Una delle scommesse del 2023, per le aziende ed i professionisti, è la digitalizzazione delle proprie attività, comprese quelle relative al ricevimento dei pagamenti e alla gestione della liquidità della stessa impresa. Ormai è impensabile continuare a consultare estratti conto cartacei. Tra l’altro, ormai, sono diventati anche obsoleti i vecchi fogli excel, nei quali riportare entrate, uscite e dove registrare gli eventuali finanziamenti ricevuti. Il futuro è nella digitalizzazione: lo stanno imparando un po’ tutti i professionisti come consulenti del lavoro, avvocati o amministratori di condominio. Riuscirà a crescere unicamente chi sarà in grado di rimanere al passo con l’evoluzione tecnologica. Una evoluzione che prende il nome di digital finance.
Il futuro passa dal Digital Finance
TeamSystem è una società leader nell’offerta di servizi online BtoB, grazie anche ad una costante e continuativa politica di investimento. Per andare incontro alle esigenze della propria clientela, e chiarire cosa siano i pagamenti digitali ha creato la Guida alla Gestione Digitale dei Pagamenti e Liquidità Aziendale, firmata dall’ing. Paolo Catti, che racchiude, al proprio interno, gli elementi fondamentali per comprendere questa particolare tematica. In questa sede iniziamo con lo spiegare cosa sia la digital finance. Sostanzialmente è l’insieme di tutti quei servizi che permettono di ottenere dei finanziamenti o dei prestiti per l’azienda. Ma non solo: è possibile procedere con la cessione del credito commerciale, in modo da finanziare il circolante di cassa. La digital finance è l’insieme di tutte quelle tecnologie e delle normative di nuova generazione, che consentono all’imprenditore o al professionista di ottenere una maggiore liquidità per la propria attività. Questi servizi andranno ad impattare in modo decisivo e molto più importante, rispetto a quanto avveniva nel passato, sulla struttura finanziaria e sulla disponibilità liquida dell’impresa stessa.
Molti servizi, ma un solo nome: digital finance
I servizi di digital finance sono dei veri e propri vettori della crescita delle singole aziende e dei professionisti. Ma soprattutto permettono ai commercialisti ed ai consulenti del lavoro di ampliare la gamma dei servizi offerti ai propri clienti, prestando una vera e propria consulenza di tipo finanziario. Commercialisti e consulenti del lavoro avranno la possibilità di evitare ai propri assistiti delle potenziali situazioni di crisi. Riusciranno a diventare un partner attivo nel momento in cui stiano cercando di reperire della liquidità, ma soprattutto li seguiranno nel momento in cui hanno intenzione di adottare dei nuovi strumenti di incasso digitale, permettendo loro di sfruttare completamente tutte le potenzialità del digitale. Il cavallo di battaglia dei servizi di digital finance è l’innovazione normativa. Ricordiamo, infatti, che uno dei più importanti stimoli alla crescita di questi servizi è arrivata dalla Direttiva Europea PSD2, che ha provveduto ad adottare:
- gli strumenti di autenticazione forte;
- la possibilità di acquisire e consultare in un unico posto le informazioni prese da più conti correnti;
- la possibilità di effettuare i pagamenti da un qualsiasi conto corrente di proprietà partendo da un unico posto.
Grazie alle novità introdotte ultimamente, soprattutto a livello europeo, le banche sono state rese accessibili anche da nuovi attori, ai quali sarà data la possibilità di abilitare nuovi servizi finanziari digitali.
Digital Finance: la riconciliazione bancaria
Senza dubbio i servizi di digital finance permettono di costruire un solido ponte tra la contabilità di un’azienda e i vari sistemi bancari, provvedendo ad unirli e a semplificare al massimo una delle attività più noiose: la riconciliazione.
Una delle funzionalità che imprenditori e professionisti apprezzano è quella che permette di importare nel gestionale i dati contenuti negli estratti conti bancari ed ottenere, in questo modo, alcune proposte di riconciliazione tra fatture, incassi e pagamenti. Verificando tutte le varie posizioni aperte, sarà possibile chiuderle.
