Parvest Multi-Asset Income Emerging è un comparto di Parvest, SICAV di diritto lussemburghese conforme alla Direttiva UCITS V. Il fondo è stato lanciato come soluzione per la clientela che cerca fonti di rendimento alternative e desidera aumentare la propria esposizione ai mercati in linea con la quota crescente di produzione economica globale dei mercati emergenti.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Parvest Multi-Asset Income Emerging è gestito utilizzando un processo di asset allocation attiva di tipo top-down e basato sui fondamentali macroeconomici, nonché, a livello di singola classe di attivo, su una selezione titoli attiva di tipo bottom-up, che si basa su un’ampia conoscenza e una forte presenza sui mercati emergenti. L’obiettivo è di generare un rendimento interessante e regolare, in linea con gli altri prodotti di reddito gestiti dal team Multi Asset Solutions, grazie a un’allocazione dinamica su mercati emergenti, classi di attivo e regioni. L’esposizione si concentra sulle principali classi di attivo dei mercati emergenti come azioni, debito sovrano locale, debito sovrano esterno, obbligazioni corporate, valute e commodity. Il peso delle azioni e dei titoli a reddito fisso può variare significativamente in un range compreso tra lo 0% e l’80% dell’intero portafoglio.
Parvest Multi-Asset Income Emerging è gestito dal team Multi- Asset Solutions di BNP Paribas Investment Partners e fa leva sulla storia di successo del team nella gestione di fondi multi-asset e income-generating insieme all’expertise di lunga data di BNP Paribas Investment Partners sui mercati emergenti e all’ampia presenza a livello locale.
Il team Multi-Asset Solutions gestisce portafogli che seguono strategie di tipo “income” da oltre 10 anni ed è composto da più di 50 professionisti, focalizzati esclusivamente sull’asset allocation, che gestiscono più di 70 miliardi di Euro. Grazie a una forte impronta sui mercati emergenti dal 1992, BNP Paribas Investment Partners è presente in 16 paesi con più di 300 professionisti che gestiscono attivi per 64,7 miliardi di Euro1.
Colin Graham, CIO Multi Asset Solutions di BNP Paribas Investment Partners, commenta: Nell’attuale contesto di tassi d’interesse bassi e rendimenti obbligazionari governativi negativi duraturi, il rendimento è un bene sempre più scarso e i mercati emergenti possono offrire opportunità d’investimento attrattive con rendimenti più alti. La dispersione sul mercato è aumentata negli ultimi tempi e questo significa che non tutti i mercati emergenti sono uguali. L’universo dei mercati emergenti è formato da molteplici classi di attivo, ognuna delle quali con un diverso profilo di rischio e di rendimento e comportamenti differenti a seconda del ciclo economico. Combinando le nostre abilità consolidate sul multi-asset income, con la conoscenza diretta e la comprensione dei mercati emergenti che la nostra solida presenza locale ci permette, siamo in grado di identificare quelle che consideriamo le opportunità di rendimento più attrattive all’interno di queste classi di attivi in modo da andare incontro ai bisogni dei nostri clienti”.
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La finanza scommette sul biotech
3 anni agoGianpaolo Nodari, amministratore della società di consulenza finanziaria
J. Lamarck, spiega la rivoluzione che sta avvenendo nel settore farmaceutico.
E perché i titoli del comparto stanno sostituendo quelli dell’hi-tech nei portafogli degli investitori più evoluti.[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]C’è una grande rivoluzione in atto nel campo farmaceutico. Un’intera gamma di nuove molecole più efficaci e sviluppate con la biotecnologia che porteranno una forte crescita nel settore della salute. Per chi investe le prospettive di guadagno sono positive e le aspettative di moltiplicare le performance sono amplificate dalla riforma Trump sul rientro dei capitali negli Usa e dall’ingresso nel comparto dei giganti del web come Apple e Google». A spiegarlo a World Excellence è Gianpaolo Nodari, amministratore delegato di J.Lamarck, società di consulenza finanziaria indipendente specializzata in aziende del settore biotecnologico e farmaceutico.Quanto vale il settore in cifre. E che prospettive ha chi ci investe?
I titoli del biotech stanno velocemente sostituendo buona parte dell’hi-tech nel portafoglio degli investitori più evoluti. Il fatturato che oggi è di circa 140 miliardi di dollari, potrebbe raggiungere i 500 miliardi nel giro di cinque anni. Lo spazio di crescita è molto elevato.Cosa motiva oggi gli investimenti nel settore pharma e biotech?
