Quanto pesano i costi su patrimonio e rendimento

Negli ultimi anni si registra un calo costante delle commissioni negli Stati Uniti e in Europa. Ma la crescita dei volumi gestiti ha più che controbilanciato la riduzione dei margini
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Con l’entrata in vigore della Mifid 2 gli intermediari saranno tenuti a fornire un’informativa completa e dettagliata sui costi e oneri applicati ai clienti per i servizi offerti e gli strumenti finanziari collocati e consigliati. E dovranno farlo sia ex-ante, ossia al momento di effettuare l’operazione, sia ex-post, almeno su base annuale. L’informativa da comunicare al cliente dovrà essere completata da «un’illustrazione che mostri l’effetto cumulativo dei costi sulla redditività che comporta la prestazione di servizi di investimento».
L’impatto dei costi sul rendimento di uno strumento o di un servizio d’investimento assume quindi una notevole rilevanza non solo per la valutazione sulla convenienza relativa di ogni singolo investimento, ma anche per l’adempimento agli obblighi informativi derivanti dalla nuova normativa europea.
Asset Management ha preso in rassegna alcuni studi recenti sul tema dell’impatto dei costi e oneri sul patrimonio e sul rendimento dei fondi d’investimento nelle diverse aree geografiche. I lavori esaminati evidenziano l’importanza di considerare, al fine di giungere a una valutazione di costo complessivo, non solo i costi correnti che vengono applicati ai fondi (Ter, total expense ratio), ma anche l’impatto degli oneri che gravano sui clienti all’atto della sottoscrizione e del rimborso. Le analisi contenute nelle ricerche e le conclusioni possono offrire spunti interessanti per la comprensione delle principali tendenze del settore dell’asset management a livello internazionale e per fornire alcune indicazioni relative agli obblighi informativi e di trasparenza nei confronti della clientela.
Le commissioni sui fondi d’investimento negli Stati Uniti. Il Ter dei fondi a lungo termine negli Usa, secondo i dati forniti dall’Ici (Investment company institute), è calato in misura sostanziale nel corso degli ultimi 20 anni. I fondi azionari, che nel 1996 presentavano un Ter pari all’1,04%, hanno avuto una diminuzione degli oneri commissionali allo 0,63% nel 2016. Per i fondi obbligazionari si è passati nello stesso periodo dallo 0,84% allo 0,51% mentre i fondi bilanciati hanno manifestato una riduzione dallo 0,95% allo 0,74%.
I fondi a scadenza (target date fund), strumenti che vengono frequentemente utilizzati anche con finalità previdenziali, hanno evidenziato nel 2016 un costo totale pari a 0,51%, con una diminuzione del 24% rispetto al 2008. La maggioranza dei Tdf sono costituiti da fondi di fondi che presentano nel 2016 un Ter pari a 0,66%.
I fondi d’investimento no-load, ossia gli strumenti che non presentano costi di sottoscrizione e di rimborso, hanno raccolto maggiore interesse da parte degli investitori; nel 2016 hanno messo a segno una raccolta positiva di 113 miliardi di dollari contro un deflusso pari a 232 miliardi da parte degli altri fondi di investimento.
I fondi d’investimento a gestione attiva hanno avuto una diminuzione dei costi totali passando da 1,08% nel 1996 allo 0,82% nel 2016. Nel medesimo periodo i fondi passivi hanno visto calare le commissioni da 0,27% a 009%. Infine, per quanto riguarda gli Etf azionari, il peso commissionale si è ridotto dallo 0,34% del 2009 allo 0,23% nel 2016.
La diminuzione degli oneri che gravano sui fondi d’investimento è il risultato di molteplici fattori. In primo luogo, i costi tendono a decrescere nelle fasi di aumento dei volumi e della dimensione dei fondi stessi. Tipicamente ciò si realizza nelle fasi positive del mercato azionario nelle quali cresce il valore dei fondi e, di norma, la raccolta positiva ne accresce ulteriormente la dimensione. Poiché alcune delle voci di costo che compongono il Ter sono per loro natura fisse, la loro incidenza cala al crescere della dimensione dei fondi. Il contrario avviene nelle fasi negative, come negli anni 2008-2009, quando la forte correzione del mercato azionario determinò un aumento del peso delle commissioni.