Alcuni ambienti gestionali leggermente più evoluti, come quelli di TeamSystem, permettono fin da subito di integrare, all’interno delle stesse procedure, i servizi di consultazione del conto corrente e di disposizione dei pagamenti. In questo modo sarà possibile monitorare la salute dell’impresa e sarà possibile cogliere fin dal primo momento eventuali segnali di crisi.
Questi servizi sono utilizzabili immediatamente grazie a TeamSystem Digital Finance, la nuova iniziativa Fintech del gruppo TeamSystem.
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La banca che verrà
4 anni agoDall’inarrestabile riduzione degli sportelli all’entrata in scena di nuovi operatori. La disruption tecnologica sta trasformando il mondo del credito. Come e chi ne uscirà vincitore? Se n’è parlato al Banking Summit, organizzato a Stresa da The Innovation Group.
Il mondo bancario è meno a rischio dell’anno scorso e gli Npl calano vistosamente, permettendo al settore di vedere la luce in fondo al tunnel. Ma le aziende di credito non possono rilassarsi. All’orizzonte ci sono, infatti, le sfide che derivano dalla digitalizzazione sempre più spinta e dalle normative europee entrate recentemente in vigore (Psd2 e Gdpr). Sullo sfondo, la concorrenza sempre più pressante delle fintech e il rischio (che sembra inevitabile) di uno sbarco in forze delle bigtech nell’intero settore finance.
Della disruption tecnologica si è par- lato al Banking Summit, classica due giorni d’autunno organizzata da The Innovation Group all’Hotel et des Iles Borromées di Stresa. «Il mondo bancario è uno dei settori più in trasformazione», ha ricordato Ezio Viola, ceo di The Innovation Group, in apertura del convegno. «Occorre dunque comprendere se e come la trasformazione digitale del settore stia portando a un’evoluzione o a una mutazione del modello di business. Anche in relazione all’entrata in scena di nuovi operatori». La banca che verrà sarà, quindi, del tutto differente da come avremmo potuto immaginarla pochi anni fa, anche grazie allo spartiacque della Psd2. E proporrà nuovi modelli. Per esempio, la «banca-piattaforma, aperta non solo a servizi bancari, ma anche ad altri settori». Il binario sembra tracciato, anche se non è facile comprendere che cosa accadrà nel dettaglio. Una cosa è certa, ha puntualizzato Viola: «Le ricette del passato non valgono più».
Meno sportelli, meno investimenti. Una delle ricette del passato è sicuramente il monopolio degli sportelli tradizionali. Ora, in filiale ci vanno molti meno clienti. E il fenomeno non potrà che acuirsi, dato che, nell’ultimo anno, neppure il 10% dei giovanissimi ha messo piede in una succursale. La banca virtuale è, dunque, ormai una commodity. «Gli sportelli», ha ricordato Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, «sono scesi sotto il nume- ro di inizio anni Duemila e si sono ridotti di circa il 20% rispetto al massimo del 2008. Non solo: nei prossimi anni ci si attende un ulteriore calo. Prometeia, a questo proposito, stima 3.200 chiusure nel triennio 2018-20, corrispondente a un -12%». Una situazione che sembrerebbe suggerire un investimento forte in Ict, per venire incontro alle necessità di una clientela sempre più digitale. E invece no. Come ha sottolineato Giovanni Razzoli, equity analyst di Equita Sim, la tecnologia non è stata risparmiata dal taglio dei costi intrapreso dalle banche in questo ultimo decennio. Gli investimenti in tecnologia «sono calati del 15%», ha precisato Razzoli. «Certo, in altri ambiti, come nel real estate, si è tagliato ben di più», ha proseguito. «Ma comunque questo calo è forte».
