Il nuovo gap generazionale. L'analisi di Joseph E. Stiglitz, professore alla Columbia University.

NEW YORK – Qualcosa di interessante è emerso nel comportamento di voto su entrambe le sponde dell’Atlantico: i giovani stanno votando in un modo nettamente diverso rispetto agli anziani, e sembra essersi aperto un enorme divario, non tanto basato sul reddito, sul livello d’istruzione, o sul genere, quanto sulla generazione degli elettori.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Tale divario si è venuto a creare per delle buone ragioni. La vita dei giovani e degli anziani, così come viene vissuta oggi, è diversa. Il loro passato è diverso, e diverse sono le loro prospettive future.
Per fare un esempio, la guerra fredda era già finita prima che alcuni di loro nascessero e quando altri erano ancora bambini. Termini quali “socialismo” non hanno più il significato di una volta. Se socialismo significa creare una società in cui le preoccupazioni condivise non vengono ignorate – dove le persone si preoccupano delle altre persone e dell’ambiente in cui vivono – allora ben venga. Sì, circa un quarto o mezzo secolo fa alcuni esperimenti realizzati sotto questa etichetta si rivelarono un fallimento, ma gli esperimenti odierni non hanno niente a che vedere con quanto successe allora. Pertanto, il fallimento degli esperimenti passati non anticipa nulla circa l’esito di quelli nuovi.
Gli americani e gli europei della vecchia classe medio-alta hanno avuto una buona vita. Quando sono entrati nel mondo del lavoro, li attendevano posti ben remunerati. La domanda che si ponevano era cosa volessero fare, non per quanto tempo avrebbero dovuto vivere con i genitori prima di trovare un lavoro che gli consentisse di andare via di casa.
Quella generazione confidava, con ragionevole sicurezza, di trovare un lavoro sicuro, sposarsi in giovane età, acquistare una casa – forse anche una seconda casa per le vacanze – e, infine, andare in pensione. In generale, i giovani di allora si aspettavano di vivere meglio rispetto ai loro genitori.
Anche se l’odierna generazione di anziani ha incontrato ostacoli lungo il cammino, nella maggior parte dei casi le loro aspettative sono state soddisfatte. Magari avranno guadagnato di più dalla rivalutazione della propria casa che dal proprio lavoro, e quasi sicuramente avranno trovato la cosa strana, ma hanno accettato di buon grado il dono dei nostri mercati speculativi, spesso attribuendosi il merito di aver acquistato nel posto giusto al momento giusto.
Oggi, le aspettative dei giovani, ovunque si trovino nella distribuzione del reddito, sono l’esatto contrario. Per tutta la vita si trovano a convivere con la precarietà del lavoro. In media, molti laureati troveranno lavoro soltanto dopo averlo cercato per mesi, e spesso dopo aver accettato uno o due tirocini non retribuiti. E questi possono dirsi fortunati perché sanno che i loro omologhi più poveri, alcuni dei quali erano persino più bravi a scuola, non possono permettersi di trascorrere uno o due anni senza percepire alcun reddito, e non hanno neanche gli agganci giusti per ottenere uno stage.
I giovani laureati di oggi sono schiacciati dai debiti, e più sono poveri, più sono indebitati. Quindi, la domanda che si fanno non è che lavoro vorrebbero, ma semplicemente quale lavoro consentirà loro di ripagare i prestiti universitari che spesso si porteranno dietro per vent’anni o più. Allo stesso modo, l’acquisto di una casa rappresenta un sogno irraggiungibile.
Queste lotte quotidiane fanno sì che i giovani non pensino molto alla pensione. Se lo facessero, si spaventerebbero solo constatando quanto gli toccherà accantonare per condurre un’esistenza dignitosa (al di là della previdenza sociale), data la probabile persistenza dei tassi di interesse a livelli bassissimi.
In breve, i giovani d’oggi vedono il mondo attraverso la lente dell’equità intergenerazionale. Ai figli della classe medio-alta andrà comunque bene alla fine, perché erediteranno la ricchezza dai loro genitori. Pur non piacendogli questo tipo di dipendenza, l’alternativa li attira ancora meno: un “nuovo inizio”, in cui tutto congiura contro la possibilità di raggiungere qualcosa anche solo vicino a quello che una volta era considerato, per la classe media, un tenore di vita essenziale.
Queste ingiustizie non si possono liquidare con facilità. Non è che questi giovani non s’impegnino: tali disagi colpiscono quelli che hanno trascorso lunghe ore a studiare, avevano ottimi voti a scuola, e hanno fatto tutto per bene. Il senso di ingiustizia sociale – ovvero che la partita economica sia truccata – si rafforza quando vedono i banchieri che hanno provocato la crisi finanziaria, la causa del persistente malessere dell’economia, portarsi a casa dei mega-bonus, senza che quasi nessuno di loro sia chiamato a rispondere delle proprie malefatte. È stata compiuta una frode spettacolare ma, in qualche modo, nessuno l’ha veramente commessa. Le élite politiche avevano promesso che le “riforme” avrebbero portato una prosperità senza precedenti e di fatto è stato così, ma solo per l’1% più agiato della popolazione. Tutti gli altri, compresi i giovani, si sono ritrovati catapultati in una situazione d’insicurezza mai vissuta prima.
Queste tre realtà – ingiustizia sociale senza precedenti, enormi disuguaglianze e una perdita di fiducia nelle élite – definiscono accuratamente il nostro momento politico.
Continuare a somministrare la stessa medicina non è una risposta, e questo è il motivo per cui in Europa i partiti di centro-sinistra e centro-destra stanno perdendo terreno. L’America è in una strana posizione: mentre i candidati repubblicani alla presidenza si sfidano a colpi di demagogia, con proposte sconsiderate che non farebbero che peggiorare le cose, entrambi i candidati democratici propongono cambiamenti che, se solo riuscissero a ricevere l’approvazione del Congresso, farebbero davvero la differenza.
Qualora le riforme presentate da Hillary Clinton o Bernie Sanders venissero adottate, si metterebbe un freno alla capacità del sistema finanziario di vessare chi già conduce una vita precaria. Inoltre, entrambi i candidati propongono riforme radicali che cambierebbero il modo in cui l’America finanzia l’istruzione superiore.
Ma bisogna fare di più per rendere la proprietà di una casa possibile non solo per coloro che possono contare sui soldi dei genitori per l’anticipo, e per garantire la pensione malgrado i capricci della borsa e i tassi vicini allo zero, che caratterizzano l’era attuale. Ancora più importante, il percorso dei giovani verso il mercato del lavoro non potrà essere agevole se la performance economica non registrerà un netto miglioramento. Il tasso di disoccupazione “ufficiale” negli Stati Uniti, pari al 4,9%, nasconde livelli di disoccupazione sotterranea molto più elevati che, come minimo, stanno schiacciando i salari.
Non riusciremo a risolvere il problema, però, se prima non lo avremo riconosciuto. I nostri giovani questo lo stanno facendo. Percepiscono l’assenza di una giustizia intergenerazionale e sono legittimamente arrabbiati.
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