La serata di premiazione dei Le Fonti Awards è stata preceduta da un CEO Summit che ha esaminato le sfide e l’evoluzione del panorama HR e il modo in cui la tecnologia e la digitalizzazione hanno impattato nel mercato del lavoro.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Il Ceo Summit dal titolo “HR Disruption: la trasformazione digitale del capitale umano” ha visto la partecipazione di Ragu Bhargava, CEO di Global Upside, Gabriele Fava, Socio Fondatore e Presidente di Fava & Associati e Vincenzo Nunziata, General Manager di Proma Group. Il primo ha parlato di come sta cambiando il panorama delle risorse umane, le sfide a cui è sottoposto, i rischi e i vantaggi di una forza lavoro globale e quali sono le strategie per avere a che fare con la regolamentazione in ambito HR. Gabriele Fava si è soffermato sull’impatto dello smart working e del regolamento europeo sulla privacy sul mondo del lavoro, spiegando come quest’ultimo cambierà con la new economy. Vincenzo Nunziata, infine, ha illustrato il modo in cui l’innovazione e la digitalizzazione impattano sul modello organizzativo e sulle figure professionali. A moderare il confronto è stata Debora Rosciani, giornalista di Radio24.
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“DEFINING THE FUTURE OF THE CFO”. Le Fonti a Palazzo Mezzanotte per l’evento dedicato al Corporate finance
3 anni agoIl Convegno, svoltosi a Palazzo Mezzanotte, si è focalizzato sul corporate finance con tre Tavole rotonde, a cui hanno partecipato illustri esponenti del mondo finanziario, legale, accademico, imprenditoriale, tra cui Alan Friedman, che hanno parlato di Cfo, pianificazione finanziaria, fintech e trasformazione digitale.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Il Financial Forum dal titolo “Defining the future of the Cfo” si è aperto con l’intervento di Alan Friedman che ha parlato del prossimo d-day finanziario ed economico italiano, dopo l’incertezza causata dalle elezioni politiche del 4 marzo. Friedman ha poi discusso della questione delle banche e dei futuri investimenti necessari. La prima Tavola rotonda dal titolo “Il Cfo nell’era dell’Industria 4.0: orientare gli investimenti in chiave strategica”, moderata da Alessia Liparoti di Le Fonti, ha visto la partecipazione di Roberto Mannozzi, Presidente ANDAF, Flavio Caruso Cfo di Sandoz, Maria Rosaria Leccese di Studio di Consulenza Tributaria e Societaria Leccese, Vito Rotondi Ceo e Managing Director di MEP e Gino Falvo, Direttore Amministrativo di Lepida. Il confronto ha messo in luce quanto oggi il Cfo sia sempre più manager dei dati e delle informazioni che arrivano all’interno dell’azienda, per questo ci sarà sempre più bisogno di dotarsi di figure come i data scientist, in grado di trattare le informazioni.Nel corso della seconda Tavola “Pianificazione finanziaria e gestione del rischio come fattori competitivi per l’azienda”, moderata da Alberto Tron dell’Università di Pisa, sono intervenuti Paolo Zerbini, Key Account Director di Board Italia, Roberto Spaccini Partner di 4 Planning, Francesco Esposito CFO di Koelliker, Alessandro Malagrinò Treasury Manager di Luxottica e Consigliere AITI e Giuseppe Motta, Director of Planning and Management Control di KOS che hanno discusso della pianificazione strategica finanziaria, con le aziende che oggi devono curare con sempre maggiore attenzione le loro fonti di finanziamento.
La terza Tavola rotonda intitolata “Fintech e digital transformation: quali le sfide per il futuro?” e moderata da Alessia Liparoti di Le Fonti, si è focalizzata sulla tematica del fintech e in particolare della possibilità di utilizzare all’interno dell’azienda le potenzialità offerte dalla tecnologia blockchain, alla base delle criptovalute. Al dibattito hanno partecipato Giuseppe Di Marco, Country Manager Italia di Soldo, Valentina Ubaldi, Product Manager ZTravel e ZCarFleet Zucchetti, Thomas Bertani Ceo di Eidoo e Antonella Vona, Direttore Marketing & Comunicazione di Coface Italia.
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Quando la terra batte il mattone
3 anni agoPartito dall’edilizia 50 anni fa, ha poi diversificato scommettendo su turismo d’élite e produzione vinicola d’eccellenza, che oggi fa la parte del leone, con 68 dei 148 milioni complessivi di fatturato. E conta di superare i 90 milioni entro il 2021 puntando tutto sulla qualità.
