Gestione passiva. Mercato e prospettive

Il 2017 ha segnato nuovi record per gli Exchange traded fund con un patrimonio complessivo che sfiora i 60 miliardi e 9,5 miliardi di nuova raccolta. E le previsioni…
[auth href=”http://www.worldexcellence.it/registrazione/” text=”Per leggere l’intero articolo devi essere un utente registrato.
Clicca qui per registrarti gratis adesso o esegui il login per continuare.”]Una storia di successo. È quella degli Etf diventati sempre di più protagonisti nei portafogli sia degli investitori istituzionali sia del retail. Nel mondo, a partire dagli Stati Uniti, ma anche in Europa e in Italia. Dove questo tipico strumento della gestione passiva (replicante di centinaia di indici, da quelli azionari alle materie prime) grazie alla trasparenza, la semplicità e ai bassi costi, dal primo arrivo nel 2002, in quindici anni si è fatto spazio all’interno dell’industria del risparmio gestito. Ed è servito anche a stimolare le gestioni attive sia sul fronte della qualità del servizio offerto sia su quello di una riduzione (seppure ancora debole) delle commissioni. Ed è destinato a un’ulteriore crescita nei prossimi anni, ampliando sempre più l’offerta d’investimento.
Di passato, presente e soprattutto futuro degli Etf si è parlato nella seconda tavola rotonda del D-Day: «Etf, i vantaggi della gestione passiva per retail e istituzionali». Al confronto, moderato da Achille Perego, giornalista economico di Qn-Quotidiano nazionale, hanno partecipato Silvia Bosoni, head of Etfs, Etps and open end Funds di Borsa italiana, Sabrina Principi head of Etf Bnp Paribas Am, Sergio Trezzi, managing director, head of retail distribution Emea (ex UK) and Latam di Invesco, Massimo Scolari, presidente di Ascosim e Raimondo Marcialis, responsabile della commissione consulenza e risparmio gestito di Assiom Forex.
Bilancio positivo. Il bilancio del 2017 e più in generale di questi quindici anni, ha spiegato Bosoni, è più che positivo. «Oggi sono circa 1.100 gli strumenti quotati con una crescita anche delle società emittenti, con quattro nuovi ingressi, tra le quali però non esiste nessun operatore italiano e a breve non si vede la possibilità che arrivi. Il 2017 ha segnato nuovi record per gli Etf con un patrimonio complessivo che sfiora i 60 miliardi e 9,5 miliardi di nuova raccolta». Numeri che fanno di Borsa italiana e del gruppo di cui fa parte (il London stock exchange) il primo in Europa per controvalore e contratti Etf scambiati sia per il retail, sia per gli investitori istituzionali.
Del resto, ha sottolineato Principi, «la crescita del mercato Etf è stata molto forte sia nel mondo sia in Europa. Basti pensare che a metà anni Duemila gli asset gestiti erano pari a 400-450 miliardi di dollari e ore le masse sono superiori a 4 trilioni con la previsione che entro il 2020 possano arrivare a 7. La crescita maggiore si è realizzata nel mercato americano, maggiormente orientato a investire in azioni ma negli ultimi dieci anni anche l’Europa ha di gran lunga recuperato terreno perso, tanto che, con un incremento di circa il 20% all’anno, si è arrivati a un patrimonio di 750 miliardi. Non ricordo», ha chiosato l’head of Etf di Bnp Paribas Am, «un altro segmento del risparmio che possa vantare una crescita così alta. E il mercato italiano ha addirittura over performato con un più 27% all’anno. Indubbiamente sulle performance degli Etf hanno influito i mercati rialzisti e i bassi tassi d’interesse».
Ma quali sono i vantaggi che offre la gestione passiva? Il successo degli Etf, secondo Trezzi «è collegato alla componente della trasparenza e della velocità, aspetti molto importanti nella scelta del cliente finale. Qualcuno considera decisivo anche il pricing, senza dubbio una componente rilevante ma solo l’ultima. Gli Etf quindi sono cresciuti molto ma pochi ricordano che la dimensione globale del risparmio gestito nel mondo è di 80 trilioni di dollari e anche se gli Etf arriveranno a 7 è sempre meno del 10% del totale». Alla possibilità che arrivino degli emittenti italiani di Etf, anche per Tezzi la risposta è no. «Perché si tratta di un mercato semplice ma con grandi barriere all’ingresso. Un mercato dove l’efficienza operativa e la dimensione sono fondamentali così come la copertura geografica per economie di scala indispensabili di fronte a un settore dal pricing basso. Essere presenti negli Stati Uniti è un fattore chiave, in Europa un’opportunità e in Asia un must».
