Pressoché invariata è la percentuale di quote rosa all’interno dei CdA delle società quotate rilevata dall’Osservatorio permanente D&I di Le Fonti, nato per monitorare in maniera periodica e costante e segnalare le imprese più e meno virtuose sul tema della parità di genere.
Ma nulla si muove, affinché tutto si muova. Grande attesa infatti per le nuove nomine: saranno ben 115 gli Organi sociali, di cui 74 CdA e 41 Collegi sindacali, in 90 Società che andranno al rinnovo con le assemblee di bilancio di prossimi giorni.
Come rilevato anche da Consob, complice l’applicazione della Legge Golfo-Mosca, la diversità di genere nella composizione degli organi di amministrazione e controllo delle società quotate ha raggiunto quasi il 39% nel 2020, ma solo il 2% del totale dei CEO è donna.
La speranza è che questo dato non solo aumenti, ma che rappresenti un trend destinato a non fermarsi.
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La Brexit e i conti con la sterlina
6 anni agoIl calo della sterlina renderà le esportazioni britanniche più competitive. E convoglierà la spesa dei consumatori verso i beni nazionali. Ma la spinta positiva sull’economia potrebbe avere corto respiro. Perchè le condizioni favorevoli del passato?
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]I primi effetti della Brexit sono sotto gli occhi di tutti e al contrario di quello che affermano alcuni, non sono positivi. A luglio, dopo il referendum, la fiducia dei consumatori è crollata ai livelli più bassi dal 1990. I dati sul settore manifatturiero e delle costruzioni sono scesi vertiginosamente. Anche se i dati di agosto sono andati meglio, è troppo presto dire se il miglioramento era solo un “rimbalzo del gatto morto”.In questo mondo confusionario post-referendum, l’unica buona notizia è il calo della sterlina sul mercato Forex. Un tasso di cambio più basso renderà le esportazioni britanniche più competitive. Di fronte a prezzi di importazione più alti, i consumatori sposteranno la loro spesa verso i beni nazionali. Anche questo spingerà l’economia britannica.La questione è quanto è grande la spinta. Gli scettici avvertono che la Gran Bretagna fa grande affidamento sulle esportazioni di servizi finanziari, che non sono particolarmente sensibili ai prezzi, e che lo scopo della crescita di esportazioni di merci è limitata dal rallentamento della domanda globale.La Gran Bretagna ci era già passata, quindi la questione è come la storia può fare chiarezza su tutto ciò. Nel 1931, quando il Regno Unito ha abbandonato il gold standard, la sterlina ha assistito a un calo del 30%. Come oggi, il paese faceva affidamento in maniera massiccia sulle esportazioni di servizi, non solo servizi bancari ma anche spedizioni e assicurazioni. E l’ambiente esterno era anche più sfavorevole di oggi.Tuttavia, nonostante le difficoltà, il deficit del commercio di beni è sceso di un terzo tra il 1931 e il 1932. Dal 1933, la bilancia dei servizi si era rafforzata. A questo punto, l’economia era sulla strada della ripresa.Tre circostanze l’hanno reso possibile. Primo, la capacità in eccesso ha permesso alle società di accelerare la produzione. Secondo, la Gran Bretagna era in grado velocemente di mettere in atto una serie di accordi commerciali favorevoli, negoziati con i paesi del Commonwealth durante la Conferenza di Ottawa nel 1932. Terzo, l’incertezza politica è scesa improvvisamente, dal momento che il governo laburista, ampiamente incolpato per la crisi del 1931, è stato sostituito da un gabinetto conservativo con un ampio supporto popolare.Chiaramente, nessuna di queste condizioni è presente oggi. La capacità in eccesso nei settori di beni commerciati è bassa. In un contesto come quello attuale più complicato dal punto di vista legale, ci vorranno degli anni per negoziare accordi commerciali con l’Unione Europea e poi