«Le costruzioni sono ciò che ha generato tutto. Sono state la mamma di tanti: in passato però. Da dieci anni il settore è in crisi. Noi non possiamo lamentarci, ma se mi guardo attorno, anche solo qui a Brescia, vedo aziende secolari che hanno chiuso. C’è chi non ce l’ha fatta e chi si è ritirato prima che la barca affondasse». A dirlo è Vittorio Moretti, presidente del Gruppo Terra Moretti, conosciuto anche come il signore delle bollicine: Bellavista in testa.
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Cinquant’anni fa, esordiva come costruttore fondando un’azienda che, nonostante i tempi di crisi del settore, può contare su un fatturato di 64 milioni. È la Moretti spa, una delle pochissime aziende in Italia a integrare al suo interno prefabbricazione in cemento armato e legno lamellare, da sempre all’avanguardia nell’innovazione di prodotto e di processo, capace di progettare e costruire edifici e opere di rilievo. «Ogni due giorni portiamo a termine una nuova commessa. Però con una differenza rispetto al passato. Un tempo con l’edilizia si guadagnava il 5%, con il boom, poi, assistemmo a un’esplosione. La crisi ha ridotto drasticamente i margini, anche se in questi ultimi anni abbiamo lavorato molto per migliorare la nostra redditività», sottolinea Moretti, colui che ha posto la firma su progetti ciclopici. Per citare i più recenti, si va dal centro commerciale di Arese a Scalo Milano, dal nuovo polo produttivo di Bulgari a Valenza agli uffici Gucci a Scandicci. E poi quasi 300 cantine. Ma la chiave del successo del gruppo è l’aver diversificato le attività, e soprattutto in anticipo sui tempi.
L’impero Moretti conta infatti 11 aziende raggruppate in tre divisioni: edilizia, vino e hôtellerie di lusso, filoni seguiti dalle tre figlie, rispettivamente Valentina, Francesca e Carmen. È il filone numero due, quello connesso con la terra, il protagonista del grande sorpasso. Parlano i numeri. Nel 2016 il gruppo (752 dipendenti) ha generato un consolidato di quasi 148 milioni di euro, di cui 68 derivati dal vino, 64 dall’edilizia e 16 dal settore alberghiero. A fine 2016 si è chiuso l’acquisto, dal Gruppo Campari, delle cantine sarde Sella&Mosca e Teruzzi a San Gimignano, così ulteriori 554 ettari vitati sono andati ad aggiungersi a quelli in Franciacorta (Bellavista e Contadi Castaldi) e in Toscana (Petra e Tenuta La Badiola). E non è solo una questione di ettari, anche di marchi di prestigio. Terra Moretti è diventata la quarta realtà vitivinicola italiana per ettari vitati (1.084) 9,6 milioni di bottiglie vendute. Moretti è il creatore di vini di pregio e di un marchio riconosciuto come Bellavista, sulla scia del quale sono nate le etichette Contadi Castaldi, Petra e Tenuta La Badiola.Fedele al Dna di famiglia e luogo d’origine (siamo nell’operosa Erbusco, alle porte di Brescia) Moretti esordì come costruttore nel 1967. Tempo dieci anni e iniziò a diversificare, puntando prima sul vino, quindi su attività turistico-alberghiere che potessero attrarre in Franciacorta un turismo d’élite. Nascevano così il Golf Club di Franciacorta (1985), quindi il ristorante Mongolfiera dei Sodi e il relais L’Albereta (1993): un’oasi di benessere che ospita l’Espace Vitalità di Henri Chenot e ristoranti d’eccellenza, dove per vent’anni ha operato Gualtiero Marchesi in persona.
Dopo la Lombardia, è stata la volta della Toscana. A sete chilometri dalla costa tirrenica, un soffio da Castiglione della Pescaia, vennero acquistate e completamente ristrutturate la Tenuta La Badiola e L’Andana. Mentre tra le colline della Val di Cornia prendeva forma l’area vitivinicola Petra. Anche qui nozze con le grandi firme. Cantina di Mario Botta per Petra e ristoranti, prima di Alain Ducasse e ora di Enrico Bartolini all’Andana. «Lo dico sempre: bisogna investire nella terra. Ho sempre creduto nella terra e oggi iniziamo ad averne tanta», osserva Moretti. Che, insaziabile, o meglio, imprenditore fino all’ultima cellula, pensa al prossimo passo nel mondo del vino.