Un secondo fattore che può contribuire alla spiegazione della flessione dei costi è costituito dal  relativo grado di concentrazione del mercato. Raffrontando la media aritmetica e ponderata (rispetto agli asset gestiti) dei fondi azionari, si nota che a fronte di un Ter medio ponderato pari a 0,63%, la media aritmetica dei costi è dell’1,28%. Ciò contribuisce a dimostrare che i fondi di maggiori dimensioni applicano commissioni più basse beneficiando di notevoli economia di scala.
Infine, una delle maggiori determinanti della diminuzione del costo medio ponderato dei fondi riflette la maggiore propensione degli investitori (in particolar modo tramite i piani previdenziali 401k) all’acquisto di fondi no-load e delle classi che non prevedono le commissioni di distribuzione (12-b fees). Nel 2016, l’81% delle sottoscrizioni dei fondi a lungo termine ha interessato questa tipologia di strumenti.
La maggiore domanda e quindi l’accresciuta consistenza dei fondi senza commissioni di ingresso ha contribuito progressivamente a ridurre il livello medio del Ter. Tale considerazione può essere naturalmente estesa anche al maggior peso dei fondi d’investimento passivi ed Etf che, come noto, presentano commissioni di gestione nettamente più contenute dei fondi a gestione attiva.
Le commissioni sui fondi d’investimento in Europa. Nell’agosto 2016 Morningstar ha pubblicato uno studio sulle commissioni applicate dall’industria europea dei fondi d’investimento. Il lavoro di ricerca mette in evidenza che l’importo dei costi ricorrenti è stato pari all’1% del patrimonio gestito, in diminuzione rispetto all’1,09% registrato nel precedente studio del 2013. Ma, nonostante la diminuzione dei costi, gli investitori europei hanno corrisposto un maggior valore per commissioni (61 miliardi contro 53 nel 2013), in relazione all’aumento del volume dei fondi che ha più che controbilanciato la discesa dei costi.
L’impatto varia tra le diverse giurisdizioni nazionali. In Irlanda e Svizzera il peso dei costi correnti, 0,62%, è nettamente inferiore alla media europea a causa della forte presenza sul mercato di investitori istituzionali. Norvegia, Olanda e Svezia evidenziano un livello di costi competitivo. Nei paesi del Sud Europa, Italia, Spagna e Francia, gli investitori pagano commissioni percentuali più elevate rispetto alla media europea. In alcuni di questi, segnatamente Italia e Spagna, il livello dei costi è aumentato nell’ultimo triennio, in controtendenza rispetto all’industria europea.
Anche nel contesto europeo si conferma una forte differenza tra gli oneri applicati dai gestori attivi e passivi. L’impatto percentuale dei costi nei fondi passivi è stato mediamente pari a 0,31% contro l’1,38% di quelli attivi. Nel contempo la penetrazione dei fondi passivi sul mercato è accresciuta e ha raggiunto nel 2016 il 10,3% (8% nel 2013).
Un’ulteriore determinante della diminuzione dei costi deriva dalla maggiore propensione degli investitori, che prediligono il supporto di consulenti indipendenti, alla sottoscrizione di «clean class», ossia classi di azioni dei fondi esenti dalle commissioni di distribuzione. La differenza percentuale tra le classi ordinarie e quelle non gravate dal costo per la distribuzione è quantificabile, per i fondi azionari, secondo le stime di Morningstar, in 46 bps.
È interessante notare Olanda e Regno Unito, nei quali sono state introdotte norme che hanno limitato o vietato forme di remunerazione tramite commissioni, l’impatto dei costi dei fondi è sensibilmente diminuito nell’ultimo triennio (in Uk da 1,22% a 1,03%, in Olanda da 1,18% a 0,75%)
Lo studio di Morningstar analizza infine le economie di scala nell’industria dei fondi europei, ossia la diminuzione di costi e oneri in funzione della maggiore dimensione dei fondi. Le economie di scala sembrano maggiormente presenti in Svezia, Germania, Olanda e Svizzera.