Il fortino assediato. Mentre le banche tagliano, nuovi concorrenti avanzano. E mettono in discussione il modello organizzativo degli istituti di credito. Innescando quella che Corrado Passera, presidente esecutivo di Spaxs e ceo di Illimity, ha chiamato la «quarta crisi» del mondo bancario. In questi dieci anni, ha sostenuto l’ex amministratore delegato di Poste italiane e Intesa, i gruppi di credito non hanno sperimentato un lungo e profondo periodo di criticità, ma quattro crisi distinte. «La prima è esplosa nel 2008-2009, a causa dagli asset tossici, la seconda ha riguardato gli asset creditizi, la terza è stata una somma di 12 differenti crisi aziendali. E ora stiamo vivendo la quarta». Che caratteristiche ha? «Mette in discussione il modello delle banche», dice Passera. Con una conseguenza: i modelli tradizionali non reggono più, messi alle strette «dall’ingresso in campo delle fintech, e soprattutto delle bigtech, e dalle politiche monetarie, che hanno schiacciato i margini».
La quarta crisi, secondo Passera, lascerà vittime sul terreno. «Ci sarà una serie di vincitori, ma ci saranno anche istituti di credito che, per dimensione e genericità, non ce la faranno. Chi non reagirà, perderà. Nuovi player faranno irruzione. È improbabile che Amazon non si metta a fare operazioni di credito, o che Google non si prenda una parte del business dei pagamenti». Ma non è solo una questione di società tecnologiche. Perché, secondo Passera, «nasceranno banche specializzate, e lo faranno in maniera inedita, sfruttando al meglio le tecnologie disponibili e le flessibilità informatiche. Negli ultimi 20 anni siamo stati vincolati alla rigidità dei sistemi It: nelle banche normali, cambiare è lungo e costoso. Oggi, in quelle nuove, si possono mettere insieme sistemi informativi in maniera modulare: se uno non piace, lo si cambia. Questo dà flessibilità, velocità di reazione e un risparmio inimmaginabile».
Phygital. Intanto, le nuove banche e le fintech sono già in pista. E portano già a casa successi. Ma il mondo bancario non è fermo. Non è un caso che alcuni gruppi creditizi tradizionali decidano di allearsi alle fintech (e qualche volta a comprarle) per compiere determinati processi o fornire servizi. Oppure, che scelgano di formare essi stessi nuove società, iperdigitali o comunque innovative. Nel corso del Banking summit ne sono state presentate sette: un campione molto eterogeneo, che è solo un piccolo esempio dei molti modelli di servizio che si stanno sviluppando. E che diventeranno la normalità in breve tempo. A cominciare da Intesa Sanpaolo, che nel 2016 ha acquistato Banca Itb (comunemente chiamata la «banca dei tabaccai») e le ha dato il nuovo nome di Banca 5, sviluppandone il modello multicanale ibrido, a metà strada fra il fisico e il digitale. «Il nostro modello», spiega l’amministratore delegato Silvio Fraternali, «si basa su cinque prodotti: carte prepagate, conti di pagamento, prestiti, assicurazioni e altri servizi». Alcune di queste offerte vengono rese disponibili presso i 20mila tabaccai convenzionati, per rendere possibile un’operazione “fisica” ai clienti che le filiali non servono più, altre possono essere effettuate solo via app o web. Per esempio, spiega Fraternali, «vendiamo carte presso i tabaccai, ma non assicurazioni. Un tabaccaio non è un agente, né un esperto assicurativo». I punti fisici, quindi, sono abilitati solo ad alcuni servizi, come la verifica dell’identità dopo l’apertura di un conto e opera- zioni come pagamenti e, ultimi arri- vati, i prelievi fi no a 150 euro.
