Cookies Factory si riconferma una delle principali realtà del mondo digitale concorrendo ai Le Fonti Awards
Un anno di grandi soddisfazioni e importanti traguardi per la società specializzata nella gestione delle campagne digitali che punta a confermare la sua leadership nel settore. L’intervista in esclusiva per World Excellence alla Co-Founder e COO Valentina Tranquilli.
Al momento la società Cookies Factory risulta finalista per il premio Le Fonti nella categoria Digital Marketing. Cosa rappresenta per voi un’eventuale vittoria nel settore di riferimento?
Valentina Tranquilli: Un importante traguardo sicuramente! Sarebbe infatti la conferma di un trend estremamente positivo per quest’anno, già iniziato con il nostro inserimento nella classifica sulle 1.000 aziende europee con il tasso di crescita più alto rispetto all’ultimo triennio del Financial Times. Per noi sarebbe un ulteriore riconoscimento del lavoro fatto negli anni passati, e che sta continuando anche nel 2020. In pochi anni dalla fondazione di Cookies, avvenuta nel 2013, infatti, essere riusciti ad affermarci come leader di mercato è motivo di grande vanto e soddisfazione. La società ha avuto anche quest’anno una crescita considerevole: abbiamo infatti aumentato del 60% i nostri ricavi rispetto ai primi 9 mesi del 2019 e del 297% il nostro EBITDA, ovvero i margini dell’azienda, cosa per noi fondamentale perché ci permette di poter investire in ulteriori progetti e nuovi asset societari. Stiamo lavorando sullo sviluppo di nuove collaborazioni con partner industriali complementari al nostro business, e non escludiamo sia nuove operazioni di investimento che la valutazione di proposte da parte di società interessate a joint venture con noi. Tra le collaborazioni più importanti, di cui presto mostreremo gli interessanti risultati, è la partnership che abbiamo siglato con Mkers, uno dei principali e più prestigiosi team di eSports con la mission di sviluppare e affermare un sistema virtuoso di eSports a livello internazionale.
In questo periodo più che mai, ed in particolare nei mesi del lockdown, stiamo assistendo ad una trasformazione del mercato in diversi contesti. In particolare è cresciuto in maniera esponenziale l’utilizzo di tutto ciò che è digitale (eventi online, webinar, piattaforme streaming, ecc). C’è stato un reale effetto in termini di crescita anche sul vostro business?
Valentina Tranquilli: Il lockdown degli scorsi mesi e il Covid19 hanno influenzato profondamente la fruizione mediatica da parte del pubblico, con un importante aumento dell’utilizzo di risorse online ed una crescita del consumo dei contenuti in streaming. La crescita esponenziale che Cookies ha visto nel primo semestre di quest’anno però è legata principalmente ad una serie di progetti che erano in cantiere già dal 2019 e che hanno visto la luce quest’anno. Il lockdown ha sicuramente influenzato positivamente il budget che alcuni dei nostri clienti, per i quali gestiamo il media buying, hanno deciso di allocare sui servizi di video streaming, i quali hanno riscontrato un incredibile successo. Inoltre la mancanza di sport dal vivo è stata molto sentita dal pubblico in tutto il mondo, in quanto fonte di intrattenimento, coinvolgimento e altro ancora. E questo non cambierà presto – infatti, come per molto altro nell’era Corona, è stato introdotto un cambiamento improvviso e immutabile nel comportamento dei consumatori. Proprio ciò ha infatti determinato l’exploit di un altro verticale che ha espresso il suo potenziale in particolar modo negli ultimi mesi, cioè quello degli eSports, nostro progetto di punta dell’ultimo anno. Questi elementi hanno rappresentato la combinazione perfetta per un boost del nostro business. Possiamo quindi dire con soddisfazione che “quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri costruiscono mulini a vento”, e noi eravamo pronti con i nostri mulini grazie ad una solida visione strategica dell’azienda.
Siete già attivi su diversi mercati esteri, state pensando di espandere il vostro business su altri paesi oltreoceano? E quali sono i vostri progetti per il futuro?
Valentina Tranquilli: Il nostro focus, sin dall’inizio, è stato sui mercati esteri emergenti, in particolare in Medio Oriente, i quali sono rivelati una scelta vincente: lavoriamo esclusivamente sulla distribuzione e la promozione di contenuti digitali di intrattenimento, e in Paesi come ad esempio l’Egitto la domanda per questi contenuti è sempre più forte e va di pari passo lo sviluppo del traffico online per promuoverli. La combinazione di questi due elementi ci ha permesso di affermarci con forza e ritagliarci il nostro spazio accanto a quello di player più grandi, puntando sulle nostre forti competenze in termini di media buying, in particolare su Google Ads (di cui siamo Partner dal 2018). Ad oggi però, non ci basta più. Abbiamo testato le nostre potenzialità e studiato sempre attentamente le mosse da fare, frutto di una strategia ben precisa e con grande piacere possiamo dire di star guardando sempre oltre: siamo un’azienda totalmente internazionale, dato che il 95% del nostro fatturato è generato su mercati esteri. E dopo aver rafforzato negli ultimi anni la nostra presenza in Europa e nella regione MENA, i mercati asiatici come Vietnam e Myanmar, ma non solo, sono ora fonte di grande interesse per noi.
