strumento inviare un messaggio ai clienti con la proposta di uno sconto sul servizio se si presenta negli orari meno affollati. Si ottimizza così il flusso di lavoro e si possono aggiungere servizi aggiuntivi come la prenotazione di un certo tipo di taglio o un determinato colore della tinta. Le modalità di utilizzo sono molteplici ma l’obiettivo di tutte è creare valore per l’operatore economico. Alla banca resta uno strumento di conoscenza dell’azienda per lo sviluppo del business con la possibilità di fornire servizi tradizionali, come un finanziamento classico o un leasing tagliato su misura, partendo dalle informazioni che lo stesso negoziante fornisce alla piattaforma tecnologica.

La fine dell’attività tradizionale. Se la tecnologia apre il settore dei pagamenti e delle transazioni a nuovi soggetti, lo stesso rischia di avvenire nell’attività tipica bancaria. Il quasi monopolio nell’offerta di finanziamenti è aggredito dai nuovi player di origine non creditizia. Un colosso delle vendite on line come Amazon eroga prestiti alle Pmi che operano sul suo sito attraverso Amazon lending. Un servizio che concede fidi, oggi solo negli Stati Uniti e in Giappone ma presto anche in Italia, per un importo compreso tra mille a 600mila dollari e che arrivano all’impresa attraverso un meccanismo cosiddetto a “invito”. I venditori presenti sulla piattaforma non possono chiedere direttamente il prestito, è Amazon che sceglie le aziende a cui concederlo in base agli algoritmi interni che prendono in esame la popolarità dei prodotti e la frequenza con cui si esauriscono le scorte. Il fido è offerto agli operatori più performanti e il rating del cliente è stabilito a monte, addirittura prima che lo stesso ne faccia richiesta. In questo modo le potenzialità di sviluppo del commerciante on line sono incentivate dallo stesso sistema.
Ci sono altri esempi di questa rivoluzione. Come il caso di Kabbage, fondato ad Atlanta, che è una piattaforma di credito solo on line che ha erogato, dal 2009 a oggi, impieghi per circa 4 miliardi di dollari a 100mila aziende. Non bisogna poi sottovalutare il fenomeno, ancora non regolamentato ma in grado di stravolgere il circuito delle transazioni finanziarie, del peer to peer lending, cioè dei siti nei quali i privati cittadini si prestano i soldi tra loro, saltando l’intermediazione della banca. E ancora le aziende specializzate, come la francese Lendix, che mettono in contatto sul web i piccoli investitori direttamente con le aziende che presentano i loro progetti da finanziare. Un realtà in forte affermazione al punto che, lo scorso maggio, Lendix ha ottenuto anche la copertura del Fondo di garanzia pubblico gestito dal ministero dello Sviluppo economico per i finanziamenti erogati alle Pmi.

Ma il contante non sparisce. Se la direzione tracciata è quella di un mondo di pagamenti digitali con l’ingresso di gestori diversi dalle banche tradizionali, ci sono segnali evidenti della resurrezione del contante. A testimoniarlo è uno studio della Banca dei regolamenti internazionali che spiega come la crescita dell’uso di banconote sia legata alla crisi bancaria e dei debiti sovrani iniziata con il crollo della Lehman Brothers nel 2008.
Da quel momento, anni di sofferenza economica hanno spinto i risparmiatori a ricorrere al cash non tanto per regolare le transazioni ma per contare su una riserva di emergenza contro il rischio di un blocco del sistema bancario più volte paventato e realmente accaduto nella fase più acuta della recessione in Grecia. A spingere questo trend anche i bassi tassi di interesse riconosciuti agli investimenti che hanno motivato i risparmiatori a detenere quantità più elevate di contante nelle case e nelle cassette di sicurezza. E il fatto che in molti Paesi i depositi sopra i 5mila euro sono tassati.
Non solo. In Italia tra le cause che incentivano l’uso del cash c’è anche l’enorme fetta di economia sommersa insieme a fattori come il basso reddito di alcune aree del Paese, che non stimola l’uso di pagamenti alternativi. A favorire la ripresa della circolazione monetaria cartacea anche il cambio delle norme sulla soglia dei pagamenti (prima fissata in mille euro poi fatta risalire a 3mila). E, paradossalmente, anche la diffusione capillare dei distributori di contante che hanno registrato una fortissima espansione. Solo negli ultimi 10 anni gli Atm sono cresciuti del 50% con tassi più elevati nei Paesi emergenti.
A rimarcare la passione per il denaro liquido anche l’ultimo rapporto sulla società cashless 2017 della European House – Ambrosetti secondo il quale in Italia il contante in circolazione continua ad aumentare (da 128 a 182 miliardi di euro tra 2008 e 2015) ed è cresciuto del 6,9% nel periodo 2014- 2015. Nel confronto globale l’Italia è 25ª al mondo per cash intensity (rapporto tra il valore del contante in circolazione e Pil) tra le 131 economie prese in considerazione e il secondo peggiore Stato dell’Ue-28 (dopo la Bulgaria): 11,2% rispetto al 9,7% dell’Eurozona.

