Aquileia Capital Services, società di Bain Capital Credit specializzata nella gestione del credito con sottostante immobiliare e con una forte expertise nel Real Estate, ha annunciato oggi la nomina di Fabrizio Viola in qualità di Presidente, a partire dal 1° giugno 2022.
Nel corso della sua trentennale carriera nel settore bancario, Fabrizio Viola ha ricoperto differenti cariche all’interno dei più importanti gruppi bancari. Tra le esperienze più significative e recenti, ha ricoperto il ruolo di Amministratore Delegato e Presidente di Depobank (2018 – 2020), dove ha curato il progetto di trasformazione e valorizzazione della Banca. Dal 2016 al 2018, Viola è stato Amministratore Delegato della Banca Popolare di Vicenza e nel consiglio di amministrazione di Veneto Banca, guidando i due istituti bancari veneti nel complesso percorso di fusione. Viola ha ricoperto il ruolo di Amministratore Delegato del Monte dei Paschi di Siena dal 2012 al 2016.
Dal 2013, Fabrizio ha fondato e presieduto Banca Widiba, start-up del gruppo MPS, che ha dato vita a una banca digitale di nuova generazione che si è rapidamente affermata sul mercato. Viola, ha anche ricoperto il ruolo di CEO per Banca Popolare dell’Emilia Romagna – Gruppo BPER (2008 – 2011) e General Manager di Banca popolare di Milano (2004 – 2008).
Grazie al know-how acquisito nel settore bancario, Fabrizio Viola avrà l’obiettivo di supportare il top management di ACS nel massimizzare i risultati e la crescita dell’azienda, per poter cogliere le opportunità del mercato attraverso l’acquisizione di nuovi portafogli e clienti.
Sulla nomina è intervenuto Fabio Longo, Managing Director di Bain Capital Credit: “Siamo lieti di dare il benvenuto a Fabrizio Viola, banker dalla trentennale esperienza. Il suo ingresso è la dimostrazione di come l’azienda possieda una forte capacità di attrarre le migliori professionalità che operano nel mercato. L’ingresso di Fabrizio dimostra la nostra volontà di presidiare il mercato italiano che offre importanti opportunità e che Aquileia Capital Services è pronta ad accogliere”.
Danilo Augugliaro, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Aquileia Capital Services, ha commentato: “L’ingresso di Fabrizio è un chiaro segnale che ACS è pronta e vuole crescere. La sua nomina rappresenta un ulteriore rafforzamento di un team fatto di molteplici professionalità, a cui si aggiunge la sua trentennale esperienza e profonda conoscenza del settore bancario. Il suo know-how ci permetterà di supportare il piano di crescita e sviluppo della nostra realtà”.
Fabrizio Viola, neo-eletto Presidente, ha aggiunto:
“Sono particolarmente lieto di cominciare questa nuova e appassionante avventura lavorativa in Aquileia Capital Services, e sono pronto a mettere le mie competenze ed esperienza al servizio dei suoi professionisti. ACS è un’azienda ben posizionata per sfruttare al meglio le opportunità offerte dal mercato e il mio obiettivo principale sarà quello di supportare il processo di crescita, contribuendo a consolidare e sviluppare strategie che portino all’acquisizione di nuovi portafogli e clienti.”
Nel corso della sua vasta esperienza nel campo dell’asset management, Fabrizio ha sviluppato solide competenze nella valutazione degli investimenti, nella gestione del portafoglio e nell’Asset/Liabilty management.
Aquileia Capital Services
Aquileia Capital Services (ACS) è una società controllata da Bain Capital Credit specializzata nella gestione del credito con sottostante immobiliare, e vanta una forte esperienza nei segmenti industriale, retail e nel prodotto leasing. Gli oltre 150 dipendenti con competenze altamente specializzate nell’headquarter di Tavagnacco (Udine) e nelle sedi di Milano e Roma svolgono una gamma completa di attività di servicing, seguendo i processi di management in ogni fase del loro ciclo di vita. La società ha attualmente in gestione in Italia un portafoglio misto, crediti e immobili, per un valore di 3,5 miliardi di euro.
