Nuove tecnologie per una leadership digitale e internazionale

Cresce in Italia il mercato Ict trainato dalle medie imprese. Un’opportunità per competere all’estero e per abilitarsi a nuovi business. Le Fonti ne ha discusso in una tavola rotonda a Palazzo Mezzanotte con imprenditori ed esperti del settore
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Cloud, internet delle cose, mobile business e soluzioni per la sicurezza. Il settore Ict lo scorso anno è stato caratterizzato dalla crescita di questi servizi. È quanto attestano le ultime rilevazioni Assinform, condotte con la collaborazione di Netconsulting Cube. E sono dati che trovano conferma anche nelle parole degli imprenditori protagonisti dell’ultimo Ceo Summit promosso da Le Fonti: Innovazione e nuove tecnologie per una leadership digitale e internazionale, svoltosi a Palazzo Mezzanotte lo scorso 15 novembre. Protagonisti del dibattito, Massimo Zanetti, presidente di Massimo Zanetti Beverage Group, la holding che include il noto brand del caffè Segafredo, Flavio Radice, presidente e Ceo della multinazionale Hitachi Systems Cbt e Stefano Franceschini, presidente della società di software gestionale Passepartout. A dialogare con loro, uno dei massimi esperti a livello globale di digitalizzazione, Marcus East, global digital director del colosso britannico della vendita al dettaglio Marks & Spencer, già eCommerce manager di Apple al fianco di Steve Jobs. L’apertura ai mercati internazionali garantita dalle nuove tecnologie, la capacità per le società di software di farsi abilitatori del business e consulenti delle aziende, l’evoluzione del mercato dell’information technology e i suoi diversi modelli di business, tra fusioni e percorsi indipendenti, e poi ancora i dilemmi sull’utilizzo dell’intelligenza artificale e i futuri trend dell’eCommerce  sono stati alcuni dei temi trattati.

Digitale trainato dalle medie imprese. Tornando ai dati di Assinform, sia per il 2016 sia per il 2017, il cloud cresce a tassi del 26%, l’IoT del 17%, il mobile business di oltre il 13% e le soluzioni per la sicurezza del 5%. Dispositivi e sistemi poi risentono positivamente dell’aumentata domanda di componenti in banda larga e ultralarga. L’ambito retail continua a dare soddisfazione, anche perché stanno prendendo sempre più piede nuovi servizi (dall’internet banking all’e-commerce) e canali di svago (i social su tutti). Il mercato digitale italiano (informatica, telecomunicazioni e contenuti) crescerà quindi dell’1,4% nel 2016 (a 65,79 miliardi di euro) e dell’1,6 % nel 2017 (a 65,83 miliardi). Dopo la svolta del 2015, che ha interrotto una fase negativa che durava da anni, il mercato dell’innovation technology italiano sembra così entrato in un ciclo di crescita stabile. E sono le medie imprese a fare la parte del leone. Si stima che contenuti e pubblicità digitale continueranno a crescere bene (+7% a 10.372 milioni di euro), ma miglioreranno ancora le performance di mercato dei servizi Ict (+2,9% a 10.878 milioni), del software e delle soluzioni Ict (+5,1% a 6.577 milioni) e rimarrà anche in moderata ripresa il rimanente comparto dei dispositivi e sistemi (+0,6% a 17.208 milioni).
Innovazione per essere internazionali. A prescindere dalla tipologia di strumento high tech adottato, la crescita per le aziende italiane di qualunque settore non può prescindere dall’investimento in sviluppo di soluzioni innovative. «Il nostro è un lavoro molto vecchio, perché il caffè è il prodotto più vecchio che c’è. Ma l’innovazione ci consente di farlo diventare internazionale», dice Massimo Zanetti affermando che l’It è inteso dalle imprese italiane come ponte per una presenza sempre più capillare a livello globale. Un’opportunità che anche le aziende tradizionali non possono farsi scappare per essere competitive. «L’innovazione e il processo di digitalizzazione sono fondamentali. La nostra innovazione principale è stata quella di essere andati a vendere il caffè nel mondo», ha spiegato il patron della Segafredo. «Avendo noi creato una cinquantina di società in giro per il pianeta, se non ci fossero internet e tutti i vari servizi interconnessi tra loro, non avremmo una trasmissione così rapida dei dati e la possibilità di seguire contemporaneamente i diversi mercati». L’imprenditore ha ripercorso i passaggi che hanno portato l’azienda all’estero e le difficoltà per i produttori italiani di caffè di concorrere con i colossi statunitensi, puntando su qualità e proprio nuove tecnologie. «Noi siamo stati i primi a creare negozi  dedicati, e poi un grande americano ne ha fatti molti più di noi. Tuttavia  ciò che è innovazione nell’ambito del caffè è nato dalle aziende italiane e non certamente dalle società straniere e siamo stati aiutati in questo dalla rivoluzione tecnologica partita con i computer e oggi inarrestabile».