Con la mappatura del genoma umano, avvenuta nella primavera del 2000 e annunciata dal presidente americano dell’epoca Bill Clinton, si sono aperte le porte per la più grande rivoluzione finora mai avvenuta nel campo della medicina. Una situazione comparabile alla scoperta, nel 1869, del chimico russo Mendeleff con la tavola degli elementi con la quale sono stato ordinati i mattoni della chimica. La sistematizzazione ha consentito, allora, la realizzazione dei composti chimici per trattare determinate patologie. Ora con la mappatura degli elementi biologici gli scienziati sono in grado di capire quali sono le regole di funzionamento del nostro corpo e cosa determina una particolare malattia.Che cosa cambia?
Con la chimica si interviene sugli effetti di una malattia, cioè a posteriori. Grazie alle biotecnologie si andrà a intervenire sulle cause, anticipando, per quanto possibile lo sviluppo della malattia, perché la mappa del Dna fornisce tutte le informazioni necessarie per passare dalla semplice comprensione dei meccanismi della vita alla possibilità di controllarla. Un esempio è la chemioterapia che è un protocollo basato su sostanze ottenute da sintesi chimica. Pur se molto migliorata nel corso degli anni, la chemioterapia possiede una forte capacità distruttiva delle cellule tumorali ma non è esente da effetti collaterali come la distruzione dei tessuti, delle mucose delle vie gastrointestinali e dei follicoli piliferi. L’effetto è quello di una bomba atomica che colpisce il nostro corpo, distruggendo sia le cellule malate sia quelle sane. La biotecnologia oggi consente di capire meglio quali sono le caratteristiche delle cellule tumorali, perché si formano e come possono essere distrutte. Il farmaco sviluppato su queste tecniche consente l’utilizzo di un agente sviluppato ad hoc per portare la cura direttamente alla cellula malata senza toccare quelle sane.Perché si dovrebbe privilegiare il comparto in un portafoglio?
Si tratta di un campo che continua a registrare tassi di crescita molto elevati. Dal 2000 a oggi l’indice del settore ha decuplicato il valore confermandosi tra i più performanti nel confronto con semiconduttori, metalli preziosi utilizzati dall’industria, banche, petrolio ed energia. A spingere le quotazioni ci sono diversi fattori come l’invecchiamento della popolazione che comporta un aumento delle prestazioni sanitarie e della spesa farmaceutica. Ma anche la scadenza dei brevetti di molecole tradizionali. Una perdita immensa per le aziende.Quanto valgono?
Negli ultimi anni sono scaduti brevetti per più di 200 miliardi di dollari e questo ha messo in seria difficoltà le aziende farmaceutiche tradizionali. Anche avendo a disposizione risorse finanziarie importanti per sviluppare nuove terapie non hanno tempo a disposizione. Servono circa dieci anni e un miliardo di dollari per portare un farmaco dalla scoperta alla commercializzazione. I grandi colossi, però, non possono fermarsi e preferiscono acquistare aziende biotech innovative già in possesso di brevetti e di abbondanti pipeline. Insomma, le opportunità sono legate sia ai nuovi composti sviluppati con alte componenti di valore aggiunto sia alle potenziali operazioni di fusioni e acquisizioni del comparto.Quali sono i farmaci su cui punta il biotech?
Vi sono attualmente più di 4mila farmaci biotech in sperimentazione. I principali target sono il cancro, il trattamento delle infezioni tornato d’attualità dopo l’allarme sulla perdita di efficacia degli antibiotici tradizionali ai quali i batteri sono divenuti sempre più resistenti. Molto cospicui sono poi gli investimenti contro le malattie neurologiche e cardiovascolari.Passiamo a J.Lamarck. Come selezionate le aziende da mettere in portafoglio?
Il nostro focus è sulle aziende biofarmaceutiche mature e sulle società con prodotti in fase di sviluppo, privilegiando quelle impegnate nella lotta alle patologie più complesse il cui trattamento, molto costoso, è spesso sostenuto dalla sanità pubblica. Altre chiavi di scelta sono il livello del management, le alleanze e le relazioni strategiche con il mondo accademico che garantisce l’accesso in anteprima alle scoperte scientifiche. Senza dimenticare la presenza di alti tassi di crescita e di un’ampia piattaforma tecnologica che potrebbe far diventare i soggetti scelti leader del settore.E dal punto di vista strettamente finanziario?