«L’idea è quella di superare i 90 milioni di fatturato entro il 2021», un aumento importante, da ottenersi introducendo «prodotti nuovi, più competitivi, adatti anche a un mercato più ampio. Lavoreremo sulla qualità, la quantità invece deve rimanere quella. Poi viene il marketing e infine il commerciale. Stiamo riqualificando i vigneti in Sardegna, vorremmo fare vini più importanti. E si parte dalla materia prima: il vino si fa con l’uva. Bisogna poi guardare sempre di più all’estero, aumentare le esportazioni».
Moretti ha guardato all’estero già all’atto dell’acquisto creando un’alleanza con investitori cinesi, come la società d’investimenti Nuo Capital. «Cercavamo un partner per sviluppare il mercato asiatico. Poi tramite Intesa Sanpaolo siamo venuti a conoscenza di una società con capitali cinesi che appartiene alla famiglia di sir Yue Kong Pao (il magnate dei mari, passato alla storia come L’Onassis dell’Est, ndr). La decisione è stata presa in giornata, anche se poi le trattative con i rappresentanti della Nuo sono andate avanti per dieci mesi. Mi ha colpito subito l’affinità tra le nostre due famiglie, sebbene loro abbiano capitali diversi. O meglio, più che diversi, i loro sono immensi». Si tratta del primo investimento di Nuo Capital in Italia. «Volevano iniziare con quote minoritarie in società medio-piccole. E noi volevamo capitali, detenendo però la maggioranza, in Terra Moretti Distribuzioni (creata per le strategie distributive, ndr) abbiamo infatti ancora il 70%». Per dire che, a tacere dei capitali d’Oriente, bandiera, maggioranza e gestione permangono italiani.Vittorio Moretti è inoltre il presidente del Consorzio Franciacorta. Che esporta il 12%, ma l’obiettivo «è di portarlo al 40%. Il problema dei nostri vini franciacortini è che si scontrano con lo Champagne e i suoi secoli di storia. I francesi, poi, sono venditori per indole. Sono bravi in questo. Ma a livello di qualità, non abbiamo nulla da invidiare. Dobbiamo conquistare i nuovi mercati e quelli dove lo Champagne non esercita grande attrattiva. L’Oriente per dire. Lì ci sono ancora possibilità. Del resto il Giappone è il primo mercato d’esportazione per il Franciacorta».
Il 2017 è stato l’anno dei grandi anniversari della holding Terra Moretti. Quarant’anni di Bellavista, 30 di Contadi Castaldi, 50 per Moretti Costruzioni e altrettanti di matrimonio con l’inseparabile Mariella («quando ci siamo conosciuti, io avevo 18 anni e lei 16. Quindi in totale sono 60. E siamo sempre andati d’accordo»). Compleanni festeggiati a pochi giorni dallo scadere dell’anno in una struttura industriale totalmente riallestita, con tutti i dipendenti, per i quali è stato lanciato un nuovo grande progetto di welfare aziendale. E l’uscita di un libro, Made in family, firmato da Oliviero Toscani: un ritratto di famiglia che parte con l’identikit di Vittorio, colui che «inventa e realizza, inventa e realizza, altrimenti non è tranquillo», assicura la moglie.