It e cloud abilitatori del business. «Mi fa piacere che un imprenditore parli dell’informazione in termini tecnologici». ribatte Flavio Radice di Hitachi Systems Cbt, system integrator attivo nei servizi di information technology. «Noi come Hitachi ci poniamo sicuramente con una base tecnologica importante, ma siamo molto connessi al business perché vogliamo supportarlo. Questo si fa soprattutto parlando con i dirigenti delle aziende e capendo come le tecnologie possano essere un fattore abilitante. Da qui la necessità di un approccio consulenziale, per trovare soluzioni innovative che partano dai singoli modelli di business». In particolare il manager spiega come il cloud rappresenti un acceleratore importante in quanto «disintermedia quello che è l’approccio tecnologico e va direttamente nell’ambito delle soluzioni». «Oggi si parla molto di internet delle cose», aggiunge «a cui si sommano l’analisi dei dati e l’analisi predittiva per consentire all’azienda di prendere delle decisioni in tempo reale, o quanto più veloce possibile, come reazione a quello che sta accadendo sul mercato». Imprese come questa intendono muoversi in un contesto che, partendo dall’Italia, guardi a un orizzonte globale. Da qui l’acquisizione nel 2015 da parte della multinazionale Hitachi Systems dell’azienda di servizi It Cosmic Blue Team  (Cbt) per sostenere il proprio business in Italia e in altri mercati del Vecchio Continente. «Noi siamo un avamposto legato al territorio italiano», conferma Radice, «ma con un piano di espansione europea molto interessante per tutto ciò che è nel mercato dell’innovazione high tech».
Modelli tecnologici a confronto. Il caso di Hitachi è l’esempio del dinamismo del settore con la concentrazione nelle mani di alcuni player di riferimento delle dinamiche legate ai servizi It. Non tutti però seguono il medesimo modello di business. È il caso della società Passpartout, presieduta da Stefano Franceschini. «Il nostro è un mercato maturo, non ci sono molte aziende che arrivano “vergini” per farsi informatizzare. È un mercato soprattutto di sostituzione. Il software gestionale pervade l’azienda di abitudini, di modalità, di codifiche e di molto altro, per cui è difficile rimuovere il vecchio, anche se un prodotto è migliore e più aggiornato. Vuol dire fare cambiare abitudini a aziende e personale. Spesso la via più semplice per chi ha dei soldi da investire (spesso e volentieri si tratta dei fondi comuni o delle finanziarie) è acquistare completamente i concorrenti, e quindi acquistare marchi, prodotti, clienti, distributori. Il problema sorge automaticamente dopo, quando si cerca di ottimizzare e di riunire tutto per avere un unico prodotto valido, che nel 90% fa quello che fanno gli altri, senza differenze. Quindi si raddoppia il fatturato, ma si rischia di perdere dei clienti perché chi è abituato, non vuole cambiare. Il software gestionale si acquista all’inizio e magari può andar bene per quel momento, ma siccome è sempre in evoluzione può non essere adatto per il futuro». È basandosi su queste premesse che Franceschini afferma di aver optato per un percorso differente. «Per questo motivo noi abbiamo seguito un’altra strada, che è quella di avere non soltanto un software gestionale, ma anche una piattaforma che sia in grado di evolvere direttamente, non dall’utente finale, ma dal partner o dal distributore e che sia in grado di sviluppare non solo le opzioni standard, ma anche ciò che rappresenta il cuore dell’azienda,  le sue strategie, gli aspetti che la caratterizzano e che ne fanno la forza, soprattutto di quelle medio-piccole». «Io ho scelto la strada di non comprare altre aziende né di farmi comprare da loro», conclude l’imprenditore, ma automaticamente di diventare da un’azienda di circa 200 dipendenti, una società di duemila sviluppatori, che fanno l’ultimo miglio e che poi lo editano sul marketplace. Io sono un sostenitore di John Nash, che diceva che quando ogni componente del gruppo nella competizione fa il meglio per sé e per gli altri, si raggiunge il massimo risultato».