con gli altri paesi. L’incertezza politica è elevata e non ci sono prospettive di una elezione generale per risolverla nell’immediato. Gli investitori hanno tutte le ragioni per adottare un approccio attendista.Nel 1949, la Gran Bretagna si è trovata nella stessa posizione, con un deficit commerciale nei confronti degli Stati Uniti e la fiducia degli investitori indebolita. Nel settembre dello stesso anno, la sterlina è stata nuovamente svalutata, come lo era stata 18 anni prima, del 30%.Dal momento che la pressione sui salari più alti è stata contenuta, le esportazioni britanniche sono diventate più competitive. Il deficit commerciale con l’area del dollaro, che comprende Stati Uniti e altri paesi che hanno usato la sua moneta per regolare i pagamenti internazionali, ha subito una brusca contrazione. Il conto delle partite correnti è passato dal deficit nel 1949 al surplus nel 1950, e il Pil è cresciuto fortemente.Anche in questo caso, tre cose lo hanno reso possibile. In primo luogo, vi era una forte domanda negli Stati Uniti, che si stava riprendendo dalla recessione del 1948-1949. In secondo luogo, lo scoppio della guerra in Corea nel 1950 ha creato la domanda per le esportazioni di tutti i tipi. Terzo, con la creazione dell’Unione europea dei pagamenti, il Regno Unito e i suoi partner europei hanno deciso di abolire i controlli sul commercio.Anche qui, la situazione attuale non potrebbe essere più diversa. La crescita degli Stati Uniti è tutt’altro che robusta, e i paesi dell’Ue hanno messo in chiaro che non hanno alcuna fretta di negoziare un accordo commerciale con il Regno Unito.Un terzo precedente è la svalutazione della sterlina nel 1967, ancora una volta dopo un intervallo di 18 anni. La crisi della bilancia dei pagamenti del 1966-67 riflette la tendenza dei salari britannici a crescere più rapidamente della produttività, i deficit commerciali conseguenti e la riluttanza degli investitori stranieri a finanziare una posizione che vedevano come insostenibile. Questa volta, però, ci sono voluti due anni affinché i conti con l’estero migliorassero. Con una disoccupazione già bassa, è stato necessario molto tempo per riallocare le risorse da settori di beni non scambiati a settori di beni scambiati.Nel frattempo, gli investitori stranieri si sono mostrati riluttanti a finanziare il deficit della Gran Bretagna. Vedendo la difficoltà della regolazione, erano preoccupati che la sterlina sarebbe crollata. Il Regno Unito, impossibilitato ad attrarre flussi di capitale a breve termine, è stato costretto a chiedere un prestito al Fondo monetario internazionale.La storia suggerisce che i tassi di cambio hanno importanza per la competitività e che la svalutazione della sterlina dovrebbe aiutare migliorando la competitività delle esportazioni britanniche. Ma i policymaker non devono aspettarsi troppo. L’ambiente esterno è sfavorevole. Ci vorrà del tempo per riallocare le risorse verso la produzione di beni scambiati. E una nuova serie di offerte commerciali non sarà conclusa durante la notte.Nel frattempo, i leader britannici devono risolvere la persistente incertezza politica e la politica. Devono utilizzare non solo la politica monetaria, ma anche strumenti fiscali, per sostenere la spesa e rafforzare l’incentivo a investire. Fino ad ora, hanno mostrato poca consapevolezza di tale urgenza.[/auth]
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6 anni agoPer l’Unione europea la Brexit deve rappresentare la migliore occasione per invertire la rotta e mettere al centro della sua strategia la politica, finora appannata dalle necessità di bilancio