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Eurozona in pieno ciclo rialzista
5 anni agoI mercati europei puntano a una crescita a doppia cifra nei prossimi due anni. Strategist e fund manager spiegano come approfittarne
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Con l’economia europea che sta attraversando la sua fase di maggiore ripresa dal 2010 e con gli utili che dovrebbero salire a un ritmo a doppia cifra nel 2017, il futuro dell’azionario europeo è la grande scommessa degli investitori. Lo scorso anno i flussi di capitale sull’azionario del Vecchio continente hanno mostrato un segno negativo a causa di una combinazione di timori tra Brexit e nazionalismi emergenti. Da qualche mese però i deflussi si sono fermati e i capitali stanno tornando a fluire sull’asset class Europa.
«L’Europa è la nostra area privilegiata all’interno dei mercati finanziari in un’ottica di asset allocation», è il commento, non isolato, di Valentijn van Nieuwenhuijzen, head of strategy and multi-asset di Nn Investment Partners. Come spiega lo strategist, a livello globale, oltre a una ripresa sincronizzata, si osserva anche che l’inflazione e la normalizzazione della politica monetaria stanno avanzando in maniera graduale. Il settore corporate europeo, poi, risulta più sano e sono in aumento le prospettive di un incremento delle spese per capitale. «Tutto ciò potrebbe quindi iniziare a offrire un contributo significativo in termini di crescita degli utili. Quest’ultima è infatti pronta ad accelerare e il consensus per il 2017 è di un aumento di oltre il 20% nell’Eurozona», spiega ancora van Nieuwenhuijzen.
Anche se una crescita così importante non è da tutti condivisa, le prospettive per l’azionario europeo sono favorevoli per tre ordini di fattori. In primo luogo, ci sono stati miglioramenti macro nei mercati del continente, a indicare che gli utili per azione (Eps) dovrebbero essere in linea, o superiori, alle attese. Allo stesso tempo, gli indici Pmi rimangono solidi. In secondo luogo, il quadro politico è diventato più rassicurante per gli investitori, soprattutto dopo le elezioni francesi e olandesi, e le elezioni locali in Germania. Infine, gli investitori si stanno concentrando sui fondamentali, creando un contesto favorevole per gli stock picker e indicando che l’azionario europeo dovrebbe continuare a sovraperformare.
«Nel 2017 la tendenza dell’indice Msci Euro è chiaramente migliorata, indicando che le attese degli analisti per la crescita del 2017 e del 2018 dovrebbero essere rispettate», spiega Thomas de Saint-Seine, ceo e head of equities di Ram. Tutto ciò, secondo lo strategist, riflette anche la politica della Banca centrale europea, che ha contribuito a migliorare il quadro generale dell’area della moneta unica. «L’outlook è quindi in miglioramento e ci aspettiamo maggiori afflussi», conferma de Saint-Seine. «E tale trend è visibile in particolare sui fondi di investimento del segmento small&mid cap».
Per gli analisti quindi l’azionario europeo resta anche allettante rispetto ai listini americani, oppure comparando il rendimento da dividendo medio (3,4%) al rendimento di benchmark obbligazionari, come il Bund a dieci anni (circa 0,25%). World Excellence ha quindi domandato a Enrico Vaccari, fund manager di Consultinvest, Alessandro Allegri, amministratore delegato di Ambrosetti Am, e Patrick Moonen, Principal strategist Multi-Asset di Nn Investment Partners, maggiori dettagli circa le prospettive economiche dell’Eurozona, indicazioni precise sugli asset più promettenti e, non ultimo, sul peso da assegnare a Piazza Affari in un portafoglio orientato al rendimento.[/auth]
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L’industria del lusso si espande e assume nuove identità
4 anni agoGuidano il cambiamento la tecnologia digitale, un contagioso millennial style che favorisce il casual, la stravaganza e il divertimento, il mercato cinese volto verso valori di identity statement, classici rinnovati di esclusività e qualità.