La nicchia della nicchia. Da In- tesa Sanpaolo a Unicredit, da una realtà basata sulla convergenza tra fisico e digitale a un’altra basata su una nicchia. Anzi: una «nicchia della nicchia». Si tratta di Buddybank, fondata da Angelo D’Alessandro, che fornisce servizi bancari solo via app, e unicamente via iPhone. «In partenza, l’idea aveva suscitato non pochi dubbi», ha spiegato lo stesso D’Alessandro: «Perché solo su mobile? E perché soltanto per iPhone? Oggi, a otto mesi dalla fondazione di Buddybank, abbiamo raddoppiato il target stabilito per il primo anno». La partnership con Apple «ci ha aiutato a segmentare, e a offrire assistenza via messaggi senza passare tramite la nostra applicazione». E gran parte dei clienti Buddybank non aveva rapporti bancari con la capogruppo. Il dialogo tra banca e cliente è centrale nella strategia della digital bank powered by Unicredit, che si definisce conversational bank (rende infatti disponibile una community fra i clienti) e off re «una concierge 24 ore su 24, sette giorni su sette, via messaging». E i servizi? Partita da una carta di debito e dal conto corrente a canone zero disponibile via app, la banca digitale fondata da D’Alessandro ha in mente di allargarsi. «La prima cosa che attiveremo nel 2019 saranno prestiti personali e trading con Etf». Anche qui, la tecnologia svolgerà un ruolo molto importante: gli in- vestimenti saranno basati «su robo-advisor e punteranno alla semplicità», perché il target principale sarà costituito da «clienti non esperti di risparmio gestito».
La community dirige l’orchestra. Diversa la storia di mBank, istituto di credito polacco il cui pacchetto di maggioranza è attualmente controllato da Commerzbank: fondata nel 2000 come segmento di internet banking di Bank Rozwoju Eksportu, ha rebrandizzato il gruppo. Ora, quindi, il marchio mBank indica tanto il virtuale, quanto il fisico: per questo motivo, ha avviato un nuovo network di succursali, e un’accelerazione del segmento mobile. Nel primo caso, la banca polacca ha puntato su due tipi di strutture: i centri di consulenza, presso edifici di altre aziende, e le filiali “leggere” all’interno dei centri commerciali, dotate di touch screen interattivi e video a muro che presentano le off erte della banca. «Se i clienti non vengono da noi, siamo noi a muoverci da loro», ha ricordato Krzysztof Pałuszyński, vicedirettore dipartimento canali digitali di mBank. «Andare dai clienti», significa anche rafforzare i servizi per smartphone: nell’aprile 2017, ha sottolineato il top manager, «abbiamo lanciato: una nuova app che mostra le spese del cliente e dà possibilità di connettersi direttamente al call centre». Anche per accedere al corporate è possibile utilizzare una app. Quali sono i risultati di questa operazione? «Che nel luglio 2017, la percentuale dei clienti che si sono autenticati via app ha superato quella che si è loggata con i computer, raggiungendo il 55% contro il 28% del 2016; nel giugno del 2018 ha ancora guadagnato terreno, portandosi al 59%. Sui canali mobile, ora abbiamo 1,4 milioni di clienti».
La banca-fintech. Completamente online è, invece, Fidor Bank, fondata a Monaco nel 2009, che opera ora anche in Gran Bretagna. L’istituto si autodefinisce «banca-fintech», e punta a proporre alla clientela un approccio basato sulla collaboration: come accade per mBank, i clienti sono coinvolti nel processo decisionale dell’istituto; i canali social sono il principale mezzo per interagire con la banca. Fidor ha lavorato per mettere in atto i modelli di open banking e di bank as a service, ponendosi come hub fra il settore del credito e quello delle fintech. E creando ecosistemi desti-nati a diventare i protagonisti nell’era delle Psd2. Per questo ha stretto vari accordi sia con istituti finanziari, sia con altre società, soprattutto nel mondo internet. Tra le partnership c’è quella con Telefonica, che ha lanciato propri servizi bancari (02 Banking) utilizzando l’infrastruttura cloud based (e la licenza bancaria) di Fidor. Tra le funzionalità offerte, gli «interessi bancari in megabyte»: come ha spiegato il membro del board ecco Gé Drossaert, «più i clienti utilizzano 02, più dati Lte ricevono». Questi possono poi essere «utilizzati oppure convertiti in regali in un marketplace specializzato (per esempio, voucher Amazon)».