La risposta della carta elettronica. Anche il mondo dei pagamenti digitali ha iniziato a percepire la resistenza al cambiamento nell’uso della cartamoneta. Così i gestori dei circuiti internazionali hanno spinto l’acceleratore su soluzioni che ne aumentano la semplicità d’uso e l’accessibilità, come la diffusione delle carte di credito per pagare piccoli importi e l’arrivo della tecnologia che consente, ad esempio, di fare le offerte alla cassetta delle elemosine nelle chiese in Danimarca, pagare pizza e birra negli Stati Uniti tramite una app o usare il riconoscimento facciale nei fast food cinesi. L’uso di carte per i pagamenti di piccole somme è incentivato anche con la diffusione capillare dei Pos e, ora, con i meno costosi terminali basati su smartphone e tablet. Una strategia che inizia a dare risultati.
A livello globale i pagamenti elettronici nei Paesi componenti il Cpmi (Committee on payments and market infrastructures) sono passati dal 13% del Pil del 2000 al 25% del 2016, un aumento senza particolari differenze fra Paesi avanzati e gli emergenti. L’uso è al 10% in Germania, Giappone e Messico, oltre il 40% in Corea, Arabia e Gran Bretagna.

La privacy e la nuova sfida per le banche. La marcata automazione dei processi bancari e la sempre maggiore digitalizzazione dei pagamenti apre una nuova sfida per il sistema creditizio e finanziario.
Quella relativa alla gestione dei dati sensibili dei clienti che con, un corretto uso, può dare un’ulteriore spinta alla concorrenza e allo sviluppo del business. Dal maggio scorso è, infatti, pienamente operativo il regolamento europeo Gdpr sulla protezione dei dati personali che ha l’obiettivo uniformare le norme di settore dei Paesi Ue e ampliare la protezione dei suoi cittadini.
Tra le nuove facoltà previste ci sono il diritto all’accesso (articolo 15) che consente all’interessato di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un uso di dati personali che lo riguardano e, in caso affermativo, il diritto a ottenerne gratuitamente l’accesso. Previsto anche il diritto all’oblio (articolo 17) e cioè il diritto dell’interessato di interrompere la diffusione e l’elaborazione delle informazioni personali identificabili e di ottenere la cancellazione dei dati che lo riguardano. E il diritto alla portabilità (articolo 20). Ed è proprio questo l’elemento che potrebbe generare una maggiore concorrenza tra le aziende e un ampliamento del business. Il cliente di una società finanziaria potrà, infatti, spostare la sua storia personale relativa alla gestione del risparmio a un altro operatore, aiutando quest’ultimo a offrirgli un’offerta costruita attorno a parametri oggettivi tracciati nel tempo. Un’opportunità che può contribuire all’innovazione e allo sviluppo di nuovi servizi. Basta pensare al diverso approccio all’investimento che si registra nelle diverse fasi della vita di un risparmiatore e alla possibilità, per un operatore, di profilare un prodotto ad hoc grazie alla conoscenza dei differenti tassi di propensione al risparmio dei periodi precedenti. Queste informazioni, finora inaccessibili, sono ora nella disponibilità del cliente che cambia banca.
È ancora presto per valutare l’impatto che può determinare l’esercizio del diritto alla portabilità sulle strategie commerciali degli operatori finanziari. Si possono solo ipotizzare le conseguenze, partendo dall’assunto di un report elaborato da Cetif e Crif secondo il quale «la digitalizzazione comporta la gestione di un sovraccarico informativo, ma offre anche la possibilità di tariffare secondo nuove informazioni e di targetizzare ulteriormente i prodotti e i clienti».
La disponibilità di ottenere dal cliente la dote informativa sui comportamenti del passato è un fattore che potrà agevolare la loro migrazione da un operatore a un altro. E sulla scorta di quanto accaduto nel settore telefonico, si può trasformare in un elemento di marketing che può contribuire a un miglioramento dell’efficienza del mercato finanziario.

A cura di Antonio Maria Ferrari

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