Donne ai vertici: gli ostacoli in Italia

La probabilità di donne ai vertici di società ed organizzazione continua ad essere una rarità: pregiudizio sociale o realtà?

Secondo il World Economic Forum, il gender gap verrà colmato solamente tra oltre due secoli, dato ulteriormente aggravato a causa del Covid-19, che ha interrotto il precario trend positivo.

Ma per quale motivo è così difficile per una donna raggiungere mansioni mangeriali all’interno di una società? Primo tra tutti è lo sticky floor, vale a dire quelle situazioni nelle quali una donna si radica e fatica ad emerge o avanzare da posizioni di entry level.

A sua volta, si innescano una serie di conseguenze, quali le leaky pipeline, ossia le occasioni perse o l’abbandono di una specifica professione. Infine, il glass ceiling, il fenomeno per cui non sia permesso il raggiungimento di ruoli di rilievo o promozioni.

L’indagine Badenoch + Clark

Oltre a mettere in luce le continue difficoltà riscontrate dalle donne all’interno dell’ambiente di lavoro, l’indagine “Women in Charge. Analisi delle differenze di genere ai vertici delle imprese” svolta da Badenoch + Clark in collaborazione con JobPricing presenta una serie di consigli provenienti proprio da chi è riuscita a sfondare.

«Essere una donna al comando ancora oggi fa notizia»,

Deborah Buttignol, Senior Principal di Badenoch + Clark Executive

Lavoro e quote rosa

In termini numerici, focalizzando l’attenzione su 580 donne tra quadri e manager, due su tre affermano che, nonostante le difficoltà, le possibilità di potersi affermare sono incrementate.

In primo luogo, questo cambio si è realizzato principalmente in funzione dell’introduzione delle quote di genere, che hanno indotto positivamente a modifiche professionali anche nelle società di capitali private non quotate. Al contempo, il 51% delle intervistate non ritiene assolutamente le quote di genere uno strumento indispensabile. Anzi, quasi il 23% le ritiene dannose e a tratti inutili.

Ad ogni modo, è visibile come la legge Golfo-Mosca migliorato la situazione raddoppiando la presenza femminile tra il 2004 e il 2020. Al contempo però, ricorda Buttignol, «solo il 2% delle donne nei board è un ceo. Quando le manager arrivano ai vertici, diventano per lo più esperte di risorse umane, di marketing e comunicazione o di affari legali». E’ vero che molte sono anche presidenti, ma poco le Amministratrici Delegate.

Ostacoli e Stereotipi

Se da un lato vige sempre lo stereotipo “donna di successo = cattiva madre”, dall’altro si aggiunge la denuncia relazionata all’evidente disparità di trattamento di genere. Infatti, è percezione comune che alle donne venga richiesto un contributo maggiore degli uomini. Inoltre, anche a livello decisionale, nel momento in cui è necessario fare scelte importanti, il 48% delle rispondenti denuncia che le donne sono prese meno in considerazione rispetto agli colleghi.
Qual è quindi l’ostacolo principale? Secondo il 38% delle donne che hanno partecipato all’intervista, a parità di capacità e caratteristiche, gli uomini vengono comunque privilegiati.

Un altro elemento da non trascurare è l’aspetto salariale, il quale varia tra società quotate e non . Infatti la ricerca mostra come nelle non quotate il gap salariale tra i dirigenti uomini e le dirigenti donne si ferma all’8,5%. Al contrario, nelle quotate, si arriva addirittura al 77%. In altri termini, se la donna riceve uno stipendio di poco più di 426mila euro, l’uomo supera i 754mila euro.

“Al di là delle buone intenzioni occorre scovare quei driver sui quali costruire un futuro diverso, in cui si compiano azioni in grado di abbattere definitivamente gli ostacoli che si frappongono tra donne e mondo del lavoro, garantendo retribuzioni consone nonché percorsi strategici nelle aziende per migliorare la carriera delle donne e aprire la strada a posizioni di leadership”.

Alexandra Andrade SVP Professional Recruitment Head Southern Europe di Badenoch + Clark e Spring Professional

E’ una triste sentenza, ma alla domanda: che consiglio dareste a una donna che vuole far carriera? La risposta “andare all’estero” rimane quella preferita dalla quasi totalità della platea intervistata.

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