I cambiamenti epocali dell’ultimo decennio segnano anche il mondo del lusso, modificandone i valori e lo stesso concetto. Internet, social e acquisti online ne hanno ampliato i confini rendendolo globalmente accessibile e seducente. La sua percezione segue i ritmi e la mutevolezza dei tempi, diversificandosi a seconda di dove e come vive il suo consumatore, coinvolgendo a livello aspirazionale, proponendo un modo di essere prima ancora dei suoi stessi prodotti, e invogliando a identificarsi nel brand.
[auth href=”http://www.lefonti.legal/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Numeri in crescita. Secondo una ricerca condotta da Deloitte, l’industria globale del lusso continua a crescere, nel 2023 raggiungerà 490 milioni di consumatori e vendite pari a 1.185 miliardi di euro. Lo studio True luxury global consumer insight di Boston Consulting Group, presentato a gennaio 2018, parla di un mercato che nel 2017 ha raggiunto i 915 miliardi di euro e di una stima di 1.260 miliardi per il 2024, di un incremento maggiore del lusso esperienziale rispetto a quello personale, grazie a un contributo del 130% proveniente dai millennial, del 70% dai cinesi e degli sviluppi del canale online che rappresenterà oltre il 15% del mercato.
Secondo il Luxury goods worldwide market study dell’autunno/inverno 2017 pubblicato da Bain & Company per Fondazione Altagamma, oltre l’80% del mercato dell’industria mondiale del lusso è cresciuto del 5% toccando 1,2 trilioni di dollari. Performance generate da nove segmenti, guidate da auto, ospitalità e beni personali in aumento a livello mondiale, con i prodotti enogastronomici e crociere che si distinguono nelle vendite della sfera esperienziale, rispettivamente con crescite del 6% e del 14%. Da tutti gli osservatori emerge l’importanza della svolta impressa dalle nuove generazioni, i consumatori più influenzati dal digitale. Clienti fedeli al brand di cui tendono ad acquistare tutto il possibile, ma che non esitano a lasciarlo quando diventa troppo comune, assetati di novità, voglia d’essere cool e creare un proprio stile.
Altrettanto cruciale è il ruolo dei canali online e dei social media, in continuo sviluppo: brand.com, negozi multi-brand e piattaforme di e-commerce generaliste a prezzo pieno coprono il 90% degli acquisti online, il restante va ai negozi multi-brand a prezzi scontati, i siti di flash sale e le vendite sui social media, un cosmo le cui varianti dipendono dalla nazionalità e generazione di chi acquista. Mercati maturi e senior preferiscono il brand.com, i millennial i negozi multi-brand, la Cina i social media e gli e-commerce generalisti, per il 75% in aggiunta ai negozi fisici, un canale di vendita che diminuisce in tutto il mondo ma, reinventato e proposto diversamente, godrà di una forte ripresa.In generale, lo shopper informatico preferisce gli accessori all’abbigliamento, cresce nel beauty, nei gioielli e orologi, con i siti monomarca che assorbono il 31% degli acquisti. Sul fronte dei beni personali, si stima che entro il 2025 le vendite online copriranno il 25% del mercato, con cellulari e tablet protagonisti di oltre la metà degli acquisti, una percentuale che sale nelle fasce giovani e in Cina arriva al 77%, per lo più da smartphone. L’attenzione e l’interazione con social media, influencer e fashion blogger è sempre maggiore, cala Facebook e, in Occidente, cresce Instagram. Per alcuni settori e marchi, i blogger sono diventati un riferimento, ormai dei veri professionisti che trovano terreno fertile in Usa e crescente in Cina, dove c’è chi raggiunge 7 milioni di follower e una media di 100mila visualizzazioni per articolo pubblicato.