Un uomo del fare, figlio di una terra di concretezza. Perché è vero, è nato a Firenze ma solo perché papà aveva un cantiere lì. Quindi ha trascorso l’adolescenza a Milano, ma è poi tornato ad Erbusco, alle radici. «Da parte di mamma, siamo a Erbusco dal 1200, per parte di papà dal 1400, e già a quell’epoca i Moretti erano costruttori». Trascorsi scolastici non proprio da primo della classe, anzi «il primo anno di studi di scuola superiore fu piuttosto disastroso», ed ecco l’intervento immediato del padre che tagliò corto: «Adesso vai a fare il magutt. Se vuoi studiare, lo farai la sera». Fatto. «Accettai, a patto che potessi tenere per me qualche soldo. Poi mi diplomai come perito edile». Il denaro? “Mi piace e mi è sempre piaciuto averlo e usarlo come mezzo per raggiungere obiettivi. L’obiettivo numero uno è vivere bene. Ammetto di non essermi mai fatto mancare niente».È lui il grande capo, non c’è scampo. L’ultima parola è la sua, anche se il cammino di questi ultimi anni è condiviso, come si diceva, con le tre figlie: ognuna impegnata su un fronte. Quanto è difficile conciliare le ragioni del cuore con quelle degli affari, essere padre e il boss d’azienda? «I rapporti con i genitori non sempre sono lineari. Ambrosetti mi diceva di non fare l’errore di mescolare business e famiglia. La famiglia è fatta di affetti, e il business di numeri. È importante che il concetto sia chiaro e si mantenga questa netta divisione. Ho poi avuto la fortuna dalla mia parte, dal momento che le figlie hanno attitudini diverse e spendibili nei tre diversi settori». Una curiosità. A cosa deve il suo successo? Quanto hanno inciso la determinazione, quanto la fortuna, quanto l’intuito? «Gli anni mi hanno convinto di una cosa: il successo è questione di Dna. Nelle famiglie ci sono alti e bassi, io sono arrivato in una fase di crescita. Non altrettanto fu per mio nonno e la sua famiglia. I Moretti erano importanti qui a Erbusco, ma all’inizio del secolo scorso morirono in tanti per via della Spagnola. Avevano segherie in Valcamonica, e persero tutto. Papà dovette ripartire da zero. E comunque se guardo l’albero genealogico vedo che siamo tutti imprenditori».
Chiudiamo con una domanda al Moretti costruttore. Qual è l’edificio del cuore? «Quando arrivo al cancello di Petra, la cantina toscana, sento ancora una certa emozione. Ma anche la nuova sede Campari a Sesto San Giovanni, pure in questo caso realizzata su progetto di Mario Botta».A cura di Piera Anna Franini
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Il nuovo gap generazionale. L’analisi di Joseph E. Stiglitz, professore alla Columbia University.
5 anni agoNEW YORK – Qualcosa di interessante è emerso nel comportamento di voto su entrambe le sponde dell’Atlantico: i giovani stanno votando in un modo nettamente diverso rispetto agli anziani, e sembra essersi aperto un enorme divario, non tanto basato sul reddito, sul livello d’istruzione, o sul genere, quanto sulla generazione degli elettori.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Tale divario si è venuto a creare per delle buone ragioni. La vita dei giovani e degli anziani, così come viene vissuta oggi, è diversa. Il loro passato è diverso, e diverse sono le loro prospettive future.Per fare un esempio, la guerra fredda era già finita prima che alcuni di loro nascessero e quando altri erano ancora bambini. Termini quali “socialismo” non hanno più il significato di una volta. Se socialismo significa creare una società in cui le preoccupazioni condivise non vengono ignorate – dove le persone si preoccupano delle altre persone e dell’ambiente in cui vivono – allora ben venga. Sì, circa un quarto o mezzo secolo fa alcuni esperimenti realizzati sotto questa etichetta si rivelarono un fallimento, ma gli esperimenti odierni non hanno niente a che vedere con quanto successe allora. Pertanto, il fallimento degli esperimenti passati non anticipa nulla circa l’esito di quelli nuovi.
Gli americani e gli europei della vecchia classe medio-alta hanno avuto una buona vita. Quando sono entrati nel mondo del lavoro, li attendevano posti ben remunerati. La domanda che si ponevano era cosa volessero fare, non per quanto tempo avrebbero dovuto vivere con i genitori prima di trovare un lavoro che gli consentisse di andare via di casa.
Quella generazione confidava, con ragionevole sicurezza, di trovare un lavoro sicuro, sposarsi in giovane età, acquistare una casa – forse anche una seconda casa per le vacanze – e, infine, andare in pensione. In generale, i giovani di allora si aspettavano di vivere meglio rispetto ai loro genitori.
Anche se l’odierna generazione di anziani ha incontrato ostacoli lungo il cammino, nella maggior parte dei casi le loro aspettative sono state soddisfatte. Magari avranno guadagnato di più dalla rivalutazione della propria casa che dal proprio lavoro, e quasi sicuramente avranno trovato la cosa strana, ma hanno accettato di buon grado il dono dei nostri mercati speculativi, spesso attribuendosi il merito di aver acquistato nel posto giusto al momento giusto.