In che modo possono essere utilizzati gli Etf all’interno dei portafogli degli investitori istituzionali e del retail? «Io non sono mai stati attirato dalle guerre di religione», ha risposto Marcialis. «Non importa che un gatto sia nero o bianco ma che prenda i topi! Quindi esistono momenti nei quali gli Etf rappresentano l’opportunità più interessante e altri nei quali invece privilegiare i fondi dalla gestione attiva. La ricchezza dei mercati risiede nel fatto che non stanno mai fermi e proprio perché i mercati sono mutevoli è indispensabile avere strumenti fra loro diversi. Pensare di costruire un portafoglio senza la gestione attiva e quella passiva è come voler cucinare la pastasciutta senza la pasta o senza l’acqua…».
Un altro elemento che caratterizza positivamente gli Etf, ha sottolineato Scolari è il fatto di essere quotati. «Chi si occupa di consulenza indipendente può così suggerire un investimento aperto, a 360 gradi, indipendentemente dalla banca nella quale ha un conto deposito per i titoli. Per questo è stata importante anche la scelta di Borsa italiana di quotare i fondi. Ma oggi sono soltanto 130 quelli quotati perché le banche, salvo qualche eccezione, non consentono l’accesso aperto a questo investimento e privilegiano il loro canale di sottoscrizione e i loro prodotti. Questo ci dice quanto siamo lontani dalla protezione dell’investitore che tanto viene sbandierata». Per questo, ha spiegato Scolari «siamo contentissimi di avere 1.100 Etf quotati sui quali proporre una consulenza indipendente mentre ci dispiace moltissimo che in Borsa non ci siano tutti i fondi migliori che l’industria propone».
Ma quotare un fondo, ha spiegato Trezzi, è molto complesso. «Intanto non cambia la velocità della negoziazione che non si può fare intraday. Inoltre la cultura finanziaria dell’investitore è medio bassa e quindi esiste il rischio di sottoscrivere un fondo senza conoscere la strategia del gestore mentre i fondi esigono una conoscenza più specifica rispetto alla semplicità e alla trasparenza dell’Etf. Oggi comunque i fondi possono essere acquistati anche sulle piattaforme online con un’ampia scelta e le stesse banche danno accesso a tutte le principali case».
Inoltre sia Bosoni sia Principi hanno evidenziato come serva consulenza e competenza anche per investire in specifici Etf, come quelli per esempio che investono nell’azionario della Malesia. E come, in virtù anche delle moderne tecnologie, esistano oggi tante strategie sistematiche declinate anche in prodotti dalla gestione passiva, basti pensare agli Etf ibridi previsti e quotati anche in Italia dal 2010.
Un altro fattore chiave, ha sottolineato Principi è rappresentato dall’innovazione. Di per sé il mercato degli Etf è per sua natura innovativa «e se guardiamo all’evoluzione di questi ultimi dieci anni, proprio l’innovazione è stata sorprendente». «Si è partiti infatti da Etf che replicavano solo i principali indici di capitalizzazione per arrivare a innumerevoli asset class, dal real estate agli investimenti etico-sostenibili fino ultimamente», ha ricordato Bosoni, «alla quotazione di quattro Etf-Pir. E guadare a investimenti tematici richiede comunque particolari strategie tipiche della gestione attiva che possono essere applicate a quella passiva. Con l’investitore istituzionale o quello retail chiamato ad approfondire strumenti (gli Etf) che appartengono alla stessa famiglia ma possono essere molto differenti tra loro».