In filiale? sì, ma in digital. Un misto fra online e un off line fortemente digitalizzato rappresenta invece l’e-sperienza di Emirates National Bank of Dubai (Nbd). Varie le soluzioni introdotte, e illustrate a Stresa da Reema Zaveri, head of multichannel banking design & strategy. Come, per esempio, la digitalizzazione degli assegni: su ogni cheque viene stampato un Qr code, che registra l’assegno nella piattaforma blockchain della banca; una volta che viene ricevuto, gli operatori hanno la possibilità di verificarne l’autenticità e avere accesso al registro ogni volta che vogliono. Anche l’esperienza in filiale viene digitalizzata: il cliente che intende recarsi in agenzia può prenotarsi già su smartphone, ottenendo il numerino saltacoda in modalità virtuale; una volta in agenzia, le transazioni vengono completate virtualmente, con l’assistenza di operatori. La parola d’ordine di Emirates Nbd è, comunque, mobile first: via telefonino viene reso possibile praticamente tutto, dall’apertura di un conto corrente alla verifica del cliente mediante dati biometrici, fino alle normali operazioni di banca. La banca di Dubai ha anche aperto lo scorso settembre al cosiddetto Whatsapp banking: mediante la app di messaggistica, Emirates Nbd rende infatti possibili varie attività, come il controllo del saldo nel conto corrente o il blocco/sblocco della carta di pagamento smarrita.
Versamenti e transazioni? si fanno in chat. Nel mondo occidentale, la banca in chat potrebbe rappresentare un’innovazione clamorosa. Mentre in Cina è già da tempo una realtà. Lo ha ricordato Andrea Ghizzoni, diretto-re per l’Europa di Tencent Wechat: «A differenza di quanto è accaduto da noi, il consumatore cinese ha scoperto internet con lo smartphone in mano», ha spiegato. «E quindi la messaggistica è molto diff usa». Wechat è quindi diventato un conte-nitore dove c’è dentro tutto. Anche la finanza, anche le assicurazioni: «Tutte le banche cinesi sono accettate nel wallet di Wechat», una cosa impensabile in Europa (anche e soprattutto per motivi regolamentari). «Tutto quello che noi facciamo utilizzando varie app», ha aggiunto Ghizzoni, «i cinesi lo fanno su Wechat». Che «accompagna gli operatori nell’intero processo di acquisto e vendita. E gestisce circa 200mila transazioni al secondo utilizzando una piattaforma di messaggistica e un dataset di Api». Sulla app, dunque, vengono sviluppate applicazioni di ogni tipo, anche finanziarie, per consentire agli utenti di effettuare operazioni senza lasciare la chat. «È un fenomeno cinese, è vero», ha concluso il manager. «Ma nel mondo occidentale potrebbe rivelar-si interessante sviluppare questo approccio. Per lavorare con la Cina. Ma anche per raggiungere i turisti cinesi in Europa, o quelli (molti) che vi risiedono». Normative permettendo.
A cura di Alberto Mazza
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SCM SIM PREMIATA COME ECCELLENZA DELL’ANNO PER LA FINANZA INNOVATIVA
6 anni agoGrande successo per il Convegno Le Fonti tenutosi martedì 15 novembre nella cornice di Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, con il patrocinio di Commissione Europea e la media partnership di CorriereEconomia. Durante la serata, che ha visto la partecipazione di Marcus East, già eCommerce Manager di Apple al fianco di Steve Jobs ed esperto mondiale di digital transformation, sono state premiate le società più innovative in diversi settori. La palma di Eccellenza dell’Anno per la Finanza Innovativa è andata a Solutions Capital Management Sim:
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Per l’approccio innovativo alla gestione dei patrimoni, indipendente e a 360 gradi, per una consulenza che non si limiti ai soli aspetti finanziari. Per la capacità, suffragata dalla recente quotazione in Borsa, di rappresentare un nuovo modello di advisor e wealth management sul mercato italiano.«È la seconda volta quest’anno che ci ritroviamo a Piazza Affari – ha commentato Antonello Sanna, CEO di SCM Sim -. La prima è stata il 28 luglio, giornata in cui abbiamo raggiunto un risultato molto importante: ci siamo quotati come prima Sim sul mercato AIM di Borsa Italiana. La seconda in occasione del Premio Le Fonti.