Esaminiamo la capitalizzazione, il fatturato, il rapporto price/earnings, il price/sales e price/earnings over growth. Normalmente più del 50% del portafoglio viene allocato fra aziende che hanno caratteristiche da top tier e cioè con alta capitalizzazione e ampio fatturato, a cui si aggiungono posizioni in aziende con elevati tassi di crescita.Ci sono aree geografiche particolarmente interessanti?
Il nostro posizionamento è globale. Il portafoglio è composto da partecipazione in big pharma americane, giapponesi ed europee. Nel settore biotecnologico è presente in misura superiore l’esposizione in aziende Usa, insieme a diverse partecipazioni in aziende europee, soprattutto danesi e svedesi.Niente Italia dunque?
Nonostante l’innovazione che contraddistingue le nostre aziende, soprattutto quelle impegnate nelle biotecnologie, la dimensione continua a essere micro o piccola (rispettivamente, meno di 10 e meno di 50 addetti) e circa l’80% del fatturato è riconducibile alle multinazionali con sede in Italia. Sono dati che penalizzano l’allocazione di capitale nei loro progetti nonostante la bontà e le prospettive delle loro ricerche.Su che quadro può contare il settore italiano?
Secondo i dati della Camera di commercio di Milano ci sono circa 25mila imprese tra farmaceutico, biomedicale e biotech, con 165mila addetti e 33 miliardi di fatturato. Roma è leader per numero di società, circa 2.100 seguita da Milano, Torino, Napoli, Bari e Firenze mentre, in termini di addetti, è Milano a dominare la classifica con circa 33mila lavoratori.Possono rientrare nel vostro mirino per caratteristiche e reddittività?
La maggior parte delle imprese sono impegnate nella produzione di strumenti medicali, e soltanto un piccolo numero, circa 4mila imprese, sono impegnate nella ricerca e sviluppo nel campo delle biotecnologie e scienze naturali, settore che personalmente ritengo più innovativo e in grado di fungere da propulsore all’economia di un paese.Siamo ancora una volta fanalino di coda in Europa?
Per una volta un po’ meno. A livello europeo il settore della salute italiano continua a essere competitivo nonostante la frammentazione delle imprese. I limiti sono gli stessi, strutturali, che frenano tutto il sistema Italia. Gli investimenti in ricerca e sviluppo confermano che le aziende biofarmaceutiche italiane hanno una forte predisposizione a investire, ma gli alti costi necessari per portare una molecola dalla scoperta alla commercializzazione fanno sì che ancora per un po’ la biofarmaceutica intesa come macro settore tecnologico sia un affare solo degli Stati Uniti. Che restano l’unico mercato dove sono già presenti multinazionali biotech che capitalizzano in borsa decine di miliardi di dollari.Investimenti colossali dunque in arrivo. Ma chi sono i protagonisti?
Le grandi case farmaceutiche che crescono con acquisizioni record. Solo a titolo di esempio la Genentech è stata valutata dalla Roche, che l’ha comprata, più di 100 miliardi di dollari. Ma ci sono altri player il cui ingresso nel settore può fare la differenza.Chi sono?
I giganti dell’high tech come Microsoft e le big company del web come Google. Non si tratta di improvvisazione. Bill Gates, anni fa, rispondendo a una domanda di un giornalista, disse che se non fosse stato impegnato nel settore high tech avrebbe certamente voluto occuparsi di biotecnologia perché la rivoluzione medica emergente avrebbe avuto, per il futuro dell’umanità, lo stesso impatto dell’high tech.Ci sono esempi dell’invasione di campo?
Google recentemente ha avviato una collaborazione col gigante farmaceutico Sanofi per la ricerca sul monitoraggio e la cura del diabete con l’obiettivo di eradicare la malattia in futuro. Anche Apple si sta cimentando nel settore sanitario con la costruzione di un network tra gli ospedali che eseguono studi e ricerche per le cure per malattie come il diabete, il Parkinson e le malattie cardiovascolari. Obiettivo è fare in modo che i file di tutti i pazienti del mondo siano collegati a una rete centrale per costituire una base di studio alla quale applicare modelli di ricerca. Infine Facebook ha investito 3 miliardi di dollari per realizzare un grande centro per la ricerca biomedica. Un luogo nel quale ricercatori e ingegneri delle università californiane di Berkeley, San Francisco e Stanford lavoreranno insieme per sviluppare nuovi strumenti e tecnologie per trovare una cura per tutte le malattie entro la fine del secolo.C’è un problema a prima vista. Se sale l’aspettativa di vita dell’uomo, grazie a farmaci di ultima generazione, cresce anche la spesa sanitaria. Cosa non facile da mantenere oggi. Come la mettiamo?