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Per gran parte degli analisti, soprattutto continentali, la Brexit è una specie di Caporetto per i mercati occidentali, e non solo. Per una specie di contrappasso, poi, la Gran Bretagna sarebbe avviata verso una fase di recessione, più o meno lunga e intensa. Ma è proprio così? Se andiamo a fondo e analizziamo le performance dei singoli Paesi è inevitabile concludere che la Brexit è stata solo il detonatore di una crisi che comincia da lontano. Per quanto riguarda la Gran Bretagna il problema è il doppio deficit, e soprattutto il cronico disavanzo delle partite correnti. «L’ultima volta che il Regno Unito ha registrato un avanzo sul suo conto corrente è stato l’anno in cui l’Italia ha vinto la Coppa del Mondo in Spagna… correva l’anno 1982», è il commento di Steen Jakobsen, chief economist della danese Saxo Bank. E non è finita qui. Il Regno Unito (insieme al Giappone) detiene da un po’ di tempo anche il primato della più bassa produttività tra i Paesi del G7. «Anche senza il referendum il Regno Unito avrebbe accusato nei prossimi mesi un forte rallentamento dovuto alla contrazione degli investimenti nel settore privato, che a sua volta determinerà un aumento della disoccupazione e un calo della fiducia dei consumatori», è il commento di James Tomlins, gestore del team obbligazionario di M&G. Per il leader britannico dell’asset management, inoltre, non si annuncia un recupero rapido della crescita Uk, date le tempistiche siderali dei negoziati di uscita dell’Unione europea che continuano a pesare sul clima di mercato, e una sterlina che rimarrà debole a causa sia di una politica fiscale espansiva sia di una politica monetaria accomodante. Aggredire i mercati extra Ue. In questo contesto, secondo Tomlins, le attività cicliche incentrate sul mercato interno che ottengono le loro forniture dall’estero (è il caso, per esempio, delle catene di abbigliamento) sono in assoluto le più vulnerabili. Chi esporta beni e servizi (per esempio i servizi di istruzione) nei mercati extra Ue potrebbe al contrario ottenere un esiguo vantaggio. Ma i potenziali “vincitori” della Brexit non sono immuni da altri rischi. Per esempio, la Aston Martin è certamente un potenziale vincitore in quanto esportatore internazionale basato nel Regno Unito e non dipende dal mercato di massa europeo. «Tuttavia, deve far fronte a determinate sfide in quanto piccolo produttore di nicchia con costrizioni a livello di capitale in un mercato altamente competitivo», dice lo strategist di M&G. Inoltre, come sottolinea ancora Tomlins, la possibilità di azioni dirette della Bank of England nel mercato del credito incombe anche sui mercati obbligazionari, aiutando a sostenere le valutazioni di mercato. Ma, ovviamente, c’è un limite a quello che la politica monetaria può fare a supporto di un’economia in deterioramento. E anche l’approccio meno austero alla politica fiscale avviata dal precedente governo inglese potrebbe far sperare che, «un’eventuale, anche se possibile, recessione britannica si riveli di dimensioni ridotte».Primato demografico. È quello che pensano alcuni analisti, sebbene appartengano a un partito di minoranza, anche se compatto. Quello che avverrà nel Regno Unito una volta perfezionate le pratiche di divorzio dall’Unione europea, dicono, è maggiore occupazione e un Gdp (gross domestic product, ovvero il Pil) più forte. «I veri motori della crescita sono la produttività, la demografia, la ricerca di base e l’istruzione, accompagnati da poca burocrazia e interventi dello Stato», spiega Jakobsen. Soddisfa il Regno Unito queste condizioni? Nonostante il Paese gestisca un deficit enorme con l’Europa, è a tutt’oggi uno dei pochi modelli di liberismo in circolazione, e inoltre, entro il 2030, sarà il più grande Paese d’Europa per popolazione. Oltre a quelli economici, ci sono i fondamentali politico-strategici, ben più importanti. «Londra ha l’esercito più forte d’Europa, nonché la più grande concentrazione di mercati dei capitali e di talenti al di fuori degli Stati Uniti», dice lo lo