Proprio in virtù di questo stiamo crescendo anche in termini di team. Hanno infatti fatto il loro ingresso nella famiglia Cookies Arun Mathew, VP Business Development- MENA & APAC, al lavoro in remoto da Dubai e Beatrice D’Ottavio come Sales & Partnerships Director.
Grazie a tutto questo e ad i numeri ad oggi del 2020, stimiamo di chiudere l’anno in corso con un fatturato sopra i 10 milioni di euro, continuare a crescere e ovviamente rafforzare ancora la nostra leadership nel settore: sempre alla ricerca di nuove vittorie.
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La nuova era dell’experience economy
2 anni agoDai centri commerciali ai rivenditori omnicanale, l’economia dell’esperienza tocca tutte le forme del retail, per promuovere intrattenimento e socializzazione e fornire un’esperienza che vada oltre l’offerta di prodotti e servizi. E in questo la tecnologia gioca un ruolo essenziale.
Nel 2017 ogni minuto ha visto nascere 1,8 milioni di Snapchat, visualizzare 4,1 milioni di video e caricare più di 400 ore di contenuti su YouTube. WhatsApp conta 1,3 miliardi di utenti attivi e Messenger poco più, Facebook ne ha raggiunti 2,13 miliardi. E poi ci sono Instagram, Pinterest, Twitter… Il ricavo annuale che YouTube genera per Google è di 4 miliardi di dollari e cresce a due cifre, le entrate di Facebook hanno raggiunto i 9,32 miliardi (fonte: TalkWalker). Il canadese Justin Bieber, grazie ai suoi video caricati su YouTube, oggi è l’under 25 più ricco al mondo con un patrimonio di 200 milioni di dollari, su Facebook e Twitter conta decine di milioni di seguaci ed è stato inserito per tre volte da Forbes nella lista delle dieci celebrità più potenti. Numeri che mostrano come l’economia stia facendo i conti con un’umanità ormai tecnologica e connessa, in grado di dare grazie al web echi mondiali alla sua individualità, risposte alla sete di conoscenza, comunicazione. È la nuova dimensione di vita che caratterizza l’era dell’experience economy, accende aneliti di libertà, apre gli orizzonti e unisce il mondo, offrendo a ognuno l’opportunità di essere protagonista nel bene e nel male. La globalizzazione dilata le esperienze individuali e internet, al contrario di quanto pensano gli scettici, semplifica il percorso che porta all’azione e invoglia a fare esperienze reali. Per l’industria e il commercio, un’opportunità che è stato doveroso cogliere e sviluppare in una sequenza crescente di fasi.
Quando due decenni fa James Gilmore e Joseph Pine introdussero il concetto di economia dell’esperienza, già pensavano che le aziende sarebbero gradualmente passate dall’offrire prodotti e servizi a creare «esperienze memorabili». Il cambiamento che il mondo vive ormai da un po’, è accelerato dagli sviluppi tecnologici. È mutato l’approccio alla scelta, al dovere, alla decisione, quindi anche nel vendere e acquistare prodotti. Essi stessi diventati servizi, esperienze, design, espressione di consumatori che insieme concorrono a svilupparlo, chiedono teatralità, atmosfere multisensoriali e, al retail, addetti più preparati, armonia col sito e i canali del web. Grandi aziende, organizzazioni e gruppi stanno creando esperienze uniche per i loro clienti, ma in generale riuscirvi rappresenta ancora un traguardo lontano per molti e anche per chi riesce è frutto di un progressivo avvicinamento avvenuto negli anni. Il tempo necessario per essere in grado di seguire adeguatamente il cliente, saper utilizzare i mezzi offerti da una tecnologia in vertiginosa crescita, reclutare esperti in grado di gestirla, istituire nuove divisioni e uffici di marketing. Come dicono Gilmore e Pine, è necessario includere l’esperienza di marketing nel modello di business, mettere in campo grandi offerte combinate con esperienze coinvolgenti. Cosa che stanno facendo molto bene big dell’industria come Nespresso con le sue boutique monomarca, Apple con i suoi Store, Samsung con i Galaxy Studios. Apple oltre che produttore è diventato il rivenditore più produttivo al mondo, con oltre 5.500 dollari di vendite per piede quadrato (quasi 60mila dollari per mq) negli Stati Uniti. Il maggior impatto sul business lo sta avendo la customer experience o customer experience management, per lo più intesa come un modo per rendere le interazioni più piacevoli e convenienti, quindi mettendo i rivenditori in concorrenza diretta tra loro. Dai grandi centri commerciali ai rivenditori omnicanale, l’experience economy tocca tutte le forme del retail, per promuovere intrattenimento, socializzazione e ambienti di shopping rilassati; con la consegna in giornata di prodotti ordinati da dispositivi mobili, dopo averli visti e toccati in negozio. Anche nella vendita al dettaglio, fornire un’esperienza che vada oltre l’offerta di prodotti e servizi, magari mettendo in scena eventi coinvolgenti, sta diventando un must. Attività strettamente legate alla tecnologia, che richiedono personale e manager competenti, non facili da trovare. Secondo l’Osservatorio competenze digitali 2018, l’importanza degli skill digitali cresce nelle aziende di tutti i settori con un’incidenza media del 13,8%, ma arrivando al 63% per quelle specialistiche d’importanti aree industriali, al 54% nel commercio e al 41% nei servizi. Incrementi accompagnati dalla domanda di web designer, analisti di big data e social media, esperti di cyber sicurezza, sviluppatori di app e altre professioni per gestire i cambiamenti derivanti dagli sviluppi della tecnologia, che non sta avendo risposte sufficienti. Nel 2020 pare che mancheranno 750mila professionisti qualificati nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Nel