Distinguiamo. A causa dell’invecchiamento della popolazione la spesa sanitaria passerà dal 16% attuale a circa il 20% della ricchezza nazionale. Ma le cure farmacologiche garantite dalla ricerca biotech consentiranno a un paziente di evitare un ricovero ospedaliero, un’operazione o una riabilitazione. Dunque avremo una maggiore incidenza della spesa farmaceutica sul totale di quella sanitaria ma, dall’altra parte, anche un contenimento di quest’ultima. Un recente studio ha evidenziato come un dollaro di spesa aggiuntiva per farmaci corrisponda a 6,2 dollari di risparmio netto di spesa sanitaria. Ma anche che un giorno di ricovero equivale a quasi 3 anni di assistenza farmaceutica, e che un euro di vaccino corrispondano a 24 euro per curare chi si ammala. Il farmaco è il migliore alleato della sostenibilità del sistema sanitario.Torniamo all’investitore che si sta ancora leccando le ferite della bolla della dot economy, non è che anche il biotech può seguire lo stesso destino?
I rischi della speculazione ci sono sempre. Ma a mio avviso la crescita del biotech è solo all’inizio. A differenza del 2000, anno nel corso del quale i prezzi delle aziende di internet e dell’high tech sono stati spinti alle stelle da masse di investitori che spesso conoscevano poco o nulla delle aziende in cui investivano, la biotecnologia, al momento è quasi completamente assente nei portafogli degli investitori privati ed è estremamente sottopesata dagli istituzionali. I grandi movimenti di investimento in biotecnologia sono una priorità solo dalle case farmaceutiche, consce del fatto che la loro sopravvivenza potrà essere garantita soltanto da grandi sforzi e investimenti nelle moderne tecnologie basate sulla biologia molecolare. J.Lamarck definisce le aziende farmaceutiche con il termine di insider proprio per rappresentare l’investitore che gode di informazioni privilegiate sul mercato. Dunque se questi insider sono disposti a comprare aziende biotech al doppio o al triplo dell’attuale valore di borsa significa che nonostante tutto intravedono ancora grandi potenzialità di crescita.Investimento che può essere vincente nel lungo periodo?
Le premesse ci sono e sono supportate anche dai numeri. Oggi con i farmaci tradizionali riusciamo a curare soltanto il 10% delle malattie e ci sono più di 4mila nuovi farmaci biotech in fase di sperimentazione per malattie come cancro, Alzheimer, malattie cardiovascolari, diabete, sclerosi multipla. Se affrontato con cognizione e professionalità, e soprattutto con una visione di medio-lungo termine, l’investimento in biotecnologia rappresenta un’opportunità d’investimento paragonabile agli investimenti fatti nelle case farmaceutiche tradizionali negli anni 60-80.Nel breve termine cosa vede?
Il 2016 è stato particolarmente burrascoso per il dibattiti elettorale statunitensi che si è polarizzato sui prezzi dei farmaci ritenuti troppo elevati. Un’incertezza che fornito agli investitori un buon motivo per prendersi una pausa dopo i lunghi rialzi degli anni precedenti, il 2017 ha visto una ripresa dei corsi con la sconfitta elettorale dei democratici che ha alleviato il clima di tensione sul biopharma. Le incertezze sono legate alle ipotesi di abrogazione e rivisitazione dell’Obamacare che potrebbero ancora influenzare il settore. Ma la gestione della sanità da parte dell’amministrazione repubblicana non richiede cambiamenti nei prezzi dei farmaci. La stabilità ha consentito all’industria di focalizzare i suoi sforzi di ricerca e sviluppo per trovare farmaci in grado di fornire benefici clinici. Questo ha rimesso in moto il trend rialzista.Sono sempre gli Usa a guidare i movimenti del settore?
Sì. La riforma fiscale di Trump può influenzare ancora il settore della biotecnologia, e non tanto per gli sgravi fiscali che non rappresenterebbero un grande cambiamento visto che le società hanno già tassi di imposizione medi del 20-25%, ma per gli incentivi offerti per il rimpatrio dei capitali detenuti dalle aziende oltre i confini americani.