strategist di Saxo Bank. «Se i leader europei vogliono un futuro dell’Europa nella Nato senza la partecipazione attiva dei militari del Regno Unito, i mercati dei capitali di Londra e la domanda dei consumatori inglesi, allora fanno bene a continuare a piangere».Unione nella tempesta. È ovvio che in una prospettiva di medio-lungo termine, il fattore critico è se la Brexit porterà a una maggiore integrazione o alla disintegrazione dell’Ue. In realtà è difficile negare che la tenuta dell’Unione appare oggi decisamente più fragile, e che ai Paesi più in difficoltà nel perseguire i rigidi parametri di Francoforte-Bruxelles (ovvero la cosiddetta “Periferia dell’Europa”), o a quelli più scettici, perché attratti da altre sfere di influenza economica (come i Paesi dell’est Europa), Londra ha fornito un precedente importante al quale appellarsi, anche a fini elettorali. «In realtà, la questione è sul tavolo da molto più tempo, con la Brexit che potrebbe svolgere un ruolo di catalizzatore in tale situazione», dice Hans Bevers, capo economista di Degroof Petercam Am, «Lo scetticismo nei confronti dell’Europa non è un fenomeno recente. I sondaggi rilevano che solo il 51% dei cittadini dell’Unione europea, in dieci Paesi europei esaminati, guarda con favore all’Ue. La gestione di Bruxelles dell’economia e la crisi dei rifugiati sono due importanti elementi di questa disaffezione». E nella tenuta dell’Europa giocherà un ruolo importante il lungo negoziato per il divorzio dalla Gran Bretagna.Finale Francia-Germania. È opinione corrente però che l’Unione europea cercherà di vendere all’ex partner il messaggio draconiano «o con noi, o senza di noi», ma le differenze profonde tra la Germania e la Francia sul futuro dell’Unione renderanno impossibile tenere a lungo la linea. La Germania vuole infatti un’Europa riformata, che nella sostanza vuole dire con bilanci in ordine, prima di prendere la strada di un più ampio consolidamento, mentre i francesi vogliono saltare tutte le riforme e arrivare subito a un Superstato europeo, per poi procedere a ritroso con le riforme. «Si tratta di una differenza sostanziale, la cui esistenza lascia ampi margini di baratto, per esempio all’Italia, alla quale sarà concesso il sostegno statale alle banche (sostanzialmente perché l’Europa sarà “sotto attacco” se non lo fa), alla Grecia di ottenere un pass gratuito, e alla Francia di espandere il suo deficit, non solo oltre al 3%, ma quasi all’infinito», dice Jakobsen. Alla fine, una specie di remake delle azioni intraprese dopo la crisi del 2009. «Il problema è che siamo saturi di bassi tassi di interesse e allentamento quantitativo: il 75% di tutti i Qe va a mantenere debito esistente. E, dato che questa è la priorità, c’è poco spazio per tornare a crescere», afferma Jakobsen, «L’Europa ha semplicemente spiazzato investimenti e produttività, cercando di guadagnare tempo, invece di sostenere un modello di mercato dove il capitale è allocato al ritorno del margine più alto».Il proprio ruolo nel mondo. Ma i fattori avversi sono ben altri. In primo luogo l’Europa ha ancora a che fare con un difficile dilemma: come posizionarsi nel mondo globalizzato conciliando allo stesso tempo il ruolo di stato-nazione con la democrazia, mentre l’unione monetaria è ancora lungi dall’essere completata, lasciando aperte le sfide alla propria esistenza? «È improbabile che la zona euro sopravviva nel tempo nella sua forma attuale», spiega Tomlins. Il contesto politico europeo a breve termine, non aiuta affatto la normalizzazione. Anzi rende il quadro ancora più instabile: l’Italia terrà un referendum sulla riforma costituzionale nel mese di ottobre, nei Paesi Bassi di terranno nei primi mesi del 2017 le elezioni generali, seguite a stretto giro dalle elezioni presidenziali.[/auth]
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