mondo degli affari, secondo Gilmore e Pine, l’experience economy si gioca su cinque arene: «name-only experience», l’esperienza solo di nome; «user experience», attraverso l’uso di interfacce uomo-computer e incrementando l’offerta fisica; «experiential marketing», messaggi di marketing, posizionamenti, materiali ed eventi progettati per coinvolgere i potenziali clienti in modo esperienziale; «customer experience», l’insieme delle interazioni del cliente con un marchio o un’offerta, progettato per essere bello, facile e conveniente; «experience as a distinct economic offerings», eventi memorabili che coinvolgono ciascun individuo in modo personale. Per Bernd Schmitt, professore della Columbia University e teorico del marketing esperienziale, esistono cinque tipi di stimoli che lo guidano: «sense», che fa ricorso ai sensi; «feel» ai sentimenti interiori; «think» che impegna dal punto di vista creativo; «act» che chiede partecipazione e influisce sugli stili di vita, e «relate» o «moduli strategici esperienziali» che li mette tutti in relazione con altri individui e culture.
Il multiforme scenario della experience economy. Persino entrando nella galleria Eden Fine Art di New Bond Street, a Londra, si ha la conferma di come anche l’arte rimandi al tema dell’esperienza, mitizzando l’azione e il vissuto. Sulla parete, il Butterfly Effect di David Kracov, artista che lavora per i più famosi studi d’animazione, emana fremore con la sua miriade di farfalle colte nell’atto di volare, stigmatizzandone l’azione, in sintonia con l’autore che dice: «Io sono ciò che creo». Poi le Borse cristallizzate di Fred Allard, contenenti oggetti di vita vissuta e i Voyageurs di Bruno Catalano, sculture spezzate di gente in cammino per viaggi che si perdono nello spazio e nel tempo. Passando a un tema di viaggio meno metaforico, recentemente Expedia ha pubblicato i risultati di uno studio sul comportamento e le preferenze degli americani dalla generazione Z (18-22 anni) ai baby boomer (55-65), da cui emerge chiaro il passaggio dalla società dei prodotti a quella delle esperienze. Nel travel marketing, Expedia realizza esperienze multimediali interattive per aiutare gli inserzionisti a differenziare i loro marchi. British Airways sta investendo molto sulla customer experience attraverso varie forme di marketing, dal sensoriale, come la diffusione di odore di erba nei terminal per dare la sensazione della campagna, alla gamification con il gioco «Top 18 2018» che ha coinvolto i passanti al Covent Garden di Londra premiando con biglietti aerei per una delle 18 destinazioni top di quest’anno. «Il nostro marketing sfrutta i vantaggi sensoriali del caffè», ci ha detto Michael Jennings, portavoce di Nestlé. «Progettiamo il nostro packaging in modo da garantire la protezione dei prodotti da qualsiasi perdita d’aroma durante la distribuzione. Attraverso la comunicazione, facciamo leva sull’esperienza utilizzando il gusto, il calore e l’aroma, ma stiamo anche esplorando il mondo dei giochi, dato che i consumatori spendono sempre più tempo in queste piattaforme». Per Starbucks, la gamification è uno strumento per incrementare le vendite, Coca-Cola ha lanciato con successo Shake it nel mercato asiatico, giusto per fare degli esempi, tendenze cui partecipa a tutto campo anche il mondo del retail. La scorsa primavera, la storica catena inglese di grandi magazzini Selfridges ha messo in scena presso l’Old Selfridges Hotel di Londra una mostra multi-sensoriale. Un viaggio nel lusso immaginato dal Google Pixel 2, Loewe, Mr Lyan, Thom Browne, Gareth Pugh, Louis Vuitton e Byredo, molto vicino a quella che Gimore e Pine chiamerebbero esperienza memorabile. Un mix multisensoriale durato 24 giorni che, come conferma Bruno Barba, senior brand pr manager di Selfridges, «ha avuto quasi 20mila visitatori, molto al di sopra delle aspettative». Byredo, giovane marchio svedese che ha rivoluzionato il mondo dei profumi di nicchia, ha esplorato il lusso attraverso un futuro spaventoso in cui l’acqua dolce sarà tra le cose più preziose. Loewe ha immaginato un mondo in cui natura, artigianato e tradizione procedono assieme in un paesaggio metaforico, tra forme verticali molti-plicate da superfici riflettenti, metafora di un futuro senza limiti pe le risorse terrestri. Nei vari contesti è in forte crescita la realtà virtuale, che incentiva quella reale, è strumento di partecipazione e conoscenza, non solo una leva di marketing. Pine e Gilmore considerano anche Eataly un buon esempio di economia esperienziale, perché nei suoi negozi sparsi per il mondo regala al clienti momenti indimenticabili, combinando tra loro gli elementi della gastronomia italiana e quelli che le roteano attorno: stoviglie, lezioni di cucina, esibizioni di chef, eventi e persino musei occasionali. Senza contare Fico Eataly World a Bologna, ultima creazione di Oscar Farinetti, che oltre al cibo mette in scena la biodiversità italiana. Aperto a novembre 2017 ha già superato il milione di visitatori. Tra questi, lo chef inglese Jamie Oliver, la food blogger cinese Junhui Cao, seguita in streaming da 600mila follower, le delegazioni di Alibaba e dei grandi magazzini El Cortes Inglès, cui pare piaccia molto. Successi in sintonia col rapporto The retail experience economy di Squire Patton Boggs, da cui risulta come l’emergere dell’experience economy abbia cambiato la spesa dei consumatori, rendendo necessarie strategie a lungo termine e singoli dialoghi coi clienti, sia nei negozi fisici che sui device, e come le esperienze modellino sempre più l’identità e il valore sociale del retail.