Un altro fenomeno interessante, è una maggior propensione verso il «made in» nella scelta di prodotti, campo in cui l’Italia gioca carte vincenti, aiutata da quello che per molto tempo è stato considerato un difetto: la stanzialità della filiera produttiva. Fattore legato alle dimensioni aziendali mediamente piccole e frazionate, che hanno scoraggiato l’emigrazione delle produzioni in Paesi a basso costo, andando oggi a favore del controllo della filiera e della qualità. Un ex difetto diventato pregio che, grazie a una tecnologia globalmente accessibile, contribuisce ad alimentare una contagiosa febbre di lusso in ogni campo del vivere. Un contesto in cui crescono le vendite di auto, i viaggi, l’ospitalità e, grazie a baby boomer e millennial, le crociere, specialmente se expedition o su navi di dimensioni più piccole della media, tipiche di compagnie come Seabourn o Silversea. Conferma la tendenza, il recente ingresso di Msc Crociere nell’extralusso con 4 ordini di navi sotto i 200 metri per soli 700 passeggeri che navigheranno nel Mediterraneo.
Super alcolici, vini e alimenti di alta qualità seguono la crescita con un +6% dando forma a un mondo, in cui le app di consegna a domicilio interessano persino i ristoranti stellati. L’industria del grande yachting, di cui l’Italia è leader mondiale, mantiene le sue posizioni, nonostante i giovani preferiscano il charter, un noleggio che al top di gamma diventa crociera per una nicchia in crescita di fruitori.«Sostituirei la parola lusso con bellezza, bellezza che si lega col buon gusto, ormai una cosa rara», dice l’editore Sandro Battistessa, fondatore e patron di Genivs Loci, da due decenni un riferimento nel marketing dell’accoglienza d’alta gamma e oggi nel grande yachting. «C’è quello consapevole nato da una scelta e l’inconsapevole dall’alienazione. Nel primo caso è un tributo verso noi stessi che può diventare addirittura necessario, spesso però la scelta arriva da un sistema di promozione alienante. Idealmente dovrebbe essere capace di disegnare la felicità, qualcuno però si sente felice anche in un orribile resort 5 stelle. Ciò che intendo, è un mondo vivo, con radici che pulsano dentro la terra, espressioni della cultura locale e della vita della comunità. A volte però la globalizzazione appiattisce e distrugge questo tipo di ricchezza. La mia idea è valorizzare i geni dell’alto artigianato, quelle persone coraggiose che ogni giorno portano avanti le tradizioni di un paese come il nostro. Lo stesso ceo di Hermès ha detto che lusso è tutto ciò che nasce dai grandi artigiani del saper fare. Vorrei dar loro spazio e voce, spiegare che sono ancora loro che sanno creare meraviglia».
Rispondendo alla domanda su come sta giocando questo momento il settore dell’accoglienza, dice: «Sull’hôtellerie di alta gamma ci sarebbero tante cose da dire, io però parlerei del grand hotel Italia, che ha un asset fatto di meraviglie e bellezze eterne, ma non ha saputo dotarsi di servizi atti a cogliere tutto quello di cui potrebbe beneficiare. Purtroppo oggi vincono i grandi gruppi stranieri votati al profitto e le grandi famiglie stanno scomparendo. In Italia però ce ne sono ancora, abbiamo luoghi di ospitalità straordinari dove si può cogliere quell’amore che deriva da tre/cinque generazioni di presenza e dove i grandi gruppi perdono, nonostante siano in grado di costruire standard di cura del cliente talvolta eccezionali. Dei veri genius loci, dove senti l’anima del territorio e ne percepisci i profumi».Un nuovo concept che in Italia ispira. A Milano, l’hotel 5 stelle Palazzo Parigi si riallaccia a questo concetto, essendo forse l’unico albergo indipendente di una proprietà italiana coraggiosa, l’architetto Paola Giambelli, appartenente a una grande famiglia di imprenditori, che sembra aver vinto la sua sfida essendo riuscita a emergere ad altissimo livello e a creare qualcosa di unico.
Il gruppo Alajmo, una famiglia che vanta una lunga storia nella gastronomia di qualità, ha scelto Philppe Starck per il restauro del Grancaffè & Ristorante Quadri in piazza San Marco a Venezia. Un locale che l’archistar parigino ha definito straordinario ma dormiente e dove cercando le sue meraviglie lui e gli Alajmo hanno trovato un paese delle meraviglie, come spesso succede in Italia.