Molte società utilizzeranno le risorse per dare valore agli azionisti, con acquisti di azioni e dividendi, ma anche per operazioni di merger&acquisition che potrebbero consentire alle big pharma di rafforzare le linee con nuovi prodotti e, alle piccole e medie società biotech, di accedere alle competenze e al personale di aziende più consolidate per aumentare i loro sforzi di distribuzione. A spingere il mercato potrebbe essere anche la nomina a commissario della Food and drug administration di Scott Gottlieb. Una persona pragmatica che spingerà senz’altro per una minore regolamentazione dei farmaci e per approvazioni più rapide.[/auth]
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L’innovazione interculturale per una marcia in più
3 anni agoIl direttore Hr del colosso automotive in Italia spiega la strategia di corporate social responsibility del gruppo. Come si attraggono giovani talenti e si motivano quelli già presenti in azienda. E assicura che tra le varie iniziative volte al benessere e alla motivazione, lo smartworking è una di quelle più apprezzate
Inclusione sociale, smartworking e tanta responsabilità sociale d’impresa. Così Bmw Italia punta alla crescita dei propri dipendenti e ad attrarre giovani di talento. Ne abbiamo parlato con l’Hr director, Marco Bergossi.
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Bmw è presente in 150 Paesi nel mondo. Quali sono le iniziative che state sviluppando per incentivare l’interculturalità e l’inclusione sociale?
Il board del gruppo ha stabilito che l’innovazione interculturale rappresenta uno dei pilastri della strategia di corporate social responsibility. Sono stati ideati e implementati workshop e appositi corsi di formazione interculturali. Il dialogo con i giovani è un altro tema su cui anche Bmw Italia è particolarmente impegnata, ad esempio, come partner dell’Università degli Studi di Milano Bicocca per le Giornate interculturali che ha visto coinvolti più di 2mila studenti e più di 100 associazioni culturali. Parlando di inclusione sociale, siamo attivi su più fronti: dalla partnership con l’Ospedale San Raffaele di Milano dove è stata creata la Bmw Research Unit al progetto “sciabile” con la scuola di Sauze project in Piemonte, fino ad arrivare alla collaborazione con Dynamo Camp e San Patrignano e alla nascita del progetto BocciaRio in collaborazione con Fispes (Federazione italiana sport paralimpici e sperimetali).Ha citato la responsabilità sociale di impresa. Come la promuovete nei confronti del vostro personale?
Sono oltre 200mila le persone coinvolte nei programmi di Csr di Bmw Italia dal 2001 a oggi racchiusi nel progetto SpecialMente. Dal 2016, più di 200 collaboratori hanno partecipato ad attività di corporate volunteering con Dynamo Camp. Cinque sono le aule didattiche allestite e poi donate al comune di Amatrice e Posta dopo il terremoto, anche grazie alle donazioni dei dipendenti attraverso Save the children. E ancora corsi di guida per disabili presso la Bmw Driving Academy e la possibilità di donare gli arrotondamenti delle buste paga (contributo poi integrato dall’azienda) per piantare alberi in zone prive di verde. La social responsibility è un orientamento anche per i nostri programmi dedicati ai giovani potenziali, basti pensare che dal 2016 facciamo parte della delegazione Bmw Group a One Young World, forum globale che chiama a raccolta giovani fra i 18 e i 30 anni da tutto il mondo, con l’obiettivo di promuoverne attivamente le opportunità e moltiplicarne l’impatto, dando così alle nuove generazioni una concreta possibilità di guidare e influenzare il cambiamento su scala globale.Entrare in Bmw Group è infatti il sogno di molti giovani. Ci sono dei programmi dedicati per loro?
In Bmw Italia inseriamo ogni anno una cinquantina di tirocini, con percorsi formativi dedicati. Nel 2017, il 30% dei nostri stagisti ha poi trovato un impiego all’interno del nostro gruppo. Abbiamo attivi sia programmi di alternanza scuola lavoro sia di apprendistato per giovani diplomati che vengono inseriti nelle due concessionarie di proprietà di Milano e Roma. A tutto questo si aggiungono attività di employer branding per attrarre i migliori talenti. Il Bmw OpenDay 2017, per citarne uno, ha portato in azienda 100 talenti provenienti da alcune delle migliori università italiane, offrendo loro la possibilità di fare colloqui individuali con la direzione risorse umane, incontrare manager dell’azienda e provare su strada le nuove Bmw i3 e Mini Countryman. Cerchiamo ragazzi e ragazze che condividano i nostri valori di responsabilità, apprezzamento, trasparenza, fiducia, apertura e che portino idee e innovazione. Cerchiamo persone con una marcia in più.E come la vostra divisione Hr favorisce questa marcia in più?