Ci fa molto piacere essere presenti a questa serata, in cui si è dato spazio a un tema di lungimiranza e visione futura, come è l’innovazione, in una location di contesto storico quale è il Palazzo di Mezzanotte. SCM, fin dalla sua origine nel 2009, nasce come modello di consulenza finanziaria indipendente. Un modello di business innovativo ed unico in Italia, fondato sulla trasparenza, indipendenza e assenza di conflitto di interessi. Siamo stati capaci di anticipare il cambiamento che sta attraversando oggi l’industria del risparmio gestito. Per effetto sia di logiche interne che di fattori esogeni, in primis la crisi finanziaria, l’industria del Private Banking si trova ad affrontare oggi tre cambiamenti epocali: nuove esigenze e bisogni della clientela, espansione della tecnologia e regole più severe a tutela dei risparmiatori, ossia la trasparenza, soprattutto a livello normativo. Per far fronte ai cambiamenti del mercato diventa necessario differenziarsi dai grandi gruppi bancari e dai loro sevizi standardizzati, orientandosi verso un modello di consulenza finanziaria che offra servizi personalizzati a clienti di alto livello e con esigenze articolate. SCM SIM, tramite i servizi di Private Banking e Wealth Management, offre soluzioni di advisory personalizzate per i clienti. Secondo la logica del Multi Family Office, ci posizioniamo al fianco dei nostri clienti, proprio come un vero life coach, fornendo strategie, soluzioni e strumenti necessari per la pianificazione, protezione e gestione del loro patrimonio complessivo. Non ci limitiamo a svolgere il servizio di asset allocation, ma ci occupiamo di tutti gli aspetti rilevanti per i nostri clienti, quali questioni successorie, consulenza in campo assicurativo e ottimizzazione fiscale. La clientela SCM è considerata e servita con una visione d’insieme del patrimonio, che si focalizza sul concetto di protezione e creazione di valore nel lungo periodo per il cliente e con il cliente. Il nostro obiettivo è di servire in maniera profittevole i nostri clienti, garantendo loro una customer experience di eccellenza. Essere premiati come finanza innovativa è certamente un segnale molto forte. Il mercato e la comunità finanziaria, anche a livello internazionale, riconosce in noi un modello di successo. Siamo la società di riferimento per quei consulenti che decidono di fare dei valori il centro della loro professione, tramite un modello che consente di allineare i propri interessi con quelli dei clienti».[/auth]
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Al via la rivoluzione digitale del fintech
5 anni agoLa Bce prepara le linee guida per il settore, l’Ue stanzia investimenti in favore delle startup e l’Italia cerca di imporsi come mercato di riferimento nel post Brexit. Intanto nuove banche virtuali nascono e conquistano la clientela più giovane. Ecco come si sta rapidamente evolvendo la tecnofinanza
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Quello del fintech, la tecnologia applicata ai servizi finanziari, è un settore in crescita esponenziale, al punto da essere già paragonato a una delle grandi rivoluzioni industriali. Un cambiamento importante che rischia, però, di mettere in crisi i modelli di business delle banche tradizionali e che va, per questo, governato con norme adeguate per evitare che le innovazioni creino valore distruggendolo violentemente in settori contigui.
Anche il Parlamento è sceso in campo per comprendere l’evoluzione in atto in termini di ricadute occupazionali e tecnologiche. La Camera dei deputati ha avviato, infatti, un’indagine conoscitiva sull’impatto delle nuove tecnologie su finanza, credito e assicurazioni, interpellando analisti e imprenditori del comparto. Dalle audizioni è emerso un quadro ottimistico soprattutto sulle chance per l’Italia di diventare uno dei principali mercati di riferimento. A condizione però che si adegui il quadro normativo, si migliorino le informazioni a disposizione dei clienti e si lavori sulla formazione dei talenti.
Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, le opportunità ora sono maggiori. La Brexit sta, infatti, spostando su altri Paesi l’attenzione di quelle società che finora consideravano unicamente la City come centro dei servizi finanziari ad alto tasso di innovazione. Si apre dunque uno spazio per fare dell’Italia una piattaforma privilegiata per lo sviluppo e l’offerta di soluzioni hi-tech per la finanza. Serve però una ricetta precisa per valorizzare il fintech made in Italy. E il primo ingrediente è l’allineamento della legislazione interna alle norme europee, in particolare alla direttiva Mifid 2, non ancora pienamente recepita nell’operatività. Il secondo tema è la semplificazione e la selezione, non tanto rispetto alla quantità degli strumenti a disposizione, quanto alla piena conoscenza delle potenzialità di ciascuno di questi. Spesso, infatti, pur di non confrontarsi con la complessità si rinuncia a utilizzarli.
Il terzo punto è il gap di competenze da colmare: fino a che il Paese non diventa attrattivo per i talenti stranieri è molto difficile innovare. L’esempio arriva ancora dalla Gran Bretagna dove aprire una startup, almeno fino allo scorso anno, era un vantaggio sotto più aspetti: una ricerca di capitale di rischio più facile, una platea di competenze molto ampia e flessibile e un intero ecosistema predisposto all’accoglienza degli imprenditori.Scende in campo la Banca Centrale Europea. La Bce sta già lavorando a linee guida per la concessione di licenze ai nuovi operatori. La presidente del consiglio di supervisione bancaria, Danièle Nouy, ha detto che il quadro di riferimento normativo sulla tecnofinanza sarà disponibile a breve e aperto a una consultazione pubblica. Insomma anche a Francoforte sembrano determinati a introdurre «limiti regolatori equilibrati» per i soggetti spesso non bancari che offrono servizi finanziati evoluti. Barriere che devono essere abbastanza alte da «garantire che solo le banche sane entrino nel mercato» ma anche sufficientemente basse da «assicurare la concorrenza». Un’attenzione determinata dal fatto che la digitalizzazione sta smontando la catena del valore del credito tradizionale e questo consente a nuove aziende che offrono utilità specifiche di emergere. Ciò determina un maggior grado di contendibilità sul mercato che sta motivando i regolatori e le autorità di vigilanza a introdurre regole per ricreare condizioni di gioco regolari.
Anche l’Ue è fortemente interessata al fenomeno della finanziarizzazione digitale. Nei mesi scorsi Bruxelles ha messo sul piatto degli investimenti hi-tech, previsti dal programma Horizon 2020, più di 5,5 milioni di euro sul successo della blockchain, la catena di validazione delle transazioni che non passa attraverso i circuiti bancari, e sullo sviluppo più in generale di servizi fintech. Le risorse sono state assegnate a otto startup fra cui Signaturit, Authenteq e The Billon Group per applicazioni legate all’identità digitale, ai pagamenti elettronici e altro. Gli investimenti europei si stanno allargando anche alla possibilità di sostenere progetti di cyber security per contrastare l’utilizzo delle criptovalute a scopi criminali e per consentire alle forze di polizia di affinare gli strumenti di prevenzione dei crimini che si verificano nel dark web.L’Italia e il volano della tecnofinanza. Che non sia solo una moda o una parola priva di contenuto lo dimostra il fatto che gli investimenti attorno al fintech sono consistenti e incentivati anche dal governo italiano. Alla fine dello scorso settembre è stato inaugurato, presente anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il Milan Fintech district, la prima area urbana italiana adibita all’operatività delle aziende più avanzate del settore finanziario che riunisce startup, imprenditori, istituzioni, investitori e università, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo dell’industria creditizia del futuro. Il Fintech district è un hub fisico nel quale i principali operatori presenti in Italia avranno la possibilità di lavorare insieme per favorire la nascita di collaborazioni industriali e commerciali, attrarre nuovi investimenti e dare impulso allo sviluppo del business. Un’esperienza che replica quelle presenti a livello internazionale come Level39 a Londra o Station F a Parigi. Gli spazi a disposizione sono dotati di uffici e coworking per consentire ad aziende e startup di localizzare stabilmente le loro attività nel distretto promosso da Sellalab, il polo d’innovazione del Gruppo Banca Sella, e da Copernico, la piattaforma di spazi di lavoro che promuove lo smart working. Attualmente sono ospitate già oltre trenta tra startup e corporate che operano in diverse aree tra le quali crowdfunding, p2p lending, blockchain, monete digitali e roboadvisory.