Persino i masi dell’Alto Adige sono toccati da questa ventata di lusso inteso come alto di gamma, nei suoi il Gallo Rosso ha scelto i fiori al posto delle stelle per premiarne bellezza, qualità nel servizio e la vivibilità, capacità di accogliere e intrattenere. Nel cuore delle colline di Fiumana, vicino a Forlì, il Borgo Condé Wine Resort è un altro esempio che prevalica i classici del lusso fondando le sue radici nel territorio. Un contesto rurale fatto da una tenuta di 110 ettari, di cui 100 di vigneti da Sangiovese, con spa, ristorante che utilizza prodotti locali e percorsi campestri.
Persino eventi come la Coppa Milano-Sanremo, parlano di questo modo d’intendere il lusso. Una rievocazione di auto d’epoca lungo le strade di una gara nata nel 1906 che, grazie all’agenzia Equipe International, fa rivivere valori sopiti, riscoprire bellezze e vie dimenticate, ville come la Ottolenghi e la Sparina nel Gavi. Circa 600km con 80 comuni coinvolti e più di 60 prove in due giorni per protagoniste con gentleman driver al volante, come la Fiat 609S del 1926 guidata da Emanuele Filiberto di Savoia.
Piccole e grandi cose di cui si potrebbe fare una lunga lista, che arricchiscono un campo da gioco, ampliato dall’aumento di ricchezza dei mercati emergenti, che vede a confronto attori di ogni tipo e misura, stimola ad apprezzare la bellezza e la conoscenza, spinge il cliente ad avere ruoli attivi, i marchi a implementare modelli di business articolati e dove cresce il valore del made in. Nella scena europea dei prodotti per la persona, quello italiano primeggia negli accessori e l’abbigliamento, il francese nei cosmetici e profumi, gli americani preferiscono il made in America e i cinesi il made in France.
Passando a un altro mercato del lusso, i cinesi azionisti di maggioranza del Gruppo Ferretti, leader nella produzione di superyacht di lusso, ne hanno rispettato in toto l’italianità. Una tendenza ad apprezzare l’origine del prodotto che forse lega col loro primato negli acquisti all’estero, specialmente in Francia, Usa e Italia, ma comune anche ad altri paesi, specialmente nel campo dei beni di lusso personali. Come emerge dallo studio Deloitte Emea Fashion & Luxury, circa la metà avvengono in viaggio, per il 31% in store, per il 16% in aeroporto e per il 60% sono effettuati da cittadini di paesi emergenti.
Per valore, l’Europa è tornata l’area di riferimento, con 87 miliardi di euro di vendite al dettaglio. La Cina cresce del 15% con tassi di cambio correnti, raggiungendo un volume di 20 miliardi, un po’ meno il Giappone, che però tocca i 22 miliardi di euro, e il resto dell’Asia. Un sudato +2% va a Nord e Sud America, che però raggiunge gli 84 miliardi di valore. Nei canali di vendita, sale a +24% l’online, per circa la metà coperto dal mercato statunitense, ma con Europa e Asia che registrano le crescite maggiori, seguono il retail e il wholesale favorito dai negozi specializzati e penalizzato dal calo dei grandi magazzini. L’Italia domina la classifica delle 100 aziende più rappresentative del lusso mondiale, stilata da Deloitte, con ben 26 presenze e con Luxottica nella top ten. Insieme generano circa il 16% dei ricavi globali e vantano incrementi superiori alla media.A cura di Donatella Zucca
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Business school: le TOP TEN italiane
5 anni agoBrand reputation, contenuti, innovazione, etica, collegamento con l’attività lavorativa e capacità di affrontare il cambiamento. Ecco le scuole di management che si distinguono nel panorama nazionale e sono conosciute a livello internazionale
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Internazionalità dell’approccio, flessibilità, digitalizzazione, integrazione e maggiore attenzione agli aspetti «soft» rispetto a quelli «hard». E, soprattutto, capacità di fare da ponte sulla possibilità concreta di proporre sbocchi soddisfacenti nel mercato del lavoro. Sono questi i plus principali di attrattività che connotano le migliori business school italiane. Scuole eccellenti, che sono particolarmente apprezzate anche all’estero, in quanto capaci di accompagnare studenti e aziende al miglioramento continuo, guidando la trasformazione e contribuendo alla crescita del capitale umano. Del resto, è il mercato che lo chiede: affinché le imprese italiane riescano ad attrarre investimenti dagli altri Paesi, ci deve essere un sistema di formazione permanente, capace di garantire alle risorse lungo la loro vita lavorativa, una pari opportunità di crescita.