A cura di Donatella Zucca
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L’intelligenza artificiale entra nei portafogli
4 anni agoRobotica, nell’industria ma anche nei servizi, domotica, internet delle cose e big data sono l’ultima frontiera dei fondi di investimento. E le nuove strategie dei gestori…
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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«La nuova strategia investirà nelle società che, a livello globale, sviluppano l’implementazione dell’Ia (intelligenza artificiale) in tutte le sue possibili applicazioni», spiega Sebastian Thomas, Us head of technology research del gruppo Allianz, team che oggi gestisce portafogli per oltre 7,2 miliardi di dollari.
Anche Candriam Investors Group, multi-specialista europeo della gestione patrimoniale con masse per 102 miliardi di euro, ha annunciato poche settimane fa il lancio di una nuova strategia Robotics and innovative technology, concepita per investire in società attive nel settore della tecnologia e della robotica e che sviluppano prodotti innovativi. «I robot avanzati saranno alla base della quarta rivoluzione industriale, una rivoluzione tecnologica che, come le precedenti, genererà notevole ricchezza per gli investitori più lungimiranti», spiega Johan Van Der Biest, senior fund manager di Candriam Investors Group.
Secondo Van Der Biest solo il 20-30% delle potenzialità offerte dalla robotica è stato fino a oggi sfruttato. «E presto assisteremo all’integrazione delle macchine intelligenti, collegate a Internet, che faciliteranno le nostre vite quotidiane», dice lo strategist.
Pronti all’esplosione. Il filone quindi è ricco anche dal punto di vista delle opportunità finanziarie. Le stime più recenti relative alla crescita dell’Ia indicano un volume di business complessivo pari a 36,8 miliardi di dollari entro il 2025. Con la definizione «intelligenza artificiale» si fa riferimento a tutte quelle tecnologie capaci di percepire stimoli esterni, processare tali informazioni e dare avvio a conseguenti attività od operazioni. Che il mondo sia pronto o no, la seconda era delle macchine è già arrivata e il futuro prossimo venturo (ma per alcune nicchie è già il presente) sarà fatto di chirurghi robot, automobili che si guidano da sole, robot domestici e fabbriche interamente automatizzate.
«Così come la Rivoluzione industriale è stata un punto di svolta decisivo nella storia dell’uomo, oggi il mondo sembra essersi votato alla tecnologia per la crescita», è scritto in una ricerca di Capital Group. Secondo l’americana International Data Corporation (numero uno nelle ricerche di mercato per il settore tecnologico) nel solo campo della robotica la spesa globale potrebbe crescere del 17% annuo dai 71 miliardi di dollari del 2015 a 135 miliardi nel 2019. Questo flusso di denaro sta dando vita a innovazioni incredibili, un numero crescente delle quali hanno il potenziale per sostituire il lavoro umano.
«L’umanità si troverà a interagire sempre di più con le macchine intelligenti, nel campo professionale come nella vita privata, e in settori molto diversificati, tra i quali l’healthcare, i trasporti e l’agricoltura», spiega Alberto D’Avenia, country head Italia di AllianzGI. Questo diffuso utilizzo dell’Ia si stima potrà raddoppiare i tassi di crescita di molte economie avanzate nei prossimi venti anni, con un impatto a 360 gradi, che vanno dal design, alla produzione, fino alla fornitura di servizi».Strategia dei gestori. Per cavalcare il potenziale di rapido progresso dell’Ia è bene quindi cominciare a posizionare i portafogli sui campioni di ogni singolo campo di applicazione. Come spiegano i gestori, a differenza dei fondi tecnologici già disponibili, questa strategia si dovrà focalizzare proprio sul potenziale dirompente delle tecnologie di Ia e, analizzando le prospettive di queste società e integrandole nel portafoglio di investimento, coglierà una crescita dinamica e sostenibile, trasversale a tutti i mercati.