Oggi le aziende devono affrontare i profondi cambiamenti che le nuove tecnologie digitali impongono nel mercato del lavoro. Il ruolo della direzione delle risorse umane diventa sempre più strategico per selezionare e sviluppare nuove competenze. A questo proposito abbiamo elaborato e messo a punto un progetto speciale denominato Digital Journey, un percorso dedicato alla crescita di tutta l’azienda e alla diffusione capillare delle competenze necessarie per affrontare al meglio la sfida della digital transformation. Nel 2017 abbiamo erogato, solo per Bmw Italia, più di 800 giornate di formazione, per consentire quel processo di sviluppo dei talenti e delle competenze determinanti per giocare un ruolo da protagonisti sul mercato. Negli ultimi anni abbiamo implementato numerose iniziative fortemente orientate al personnel development, con particolare attenzione allo sviluppo dei potenziali e alla valorizzazione della diversità in azienda: eroghiamo programmi che partono dai tirocini (stage certificati 3.0), fino ad arrivare a programmi personalizzati per i giovani manager, leadership al femminile e attività di coaching.Quali iniziative state portando avanti nell’ambito dello smartworking?
Tra le varie iniziative volte al benessere e alla motivazione, lo smartworking è sicuramente una di quelle più apprezzate con il 100% di soddisfazione tra manager e collaboratori. Nel corso del 2017 BMW Italia è stata insignita del premio Le Fonti «Eccellenza dell’anno per lo smartworking», per il progetto sul lavoro agile che vede coinvolti oggi più del 30% dei collaboratori. Bmw Italia è inoltre entrata nella classifica delle 400 aziende dove si lavora meglio in Italia frutto di un sondaggio tra 15mila lavoratori di oltre 1.900 imprese con più di 250 dipendenti effettuata dall’Istituto di ricerca tedesco Statista e pubblicata recentemente su Panorama.[/auth]
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Nasce Delò, il locker refrigerato per la consegna di cibi pronti in sicurezza per la fase 2 del lockdown
12 mesi agoIpotizzando una fase 2 dell’emergenza COVID-19 in cui molte aziende riapriranno, ma probabilmente mense e bar non potranno più essere presi d’assalto in pausa pranzo, Streateat lancia Delò, il primo locker refrigerato al mondo per numero di scomparti/boxin cui ricevere un pasto diverso ogni giorno, confezionato in atmosfera modificata (ATP)
Mense e bar presi d’assalto in pausa pranzo probabilmente saranno per ancora molti mesi un lontano ricordo. E’ infatti molto probabile che, in una fase due dell’ emergenza, in cui alcune attività produttive riapriranno, il modo in cui vivremo la pausa pranzo sarà molto diverso. Mentre qualcuno già pensa di ricorrere alla tradizionale “schiscetta”, ovvero il pranzo portato da casa e consumato davanti al PC, Streeteat (http://www.streeteat.it), la startup fondata nel 2015 da Giuseppe Castronovo, nata come un aggregatore di food truck, lancia proprio in questi giorni Delò, il primo e unico locker refrigerato al mondo che permette, a chiunque lo abbia installato nei propri uffici, di scegliere il piatto che più preferisce, trovandolo in poco tempo nello scomparto assegnatogli.
Delò permette tramite un’app o da desktop di scegliere i pasti tra i 10 offerti settimanalmente e riceverli durante la pausa pranzo alla giusta temperatura e in estrema sicurezza, in linea con le norme anti contagio che sempre più si stanno consolidando come abitudini: i piatti, infatti, sono confezionati in ATP e consegnati all’utente all’interno di uno dei 48 scomparti del locker senza quindi alcun contatto diretto con il driver e senza scambio di contanti.
A differenza dei tradizionali servizi di delivery, Delò è organizzato in modo tale che possano essere consegnati, contemporaneamente fino a 48 pasti completi.