È quanto emerge dall’opinione di un campione di 50 intervistati, selezionati da World Excellence tra i più autorevoli esperti del settore della formazione, dell’imprenditoria, della finanza, delle risorse umane e dell’head hunting. Professionisti interpellati per stilare l’elenco delle 10 realtà italiane più innovative e competitive nel panorama internazionale, tenendo fermi come parametri di giudizio l’accesso all’impiego, l’approccio multiculturale, la qualità della docenza, l’orientamento al problem solving, la flessibilità, l’innovazione, la vicinanza alle imprese, l’internazionalizzazione, le tecnologie applicate all’apprendimento, alla condivisione e al raggiungimento di obiettivi sfidanti.Secondo Mauro Meda, segretario generale di Asfor, le business school non posso prescindere da un aspetto fondamentale: rispondere alle nuove spinte che sono il risultato della globalizzazione dei mercati e dei servizi, e quindi, saper operare in un contesto di sviluppo internazionale. «In quest’ottica», spiega Meda, «risulta strategico saper cogliere i bisogni formativi dei diversi clienti, che sono sempre più dei partner, e offrire delle risposte aderenti. Le business school devono saper offrire, ai giovani laureati ai talent e ai manager percorsi formativi e di apprendimento capaci di sviluppare e rafforzare le proprie competenze, nell’ottica di un processo di rafforzamento continuo del capitale umano. La nuova progettazione, partendo da una base legata alla famiglia professionale di appartenenza, si sviluppa attraverso soft skill, che superano la mera natura comportamentale, generando una nuova cultura anche sui temi considerati strategici: leadership, change management, digital mindset. Dunque la sfida per le scuole di management, ma anche per le corporate learning academy, sarebbe quella di saper cogliere i bisogni di cambiamento nelle organizzazioni (purtroppo spesso ancora latenti e non ben definiti) e delle persone e trasformarli in processi formativi per lo sviluppo di competenze tecnico-manageriali, che devono rispondere a una dinamica evolutiva, ed essere efficaci in tempi più brevi rispetto al passato, e con un sapiente utilizzo delle diverse metodologie didattiche con una reale padronanza dei processi di apprendimento». Appare insomma evidente che i bisogni della formazione manageriale 4.0 si possono così sintetizzare: una giusta attenzione fra i bisogni delle organizzazioni e delle persone; una sapiente gestione delle diverse metodologie formative e dei tempi d’ingaggio; una reale capacità di saper incidere nel mindset che genera il cambiamento delle persone e delle organizzazioni 4.0.