Come spiega Van Der Biest il processo di investimento della nuova strategia si basa su un approccio high conviction bottom-up, che si concentra sulle imprese che presentano una crescita degli utili superiore alla media, un forte posizionamento competitivo e un impiego di tecnologie innovative. «I titoli vengono selezionati a partire da un universo azionario su scala globale e vanno a comporre un portafoglio high conviction con un massimo di 50 società selezionate», dice lo strategist. «L’innovazione tecnologica sta avvenendo a un ritmo mai osservato prima», aggiunge Der Biest. «Il panorama delle nuove applicazioni che cambiano il mondo non è mai stato così chiaro, e ciò si tradurrà in una crescita degli utili superiore per il settore».
L’utilizzo dell’apprendimento automatico e dell’intelligenza artificiale, la tecnologia big data, la transizione al cloud pubblico, il maggiore uso di Oled, la realtà virtuale, la tecnologia 5G, l’internet delle cose, la robotica avanzata, la pubblicità programmatica sono solo alcuni esempi delle incredibili tendenze in cui la strategia di Candriam sta investendo.Robot industriali e di servizi. Certamente il potenziale di queste tecnologie potrebbe rivoluzionare intere industrie. E industria associata all’Ia significa robot. Ma quali sono i temi di investimento più interessanti nel nuovo mondo robotico? «Nel settore della robotica individuiamo due principali sottosettori: i robot industriali (cioè i più tradizionali che siamo soliti vedere in una tipica industria automobilistica) e i robot dei servizi, che abbracciano un mercato completamente diverso e che si applicano ad attività legate, per esempio, alla chirurgia, all’infermieristica, ai tosaerba, al ricevimento», dice Van Der Biest. Secondo il gestore i robot industriali continueranno a crescere del 10% circa l’anno per i prossimi dieci, un dato supportato e documentato da un report dettagliato realizzato da Boston Consulting Group. È invece più complicato determinare quanto velocemente cresceranno i robot dei servizi, ma è opinione comune che cresceranno più velocemente di quelli industriali, se non altro perché partono da una base molto ridotta. «Questa parte di mercato della robotica potrebbe quindi crescere più velocemente di quanto molti investitori si aspettano», dice lo strategist.
Il ritardo di Cina e Usa. Me perché il trend positivo non dovrebbe incontrare battute di arresto? Ci sono diverse motivazione a sostegno delle sorti magnifiche e progressive dell’Ia. La prima è puramente tecnologica, nel senso che solo adesso assistiamo all’emergere nel mercato di numerose nuove tecnologie, in quanto c’è un’abbondanza di potere computazionale e di archivi di dati molto a buon mercato. «Questi due fattori sono molto importanti per tutte le nuove tecnologie quali l’intelligenza artificiale e l’internet delle cose», spiega Van Der Biest. «Tutte queste tecnologie sono decollate ora, in quanto viviamo in un clima tecnologico ideale». Dobbiamo dimenticarci quindi dei robot che 20 o 30 anni fa venivano impiegati nell’industria manifatturiera tradizionale: ora sono dotati di intelligenza artificiale, sensori avanzati, capacità di apprendimento e il loro campo di applicazione diventa sempre più ampio: «Ed è questo il motivo per cui pensiamo che i robot, in futuro, continueranno a crescere a un tasso significativamente più sostenuto della crescita del Pil tradizionale», dice ancora Van Der Biest.
Una seconda ragione a lungo termine, importantissima, è la demografia: la popolazione attiva sta calando giorno dopo giorno e la popolazione anziana o vecchia sta diventando sempre più importante. Una delle grandi sfide demografiche consisterà proprio nel come continuare a produrre con una popolazione meno attiva e come occuparsi di questa crescente fetta di popolazione. La risposta è ovvia: maggiore automazione e maggiore robotizzazione.
Il terzo driver a breve termine, e quindi più speculativo, è il contesto macroeconomico generale, con la crescita economica che sta diventando più sostenuta e sta rimbalzando in tutto il mondo. «Il settore della robotica, proprio per il suo carattere ciclico, beneficia chiaramente di una crescita economica più forte», dice Van Der Biest. Che aggiunge poi un quarto elemento, ancora a più breve termine, rappresentato dalla bassissima densità di robot in Cina e negli Usa, rispetto a Paesi come la Corea e la Germania. «Il governo cinese si è ufficialmente impegnato a investire nella robotica e nell’automazione nel famoso piano quinquennale, fatto che dimostra che è ben consapevole di tutte le sfide demografiche che dovrà affrontare», dice lo strategist.I Ninja robot. Non è in ritardo, invece, il Giappone. «Il ruolo di leadership settoriale a livello globale è del Giappone, elemento che rende i titoli giapponesi delle società di produzione e sviluppo di robot estremamente interessanti», spiega Ernst Glanzmann, responsabile delle strategie azionarie per il Giappone di Gam. Il ritmo di crescita delle società giapponesi nel campo della robotica si è attestato intorno al 5-6% annuo nel corso dell’ultimo decennio: la sfida adesso è riuscire a mantenere il livello dinanzi alla competizione globale. Secondo Glanzmann le innovazioni tecnologiche made in Japan stanno avendo un effetto palla di neve sul cammino dello sviluppo. I sensori, per esempio, sono sempre più potenti e i microprocessori stanno diventando sempre più veloci. «Considerando anche la costante crescita nella capacità di trasmissione dei dati, tutto sommato, questo ha reso i robot sempre più efficienti, anche in termini di costi, negli ultimi anni», spiega lo strategist.