Oggi, le aspettative dei giovani, ovunque si trovino nella distribuzione del reddito, sono l’esatto contrario. Per tutta la vita si trovano a convivere con la precarietà del lavoro. In media, molti laureati troveranno lavoro soltanto dopo averlo cercato per mesi, e spesso dopo aver accettato uno o due tirocini non retribuiti. E questi possono dirsi fortunati perché sanno che i loro omologhi più poveri, alcuni dei quali erano persino più bravi a scuola, non possono permettersi di trascorrere uno o due anni senza percepire alcun reddito, e non hanno neanche gli agganci giusti per ottenere uno stage.
I giovani laureati di oggi sono schiacciati dai debiti, e più sono poveri, più sono indebitati. Quindi, la domanda che si fanno non è che lavoro vorrebbero, ma semplicemente quale lavoro consentirà loro di ripagare i prestiti universitari che spesso si porteranno dietro per vent’anni o più. Allo stesso modo, l’acquisto di una casa rappresenta un sogno irraggiungibile.
Queste lotte quotidiane fanno sì che i giovani non pensino molto alla pensione. Se lo facessero, si spaventerebbero solo constatando quanto gli toccherà accantonare per condurre un’esistenza dignitosa (al di là della previdenza sociale), data la probabile persistenza dei tassi di interesse a livelli bassissimi.
In breve, i giovani d’oggi vedono il mondo attraverso la lente dell’equità intergenerazionale. Ai figli della classe medio-alta andrà comunque bene alla fine, perché erediteranno la ricchezza dai loro genitori. Pur non piacendogli questo tipo di dipendenza, l’alternativa li attira ancora meno: un “nuovo inizio”, in cui tutto congiura contro la possibilità di raggiungere qualcosa anche solo vicino a quello che una volta era considerato, per la classe media, un tenore di vita essenziale.
Queste ingiustizie non si possono liquidare con facilità. Non è che questi giovani non s’impegnino: tali disagi colpiscono quelli che hanno trascorso lunghe ore a studiare, avevano ottimi voti a scuola, e hanno fatto tutto per bene. Il senso di ingiustizia sociale – ovvero che la partita economica sia truccata – si rafforza quando vedono i banchieri che hanno provocato la crisi finanziaria, la causa del persistente malessere dell’economia, portarsi a casa dei mega-bonus, senza che quasi nessuno di loro sia chiamato a rispondere delle proprie malefatte. È stata compiuta una frode spettacolare ma, in qualche modo, nessuno l’ha veramente commessa. Le élite politiche avevano promesso che le “riforme” avrebbero portato una prosperità senza precedenti e di fatto è stato così, ma solo per l’1% più agiato della popolazione. Tutti gli altri, compresi i giovani, si sono ritrovati catapultati in una situazione d’insicurezza mai vissuta prima.
Queste tre realtà – ingiustizia sociale senza precedenti, enormi disuguaglianze e una perdita di fiducia nelle élite – definiscono accuratamente il nostro momento politico.
Continuare a somministrare la stessa medicina non è una risposta, e questo è il motivo per cui in Europa i partiti di centro-sinistra e centro-destra stanno perdendo terreno. L’America è in una strana posizione: mentre i candidati repubblicani alla presidenza si sfidano a colpi di demagogia, con proposte sconsiderate che non farebbero che peggiorare le cose, entrambi i candidati democratici propongono cambiamenti che, se solo riuscissero a ricevere l’approvazione del Congresso, farebbero davvero la differenza.
Qualora le riforme presentate da Hillary Clinton o Bernie Sanders venissero adottate, si metterebbe un freno alla capacità del sistema finanziario di vessare chi già conduce una vita precaria. Inoltre, entrambi i candidati propongono riforme radicali che cambierebbero il modo in cui l’America finanzia l’istruzione superiore.
Ma bisogna fare di più per rendere la proprietà di una casa possibile non solo per coloro che possono contare sui soldi dei genitori per l’anticipo, e per garantire la pensione malgrado i capricci della borsa e i tassi vicini allo zero, che caratterizzano l’era attuale. Ancora più importante, il percorso dei giovani verso il mercato del lavoro non potrà essere agevole se la performance economica non registrerà un netto miglioramento. Il tasso di disoccupazione “ufficiale” negli Stati Uniti, pari al 4,9%, nasconde livelli di disoccupazione sotterranea molto più elevati che, come minimo, stanno schiacciando i salari.
Non riusciremo a risolvere il problema, però, se prima non lo avremo riconosciuto. I nostri giovani questo lo stanno facendo. Percepiscono l’assenza di una giustizia intergenerazionale e sono legittimamente arrabbiati.
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