Quali sono dunque le scuole eccellenti in tal senso? Sul digital, non ci sono dubbi tra nessuno degli intervistati: Mip Politecnico di Milano graduate school of business è quasi un marchio di garanzia. Del resto, la scuola sta investendo parecchio nello smart learning, con un portafoglio di prodotti e attività di formazione per individui e imprese che sfruttano al meglio le potenzialità offerte dalle tecnologie digitali.Come infatti afferma Francesco Festa, ceo di Hunting Heads, «quella che fornisce Mip è una preparazione a tutto tondo, con progetti strutturati di percorso dei master, l’apertura mentale, la freschezza e brillantezza di relatori e testimonial e l’attenzione assoluta all’innovazione, in tutti gli aspetti di mercato, prodotto e processo, e la focalizzazione sugli ambiti internazionali relativi a tematiche tecniche, contrattuali e negoziali. A ruota, altrettanto attenta a esporre e dare strumenti di comprensione e metabolizzazione dell’internazionalizzazione e molto concentrata sull’affinamento delle managerial skill, Sda Bocconi school of management, con particolare e deciso approfondimento sulle aree economiche e finanziarie, sui processi amministrativi e gestionali, ma aprendo anche a temi poco “bocconiani classici”, quali stabilimenti produttivi, supply chain, tecnologie e innovazione. Comunque sia Mip sia Sda sono business school di assoluta eccellenza, entrambe attente formatrici di manager con competenze sempre più trasversali per gestire l’interculturalità, il digital, il cambiamento e l’innovazione “permanente”. Altrettanto brillanti e, a mio personale parere, staccate dal gran numero di altri concorrenti presenti in questo settore, Iulm e Luiss business school. Diverse le specializzazioni, diverse le modalità progettuali e i temi chiave dei relativi master, ma analoga l’eccellenza nel punto chiave che contraddistingue la vera ed efficace business school: il corpo accademico di relatori e i testimonial, in entrambe molto ben integrato al percorso dei master. Iulm è certamente più orientata all’approfondimento e alle esercitazioni teoriche e pratiche sugli argomenti chiave della comunicazione, sia nell’area specialistica sua executive, mentre Luiss è più orientata ai chiaroscuri e ai dibattiti sia sugli argomenti classici quali Hr, marketing, finance, sia soprattutto sui temi più innovativi che caratterizzano questa school, quali tourism management, art, fashion, musica, cinema, television e anche i settori affascinanti dei big data management e le sostenibili. Infine, voglio citare la scuola di Palo Alto, una business school certamente non accademica, ma che mi sta molto a cuore e che ho imparato ad apprezzare in questi anni, sia per l’efficacia e la concretezza, sia per la brillantezza dei progetti formativi, concentrati in particolar modo sul tema della positive education, e che negli ultimi tempi si stanno focalizzando su un tema specifico e molto sentito: la sicurezza. La scuola di Palo Alto ha certamente dalla sua, nonostante il taglio più piccolo rispetto alle altre school che ho citato, un entusiasmo e una passione davvero contagiosa».
Cuoa business school di Altavilla Vicentina, che lo scorso novembre ha spento le sue prime 60 candeline, eccelle invece per un modello formativo flessibile, adattabile alle specifiche esigenze di aziende e persone. Del resto, come spiega Federico Visentin, presidente di Cuoa, la business school con la più lunga per tradizione in Italia, negli anni ha interpretato e adeguato i suoi modelli didattici alla luce dei contesti mutevoli, sviluppando e proponendo soluzioni attente a dare risposte concrete. «La forza di una scuola di management come il Cuoa è la capacità di osservare il contesto, ma anche di ascoltare le persone. Il nostro approccio volto all’ascolto, ha trovato vasta applicazione sia nei confronti delle imprese, che vedono in noi un punto di riferimento per studiare percorsi di sviluppo delle competenze, sia nei confronti delle persone, che sempre più apprezzano la nostra offerta di consulenza personalizzata sul proprio percorso di carriera, sui punti di forza e sulle aree di miglioramento. Nel 2018 continueremo a dare questo servizio e a lavorare sulle nostre aree di competenza distintive. Oltre ai classici percorsi formativi, che vanno dagli Mba e master, part time e full time, e alla vasta offerta di corsi executive, lavoreremo su tematiche attuali anche a livello di sensibilizzazione e informazione, tra tutte il rapporto banca-impresa e l’evoluzione delle professioni e delle funzioni aziendali in ottica digital e continueremo nel nostro impegno al fianco degli imprenditori».
Anche lo Ied (Istituto europeo di design) nel comparto svolge un ruolo da leone. Come infatti afferma Gloria Gaiotto, direttrice di Ecs Consulting, una realtà nel mondo della formazione professionale, che si occupa specificamente della preparazione del personale addetto al contatto con il cliente e alla vendita al pubblico del settore luxury, il taglio di Ied è congeniale per quanto riguarda soprattutto il graphic design e il fashion design. «Vengono proposti anche corsi di marketing e comunicazione, la formazione offerta è certamente di buon livello», spiega.