Un esempio è il recente sviluppo, da parte del produttore giapponese Fanuc, di nuovi robot industriali in grado di imparare autonomamente mansioni meccaniche: si tratta di robot che usano algoritmi in set di dati per riconoscere degli schemi e agire di conseguenza, con un potenziale incremento del 10% dell’efficienza della produzione industriale. Un altro tema di crescente importanza è quello dei veicoli che si guidano da soli. Il governo giapponese sta offrendo incentivi agli sviluppatori e ai produttori con l’obiettivo dichiarato di avere sulle strade di un quartiere di Tokyo solo automobili che si guidano da sole entro le Olimpiadi del 2020.
«Nonostante l’iniezione di fondi statali, la vera innovazione potrebbe arrivare dal settore privato», è il commento di Glanzmann. «Partecipazioni in società che lavorano allo sviluppo di tecnologie robotiche all’avanguardia e in automobili che si guidano da sole offrono agli investitori la possibilità di cogliere la fase di crescita di questo settore di così grande importanza».Rischi deflativi. Non può un cambiamento epocale non destabilizzare in qualche modo gli equilibri sociali. Grazie all’intelligenza artificiale, infatti, anche i lavoratori con maggiori competenze stanno sentendo la pressione dei robot, che è già alta tra i dipendenti a basso reddito. Secondo la società di consulenza McKinsey attività industriali ben definite, come per esempio quello del packaging, saranno le più suscettibili all’automazione. Così come la raccolta dei dati e la loro analisi, che sono attività comuni per i lavoratori a medio reddito inseriti in industrie come quella finanziaria. Un restringimento della classe media, tuttavia, potrebbe portare a un certo numero di preoccupazioni, che vanno dalla crescente diseguaglianza dei redditi a minori consumi.
«È possibile che la sostituzione di un numero ancora maggiore di lavoratori con salari medi possa portare a una riduzione del potere di acquisto di un ampio gruppo di agenti di spesa e incidere negativamente sulla domanda aggregata», conferma il team di analisti di Capital Group. «Questo potrebbe portare a un contesto deflattivo e, di conseguenza, a un prolungato periodo di tassi di interesse bassi».
Ma un’altra ancora è la preoccupazione dei gestori: non tutte queste innovazioni che stanno inondando il mondo supereranno la prova del tempo, specialmente in un periodo di rivoluzione tecnologica. Secondo Capital Group per gli investitori, «sarà quindi cruciale trovare quelle aziende con modelli di business sostenibili, team di gestione solidi e tutte le altre qualità necessarie per prosperare».[/auth]
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Come difendere informazioni e know how aziendali
4 anni agoGli attacchi informatici stanno crescendo in modo allarmante. Quali strumenti hanno le imprese per prevenirli? Se né è parlato in una tavola rotonda organizzata da World Excellence
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
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Come infatti rivela PwC nella Global Economic Crime Survey 2016, l’indagine condotta sul fenomeno delle frodi economico-finanziarie, un’azienda su cinque in Italia è stata vittima di crimini informatici e solo quattro aziende su dieci dispongono di personale di primo intervento formato contro reati relativi alla sicurezza, mentre il 20% ha esternalizzato la funzione It security.Un fenomeno, dunque, cui porre rimedio al più presto, in quanto si stimano in particolare 9 miliardi di euro persi ogni anno per attacchi informatici causati dal costante aumento di cybercrime (+34%), phishing (+50%) e dei ransomware (+135%), i malware con richiesta di riscatto (fonte: Assinform 2015, Clusit 2016, Nomisma 2015).Di questo e di altro si è discusso nel corso della tavola rotonda «Cyber Security: quali strumenti mettere in campo per difendere le informazioni e il know how delle proprie aziende», organizzata da World Excellence. Al dibattito, moderato da Angela Maria Scullica, direttore di World Excellence e organizzato e coordinato dall’autrice di questo articolo con il supporto di Marco Del Bò, giornalista e pr, hanno partecipato: Riccardo Raschini, security manager Sanofi Aventis Spa; Guido Travaini, docente di criminologia dell’Università Vita e Salute e partner di Intelligit srl; Stefano Mele di Carnelutti Studio Legale Associato, avvocato esperto di diritto delle tecnologie, privacy, sicurezza delle informazioni e intelligence; Carlo Del Bò, security executive advisor STE Spa.Quali sono anzitutto le priorità sui cui devono focalizzarsi le aziende?MELE Uno dei focus principali sui quali concentrarsi è certamente quello di come proteggere il know how delle aziende. Nel 2015, infatti, sono stati creati e immessi sul mercato ogni giorno circa 15mila malware. Nel 2014, invece, ben 320mila al giorno. Anche stando ai soli dati dello scorso anno, decisamente più confortanti, appare evidente come i vettori di attacco siano in costante aumento e come la difesa aziendale debba inevitabilmente e perennemente rincorrere questi fenomeni. Per di più, gli attacchi informatici sono ormai alla portata di tutti: basta fare qualche ricerca approfondita su internet, infatti, ed è molto facile imbattersi in siti dove comprare un attacco informatico contro uno specifico obiettivo, oppure