I clienti e le app Fintech. I consumatori finali non sono rimasti indifferenti alle possibilità offerte dal fintech. Per quanto riguarda le app scaricate sugli smartphone, una ricerca di Bem Research ha rilevato che le più richieste sono quelle per il controllo sulle spese e le uscite della carta di credito. Secondo Bem, «il ruolo delle applicazioni per il mobile in questo settore è potenzialmente molto più importante di quanto si possa pensare». Potrebbero, infatti, colmare le lacune della conoscenza in campo finanziario, assumendo esse stesse un compito formativo e informativo.
In Italia, nella classifica delle app più popolari su Google Play nella categoria finanza ci sono Postepay, Intesa Sanpaolo Mobile, BancoPosta, PayPal e PosteID. Anche nell’App Store, per la categoria finanza, Poste Italiane ha una buona presenza con Postepay e BancoPosta, mentre oltre a Unicredit e Intesa Sanpaolo compare anche PayPal.
Il caso di N26. Mentre per le tradizionali filiali bancarie si prefigura una drastica riduzione e un necessario cambiamento di layout e di funzioni per garantirsi la sopravvivenza, le nuove banche ad alta tecnologia digitale (anche queste assimilabili alle fintech) conquistano clienti e fette di business. Non si tratta più dei grandi marchi bancari che affiancano alla loro offerta canali web ma di nuove entità progettate e sviluppate attorno a un utente che desidera svolgere le interazioni con la banca senza bisogno di entrare in uno spazio fisico. Un esempio è N26, prima banca paneuropea concentrata in uno smartphone, fondata e guidata da Valentin Stalf, che cresce con tassi esplosivi. A gennaio scorso aveva festeggiato quota 100mila clienti. Nella primavera di quest’anno erano saliti a 300mila, ora la società corre verso mezzo milione di utenti. Non stupisce che l’obiettivo dichiarato di N26 sia quello di diventare nei prossimi anni la banca mobile leader per i clienti digitali di tutta Europa con 2 milioni di abbonati.
La storia di N26 è esemplare nel descrivere le potenzialità di successo delle fintech: acquisita la licenza home-banking in Germania ha avviato l’espansione nel resto dell’Unione europea, prima in Austria, poi Francia, Spagna e Italia e nel resto della Ue. Oggi i clienti di N26 provengono da 170 diverse nazioni e utilizzano le loro carte in 207 Paesi differenti per transazioni in 143 valute. In Italia la banca nello smartphone contava, lo scorso maggio, 10mila clienti. In crescita con un tasso più alto rispetto alla media, così l’azienda considera possibile centrare l’obiettivo di 50mila clienti a fine 2017. Quanto agli utenti sono per lo più giovani con un’età compresa tra 18 e 35 anni. Una generazione digitale, con stipendi di ingresso più bassi di quelli dei genitori e che cerca costi contenuti e facilità di accesso.Le aziende. Non solo finanza. Anche gli operatori che offrono servizi alle aziende iniziano a guardare con interesse alle possibilità offerte dalla tecnologia bancaria evoluta. Un esempio è l’accordo strategico siglato tra la Zucchetti, gruppo italiano che offre soluzioni Ict per imprese e professionisti, e Soldo, il primo conto multi-utente per il controllo delle spese aziendali. Un’intesa con la quale per la prima volta una soluzione fintech viene integrata all’interno di un software gestionale, garantendo così a migliaia di imprese il controllo automatico delle transazioni per i costi di trasfert
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