È chiaro comunque che la digitalizzazione è e continuerà a essere una leva dalla quale non si potrà più prescindere per una formazione efficace. Del resto il futuro è nelle mani dei millennial che interagiscono con straordinaria familiarità con i vari dispositivi It e i canali social, crescendo in un mondo globalizzato, ricco di stimoli e soprattutto debancarizzato. Ecco perché le business school devono andare avanti su questa direzione.Ne è pienamente convinto anche Antonello Sanna, amministratore delegato di Scm, la prima Sim di consulenza finanziaria quotata a piazza Affari, che lo scorso settembre ha avviato un nuovo progetto di inserimento dei giovani futuri consulenti finanziari in azienda. Una scelta nuova, questa, in un contesto di mercato che vede la maggior parte degli operatori italiani di private banking concentrati su professionisti che hanno già dalla loro una rete consolidata di clienti e contatti. «O ti distingui o ti estingui», spiega Sanna. «Differenziarci rispetto agli altri è un tratto che ci caratterizza da sempre e ci spinge costantemente a esplorare territori non ancora battuti. Da settembre abbiamo avviato il progetto The young talent hub, che consiste nell’inserimento di giovani talenti provenienti dalle migliori università e business school italiane, al fine di farli diventare dei professionisti riconosciuti sul mercato. Contiamo di selezionarne 30 all’anno per il prossimo triennio. In un mercato ormai fortemente digitalizzato non possiamo limitarci a cercare solo professionisti con grande esperienza, ma è fondamentale integrare nuove forze. Nei primi colloqui ho percepito un’energia, una voglia di lavorare e una preparazione superiore alle mie attese. Il percorso durerà all’incirca 5 anni, al termine del quale i giovani consulenti finanziari saranno dei professionisti di esperienza e riconosciuti dal mercato, in grado di non fermarsi solo sull’analisi delle esigenze finanziarie, ma capaci di ascoltare i bisogni dei clienti offrendo un reale valore aggiunto che è quello che fa la differenza. Quello che pertanto dal mio punto di vista posso affermare è che, senza ombra di dubbio, le business school italiane hanno un alto valore formativo. Sda Bocconi è a mio avviso una delle migliori nella formazione post universitaria per l’apertura mentale e, soprattutto, gli aspetti internazionali relativi a tematiche tecniche, prime fra tutte quelle della finanza, del controlling, dell’amministrazione e della gestione. Anche 24 Ore business school è molto forte sull’aggiornamento dei programmi, soprattutto per quanto riguarda il target dei professionisti, essendosi peraltro concentrata sulla personalizzazione della formazione, anche con master corporate commissionati da aziende per i dipendenti, o per la formazione di nuove risorse e sviluppo. Ottimi i riscontri anche per Luiss, per la vicinanza alle imprese e in particolare al mondo confindustriale, e Altis – Università Cattolica di Milano, in modo particolare per l’attenzione che pone alla responsabilità sociale e ambientale delle imprese, ma anche per la diffusione a livello internazionale dell’esperienza dei distretti industriali. Nondimeno, il Mib Trieste school of management, da quasi trent’anni un centro internazionale di alta formazione manageriale, nato su iniziativa di grandi realtà aziendali e del mondo accademico, è una realtà particolarmente attrattiva, soprattutto sul tema del risk management, anche perché sviluppa Mba, master specialistici in lingua inglese, corporate master e programmi executive certificati in Italia e all’estero, con una faculty composta da accademici, consulenti e uomini d’impresa».
Dunque, in definitiva, dove deve dirigersi la formazione manageriale per essere vincente? «In un contesto economico e sociale in continuo movimento e trasformazione come quello attuale», conclude Meda, «la formazione manageriale, dalla grande impresa fino all’azienda di matrice familiare e alle startup, deve ambire a essere centrale nella fase di sviluppo di una nuova cultura manageriale, sempre più diffusa e capace di agire anticipando i processi di cambiamento e innovazione».[/auth]
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