dove affittare il proprio “ransomware”. È il fenomeno cosiddetto del cyber-crime as a service, ovvero del crimine informatico venduto come servizio. Appare ovvio, quindi, che le aziende debbano investire non solo in prodotti di sicurezza, che da soli possono fare ben poco, quanto soprattutto nella creazione di una vera e solida cultura aziendale della sicurezza informatica. Formazione sui dipendenti per esempio, che in ambito privacy e protezione dei dati personali risulta peraltro anche obbligatoria.RASCHINI Ho iniziato a occuparmi di sicurezza nel 1983 e circa 15 anni fa, grazie a una pregressa esperienza militare, sono stato ingaggiato da una società americana per occuparmi di sicurezza del trasporto aereo. Dal 2007 a oggi, sono responsabile della sicurezza della filiale italiana di Sanofi, multinazionale farmaceutica di origini francesi, ma con una forte presenza in Italia: oltre 2.700 persone, una sede centrale a Milano e cinque stabilimenti produttivi. Dalla mia esperienza, posso affermare che, nel settore farmaceutico, la protezione delle informazioni è sempre fondamentale, non solo per quanto riguarda la ricerca, ma anche in ambito di produzione e strategie di vendita. Sanofi si è dotata da tempo di un dipartimento dedicato alla sicurezza, la cui direzione centrale è presso la sede del Gruppo, a Parigi. Il dipartimento si occupa sia di sicurezza interna, dei sistemi informatici dell’azienda, sia esterna, relativa alle potenziali minacce rappresentate dalla condivisione di informazioni sensibili. Negli ultimi anni c’è stato un cambiamento importante in questo ambito: i social network. Si è reso, quindi, necessario incrementare la consapevolezza dei dipendenti relativamente a questi strumenti e al loro utilizzo, per evitare potenziali danni che derivano, per la maggior parte, da comportamenti involontari.DEL BÒ Da oltre 25 anni mi occupo di security e credo che le aziende debbano sapere intercettare in anticipo le nuove minacce cyber e pianificare per tempo le contromisure più adeguate. Rispetto a un decennio fa le minacce sono molto dinamiche e la security ha il compito di analizzare e valutare i rischi conseguenti che non trovano certo limiti geografici.Ma quali sono i principali crimini dai quali ripararsi?TRAVAINI Si tratta principalmente di crimini molto vecchi, ma con vestiti nuovi. Uno dei più pericolosi, per esempio, è il cyber stalking: in questo caso, cioè, la tecnologia consente di amplificare a livello esponenziale i possibili danni anche psichici per la vittima. Ma si pensi anche al furto d’identità con effetti dirompenti sulla vita delle persone che ne rimangono vittime. Potrebbe capitare a chiunque.Ci sono poi, le estorsioni on line, pedopornografia, per non parlare della contraffazione di ogni tipo di siti compresi quelli delle farmacie. Accanto all’hacker singolo (ormai, per lo più, desueto), hanno trovato spazio le imprese e le organizzazioni criminali. Va da sé che anche in questo caso occorre pensare da un lato alla repressione dei fenomeni ma anche a progetti di prevenzione mirati, progetti a cui dovrebbero partecipare istituzioni pubbliche e private.Dunque occorre lavorare sulla prevenzione. Ma in Italia a che punto siamo in tal senso?DEL BÒ Come azienda di consulenza, abbiamo investito molto sia in ambito tecnologico sia nella prevenzione. Per dare qualche dato, nel 2020 ci saranno 200 miliardi di device collegati in rete e questo aumenterà enormemente la superficie d’attacco. Criminalità organizzata e hacker organizzati lavorano insieme e lavoreranno sempre più in contatto tra loro: la cyber security è un settore in forte espansione che crescerà del 700% nei prossimi 10 anni e creerà dei nuovi “posti di lavoro”. Negli Usa si stimano 2 milioni di posti. Le organizzazioni criminali hanno fondi quasi illimitati da investire nel cyber crime e dovremo essere sempre più attenti.MELE Sotto il punto di vista della prevenzione l’Italia sta facendo tantissimo sul piano strategico e operativo. Tuttavia, essendo una minaccia che evolve molto velocemente, occorre essere non solo al passo con i tempi, ma soprattutto anticipare i trend e le modalità di attacco. Per esempio, le aziende dovrebbero preoccuparsi, e anche molto, di una minaccia ulteriore e più subdola rispetto a quella ormai nota dei crimini informatici, ovvero lo spionaggio elettronico, sia operato da aziende concorrenti sia, sempre più spesso, anche dai governi attraverso le loro agenzie di intelligence. Sottrarre le informazioni riservate e il know-how di un’azienda, anche piccola o media, che lavora per aziende più blasonate o che gravita a livello governativo, significa ormai non solo colpire la sua stabilità economica, ma anche e soprattutto colpire l’azienda o il governo committente.E dal punto di vista della difesa?MELE Dal punto di vista della difesa, si sta da tempo provando ad arginare questi rischi anche attraverso la promozione di specifiche norme che, attraverso la minaccia di sanzioni spesso anche particolarmente gravose, tentano di accendere l’attenzione delle aziende su questo genere di problematiche. Le normative, però, non possono far altro che rincorrere qualcosa di già consolidato a livello sociale e, pertanto, non possono essere da sole la soluzione. A ogni modo, l’Unione Europea ha introdotto proprio di recente