L’impatto dei costi sui rendimenti dei fondi d’investimento in Europa. L’Esma, authority europea degli strumenti e mercati finanziari, ha recentemente pubblicato un articolo sul tema dell’impatto dei costi sul rendimento dei fondi d’investimento europei. Lo studio prende in esame il periodo tra l’inizio del 2013 e la fine del 2015. Il campione dei dati presi in considerazione, che copre decine di migliaia di fondi europei, è rappresentativo dell’intera industria dell’asset management nelle diverse giurisdizioni europee. I risultati del evidenziano i diversi fattori che contribuiscono a ridurre il rendimento per gli investitori a causa dell’applicazione dei Ter, dei costi connessi alla sottoscrizione e al rimborso da parte dei clienti e dell’effetto derivante dal tasso di inflazione.
I Ter pesano sul rendimento dei fondi per un ammontare compreso tra 16 e 188 bps, che corrisponde a una riduzione del 13% del rendimento conseguito. Le commissioni di sottoscrizione variano tra 1 e 77 bps, L’applicazione di commissioni per il rimborso riduce ulteriormente il risultato netto per gli investitori. Sommando l’effetto dei costi correnti e delle commissioni di sottoscrizione e di rimborso, si conclude che il rendimento viene ridotto di una misura pari al 20%.
Se infine si considera anche l’effetto derivante dal tasso di inflazione, che riduce il rendimento conseguito dagli investitori in termini reali, si ottiene una dato complessivo pari al 29%.
Il peso dei costi e oneri sul rendimento varia sostanzialmente in funzione della tipologia del cliente (retail/istituzionali), dello stile di gestione (attivo/passivo) e delle asset class di specializzazione del fondo. Tralasciando gli effetti dell’inflazione, il solo peso dei costi e oneri applicati, determina un maggiore effetto sui fondi obbligazionari e monetari (rispettivamente 31,9% e 34,8%) mentre sui fondi azionari la riduzione del rendimento è quantificabile nel 15,4%. I rendimenti dei fondi a gestione attiva sono ridotti in misura pari al 20,7%, mentre per i fondi passivi i costi incidono per il 5,2% del rendimento.
I dati risentono anche delle diverse giurisdizioni nazionali: i Paesi nei quali si evidenzia un maggiore impatto dei costi sono l’Austria, il Lussemburgo, la Spagna e l’Italia. Nel nostro Paese, a fronte di un dato medio europeo del 20%, il peso dei costi è quantificabile nel 27,7%.

Il costo totale dell’investimento in fondi comuni in Italia.
 Nel settembre 2017 è stato pubblicato una studio da parte di quattro ricercatori della Banca d’Italia che analizza il costo totale dell’investimento nei fondi  italiani. Il lavoro di ricerca si propone di effettuare una stima del costo complessivo dell’investimento nei fondi comuni italiani (total shareholder cost, Tsc).
I costi complessivi associati all’investimento in un fondo comune aperto comprendono quelli che gravano sul fondo (Ter) e quelli direttamente imputati ai sottoscrittori (commissioni di ingresso e di uscita). Mentre il Ter viene calcolato utilizzando direttamente le informazioni tratte dalle segnalazioni di vigilanza sulle provvigioni che gravano sul fondo, le commissioni di ingresso e uscita pagate dai risparmiatori sono state stimate utilizzando il valore delle commissioni di sottoscrizione e di rimborso incassate dalle Sgr come riportate nei loro bilanci.
Le stime ottenute sulla base dei dati di bilancio delle Sgr mostrano come nel periodo 2006-2016 il Tsc sia stato in media pari all’1,58% del patrimonio complessivo dei fondi (1,74% a fine 2016). L’incidenza dei costi direttamente pagati dal risparmiatore è aumentata in coincidenza con la crescente diffusione dei fondi a scadenza: dal 2013 essi pesano per oltre il 10% sul totale delle commissioni. Se si sottraggono i costi direttamente e indirettamente sostenuti dagli investitori il rendimento si riduce dal 3,5 al 2% nella media del periodo 2006-2016.
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