Globalizzazione e protezionismo. Ma come si raggiunge il massimo risultato in un contesto che vede alternarsi spinte contrapposte, tra isolazionismo e nuove forme di globalizzazione? «La tendenza del mondo è oggi quella di richiudersi dentro le frontiere: abbiamo visto la Brexit, Trump in America, Erdogan, Putin. Questo restringersi dei mercati può creare a chi si occupa di innovazione qualche problema?». si chiede Zanetti. Secondo l’esperto di trasformazione digitale, Marcus East, «le generazioni con un’età maggiore abbracciano l’isolazionismo, mentre le più giovani no. Parlando per esempio di Brexit, le persone over 45 hanno votato a favore, mentre le più giovani contro. Questo perché non vedono gli stessi confini nazionali che le persone più adulte colgono. Nel mio lavoro mi confronto spesso coi giovani: loro vogliono fare tutto su internet, anche gli acquisti. Ma non si fermano qui. Alcune delle tecnologie più all’avanguardia come IoT o intelligenza artificiale, potrebbero andare a dissolvere queste barriere e creare una nuova forma di globalizzazione».
Intelligenza artificiale e dilemmi etici. Tuttavia le potenzialità dell’intelligenza artificiale non sono ancora comprese in pieno e spaventano. «Io rappresento un’azienda di innovation technology, per definizione evolutiva, quindi sono molto affascinato da tutto ciò che è rappresentato dall’intelligenza artificiale, ma sono abbastanza preoccupato di come questa possa prevedere i fabbisogni legati al business, soprattutto in un contesto come quello italiano, dove tipicamente la piccola media impresa, non ha dei modelli così strutturati e così conformati come altre realtà multinazionali. Come ci dobbiamo porre di fronte a questa opportunità e che sviluppi potrà avere in futuro?», si domanda Flavio Radice. «La mia opinione è che per sfruttare al meglio le intelligenze artificiali le società debbano dotarsi di un buon business model e di un ottimo programma», risponde East. «Bisogna avere ben chiari i dati da cui partire, gli obiettivi e dove si vuole arrivare tramite l’utilizzo di questi dati. Segnalo un esempio molto controverso: nella Silicon Valley c’è una città che utilizza i poliziotti robot. Sono massicci e vengono utilizzati per fare la ronda in un quartiere in cui si trova la strada che divide l’area più povera da quella più ricca della valle. Ad oggi questi robot hanno solo la possibilità di seguire una persona che ritengono sospetta, tramortirla e fermarla, nulla di più. Quindi la domanda è: se uno di questi robot ferma e malauguratamente uccide una persona, chi è responsabile? L’ingegnere che ha scritto il programma? Chi ha programmato direttamente il robot? Oppure l’agente che ha dato le informazioni al robot? L’aspetto inquietante è che in questi quartieri le persone pensano che gli agenti robot rappresentino un miglioramento, in quanto andrebbero comunque a uccidere meno persone di quelle freddate dagli agenti reali».
Tutte le tracce in uno smartphone. Il tema della sicurezza appare cruciale anche per Stefano Franceschini: «Basti pensare a come gli strumenti informatici per l’identificazione in aeroporto o stazione e il reperimento di dati sensibili influenzeranno il modo di vivere e quanto possono fare i governi per la loro diffusione». Per East «questo è sicuramente il futuro, che ci piaccia o meno: il riconoscimento biometrico facciale arriverà». L’ex manager di Apple dunque non ha dubbi e aggiunge. «Di recente ho letto un report scientifico secondo il quale se si analizzasse il nostro smartphone si potrebbero ottenere tantissime informazioni, dalla marca del prodotto per la cura dei capelli a quella del detergente delle mani, al codice pin del bancomat: si lasciano già talmente tante tracce fisiche e biologiche sulla tecnologia che non ce ne rendiamo conto. Lasciamo proprio un’impronta su queste apparecchiature. Questo cambiamento è quindi già in atto. Personalmente non ne sono spaventato, ma bisogna adottare delle giuste politiche private, aziendali e pubbliche. Occorre adeguare leggi e regolamenti a questo nuovo fronte tecnologico perché è già una realtà».
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