Il locker può facilmente essere inserito nei coworking e nelle grandi aziende per offrire al personale non solo un servizio innovativo, sicuro e comodo, ma anche un’esperienza culinaria in linea con il loro mood del momento.
“Delò è un progetto su cui abbiamo lavorato per più di un anno– spiega Giuseppe Castronovo, CEO e founder di Streeteat – presentarlo oggi significa per noi non solo offrire una nuova esperienza culinaria ai lavoratori per la loro pausa pranzo, ma dare una una concreta soluzione ad un problema che, con il rientro alla normalità, dovrà essere preso in considerazione. Non possiamo più immaginare spazi ristretti come bar e mense sovraffollati: si dovranno proporre nuove soluzioni per il pranzo per evitare assembramenti e Delò, va incontro proprio a questa nuova esigenza delle aziende e non solo”.
Innovativo, sicuro e comodo: il progetto Delòdedicato alle aziende è un’esperienza emozionale
Nata come un’app che permetteva agli utenti di trovare il food truck più vicino, Streeteat ha cambiato strada in questi 5 anni di attività, aprendosi ai mercati degli eventi e dei catering ottenendo grandi risultati: la sua Food Court in Breranel 2018, creata in occasione del Fuori Salone, è stato un vero e proprio hub sociale, dedicato al cibo, all’eco-sostenibilità e alla sharing economy, ottenendo successo e consensi.La prima grande metamorfosi di Streeteat è avvenuta durante questo evento: da app digitale e immateriale che aggrega food truck, punto di incontro virtuale tra domanda e offerta, a luogo fisico e reale di esperienza e condivisione.
Il passo successivo è stata la creazione di Delò, un servizio innovativo, comodo e sicuro attraverso cui fornire un’esperienza diversa e unica per la pausa pranzo dei lavoratori e che oggi si propone come alternativa alle code infinite in mense e bar sovraffollati.
La scelta dei piatti non è suddivisa a seconda dei propri gusti ma si basa sul lato emotivo. Streeteat, infatti, ha declinato quattro categorie che rispecchiano l’umore dell’utente: In cucina, In viaggio, Di corsa, Con rispetto.
Le opzioni tra cui scegliere non solo vogliono delineare quattro differenti tipologie di esperienze culinarie, ma anche regalare un momento emozionale ai fruitori del servizio.
“Con Delò intendiamo rivoluzionare il concetto stesso di pausa pranzo con un servizio agile, innovativo e sicuro puntando anche sull’emozione. Delò permette di offrire ai dipendenti una pausa pranzo qualitativa con un alto valore in termini di innovazione e socialità. Insieme al locker abbiamo sviluppato un’area Delò realizzando un ambiente confortevole e accogliente, in cui quando ci saremo lasciati tutto alle spalle, sarà possibile tornare a gustare insieme il piatto ricevuto.” afferma Castronovo.
Innovazione, cultura, condivisione e sostenibilità: l’eatlosophy di Streeteat
Streeteat ha in mente di sviluppare una nuova filosofia del cibo, chiamandola propriamente eatlosophy, basandola su quattro pilastri: innovazione, cultura, condivisione e sostenibilità.In questa nuova filosofia risiede il voler sviluppare il momento del pasto facendolo diventare un’esperienza di condivisione e socializzazione che porta a sentirsi a casa, in qualunque momento e in qualunque luogo perché al centro dell’eatlosophy ci sono le persone e i loro stati d’animo.
Dalla eatlosophy è nato Delò e tutti gli altri progetti che verranno lanciati nei prossimi mesi da Streeteat che sarà il nuovo punto di riferimento delle aziende in materia di cibo e di condivisione: su http://www.streeteat.it sarà possibile per gli utenti scoprire i piatti e il concept Delò mentre per scoprire su https://business.streeteat.it/it le aziende potranno prendere parte alla eatlosophy.
Streeteat
Streeteat è una startup fondata nel 2015 da Giuseppe Castronovo, CEO e founder.
Inizialmente nasce come un aggregatore di food truck attraverso l’utilizzo di un’app per poi divenire un vero e proprio marketplace richiesto agli eventi. Sviluppa poi un servizio di catering per creare successivamente Food Court per grandi eventi come quello del Fuori Salone di Milano.Il suo team, si trova a Milano nell’ex Fabbrica Richard Ginori, dove Streeteat ha creato un vero e proprio showroom all’interno del quale è possibile trovare vari food truck e vedere in anteprima Delò.
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