il nuovo regolamento generale sulla Protezione dei dati personali. Entrato in vigore a fine maggio, introduce moltissime novità sostanziali nell’approccio al trattamento dei dati personali effettuato da qualsiasi società. Novità complesse e che impattano su quasi tutti i processi aziendali, tanto da aver previsto un periodo di due anni per l’adeguamento. Periodo che sembra lungo, ma che, in realtà, è da tutti ritenuto fin troppo breve.RASCHINI In ambito farmaceutico, innovare significa studiare le cause profonde delle patologie per sviluppare farmaci cosiddetti “intelligenti”, ovvero molecole che agiscono su bersagli specifici che sono, appunto, all’origine della malattia, in modo da massimizzare l’efficacia delle terapie, minimizzando gli effetti collaterali. Questo ci porta a ricercare tecnologie e persone nuove, anche al di fuori dell’azienda: un potenziale fattore di rischio. Uno degli esempi più frequenti che non è immediatamente evidente, sono le attività di social engineering. Recentemente, per esempio, abbiamo scoperto l’esistenza di organizzazioni internazionali di head hunting altamente specializzate nel settore farmaceutico che utilizzano questa metodologia in maniera fraudolenta, per ottenere i numeri di cellulare di potenziali candidati.DEL BÒ Gli attacchi cyber in azienda posso creare forti ripercussioni economiche e reputazionali. Le aziende hanno già incominciato a investire parecchio in contromisure tecniche ma per stare al passo con gli attacchi devono cercare di avere una visione predittiva e pianificare simulazioni di attacco opportune e sensibilizzare il proprio personale alla difesa del day by day. Un esempio di criticità si ha quando quando c’è un alto turn over del personale e spesso vengono eseguiti download non autorizzati anche di materiale classificato confidenziale.E cosa prevede la legge in questi casi?MELE Trovare il giusto equilibrio tra protezione dei dati e delle informazioni dell’azienda e tutela del diritto del lavoratore a non essere controllato durante l’attività lavorativa è un processo molto delicato.Ci sono, tuttavia, dei metodi legali per farlo. Attraverso specifiche policy aziendali e le opportune informative privacy si può costruire un processo virtuoso in cui entrambi gli attori, la società e il lavoratore, siano protetti e tutelati nei rispettivi diritti e doveri.TRAVAINI È importante quando ci si occupa di prevenzione pensare a come informare senza allarmare troppo le persone.Occorre far crescere la consapevolezza che il cyber crime è attuale e non vi sono persone o settori che sono completamente sicuri. Occorre far crescere la consapevolezza e le possibili good practices utilizzabili.Come sarà dunque in generale l’evoluzione del problema da qui al 2020?DEL BÒ Tutto sarà sempre più connesso di oggi e ogni imprenditore dovrà prendere atto che gli attacchi cyber faranno parte della vita quotidiana. Il tema è complesso e non esiste un’unica soluzione. L’Internet delle cose sarà anche l’internet dei rischi. L’anello debole, infatti, è e sarà sempre l’essere umano, e bisognerà proprio lavorare su di lui e conseguentemente sulla tecnologia. La piattaforma d’attacco sarà esponenziale. Il tema della cyber security acquisterà sempre più valenza e le aziende non potranno non valutare i danni economici che tali crimini posso arrecare.MELE I margini per fare tanto e fare bene non sono un miraggio, ma esistono e si concretizzano in alcuni progetti molto interessanti. Personalmente, sono presidente dell’Associazione CyberParco, che si propone di promuovere e creare all’interno della ex area Expo2015 un hub euro-mediterraneo totalmente focalizzato sulla cyber-security.L’obiettivo è quello di raggruppare in un unico luogo, aziende consolidate del settore, università e startup per promuovere la sicurezza cibernetica attraverso l’osmosi tra esperienza, competenze ed entusiasmo. In questo momento di progetti analoghi ce ne sono solamente due al mondo: uno in Israele, dove in 4 anni sono state create circa 300 startup che fanno della cyber-security il proprio core business e che esportano annualmente servizi e tecnologie per circa 6 miliardi di dollari, e uno negli Stati Uniti, nel Maryland. La nostra ambizione è di contribuire con il CyberParco a creare il terzo polo, il primo in Europa.RASCHINI Penso che nel 2020 saremo ancor più “dematerializzati”, nel senso che ci affideremo sempre più a terzi per determinati servizi, anche inerenti ad aspetti del settore normalmente poco noti. Se questo da un lato ci espone a rischi, dall’altro consente di selezionare più accuratamente i partner con cui lavorare, sulla base delle competenze e degli standard. Se le piccole e medie aziende vorranno lavorare con le grandi, dovranno necessariamente adeguare i propri standard per rimanere competitive ed essere considerate partner affidabili.TRAVAINI A mio avviso, ci sarà una “democratizzazione” del cyber crime, nato come un crimine per esperti, che verrà sempre più utilizzato dalle grandi organizzazioni criminali e crescerà vorticosamente. Il 2020 è dietro l’angolo e la cyber security deve obbligatoriamente diventare strategia di marketing. Andremo sempre più verso aziende in grado di offrire non solo prodotti validi ma anche cyber sicuri.[/auth]
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