Sulla base di quali elementi, quindi, devono essere valutati gli Etf? «Gran parte del successo di questo strumento finanziario», ha detto Marcialis, «dipende da due parametri: l’estrema economicità e la semplicità. Tutte le volte che si tradiscono questi fattori si corre il rischio di creare confusone tra gli operatori». Il successo dell’industria degli Etf, sempre secondo Marcialis, «è partito dagli investitori istituzionali non dal retail. Quindi il problema non è di prodotto ma riguarda la tipologia del servizio. Gli istituzionali (fondi pensione, casse di previdenza, grandi operatori) avevano e hanno a disposizione una gamma efficiente di strumenti per diversificare anche con gli Etf. Diverso è il discorso rivolto al piccolo risparmiatore e non è un caso che dal mercato sia arrivata la domanda per costruire fondi con Etf. Quindi se l’indubbio successo degli Etf è stato generato dal fattore prezzo, per diffondersi realmente hanno bisogno di un servizio di qualità».
Non c’è dubbio, anche secondo Trezzi, che il prezzo sia un elemento fondamentale della gestione passiva. «Ma gli Etf hanno avuto anche il grande merito, grazie anche all’intervento delle Authority, di dimostrare quali fossero quei gestori che dichiaravano di essere attivi chiedendo un prezzo commisurato a questo servizio e poi invece applicavano anche una gestione passiva al 50-60% del portafogli. Così molti investitori disillusi dalla gestione attiva si sono spostati verso quella passiva. Ma non si può non riconoscere, a livello di commissioni, l’alta qualità di una gestione attiva che consenta una over performance del 5%. Per questo rimane fondamentale la cultura finanziaria, capire la realtà dell’investimento e l’orizzonte temporale». E quindi, per Trezzi, «indipendentemente dallo strumento qualsiasi scelta deve essere fatta con la consulenza di un professionista».
Quanto inciderà l’arrivo della Mifid 2? Per Scolari comporterà una trasparenza integrale sui costi e i servizi di investimento. Secondo uno studio dell’Esma, basato su una ricerca fatta su circa 20mila fondi in Europa, è emerso che l’impatto sul rendimento dei fondi di tutte le commissioni è attorno al 28-29% mentre per gli Etf si limita all’11%. E, peggio, se in Europa la percentuale oscilla tra il 20-30% in Italia è al 40%. «Siamo un Paese», ha denunciato il presidente di Ascosim, «nel quale c’è una distribuzione di tipo medievale, un vassallaggio tra produttore e distributore. Le commissioni stanno diminuendo in tutto il mondo tranne che in Italia, dove aumentano. Quindi esiste un problema di competitività del nostro sistema».
Una tesi che non ha trovato del tutto in sintonia Trezzi. «Se con l’arrivo della Mifi 2 i costi sono destinati a scendere, già oggi il mercato italiano ha una buona direzione. Basti pensare, per esempio, che le commissioni d’ingresso in un fondo, pari al 5 o 3% presenti in Germania, in Italia non esistono più da 15 anni». Quanto alla tendenza a ridurre il costo delle commissioni, ha ricordato Marcialis, «sarà inevitabile anche perché difficilmente nei prossimi cinque anni i mercati garantiranno le performance degli ultimi anni e quindi il peso dei costi sui rendimenti apparirà ancora più pesante». Che sul mercato siano presenti costi eccessivi è certo ma, per Marcialis «la domanda vera è riempire di valore i costi altrimenti con la prossima crisi gli investitori terranno i soldi liquidi».
Ma quali sono le prospettive? Anche per Principi l’introduzione della Mifid 2 aumenterà la trasparenza e darà una scossa anche ai costi. Del resto oggi in Europa il costo medio di un Etf è all’incirca di 25-30 basic point mentre per i fondi bisogna aggiungere un 1 davanti. La Mifid 2 favorirà la crescita del mercato indicizzato mentre la tecnologia porterà grossi cambiamenti e si farà sentire anche il ruolo del robo-advisor. In Italia, inoltre, la maggior parte della ricchezza finanziaria è posseduta da chi è avanti con gli anni. Il cambiamento generazionale farà sì che in futuro ci saranno investitori più tecnologici che continueranno a voler interagire con consulenti fisici ma la tecnologia farà sempre più parte del quotidiano e avrà anche effetti sulla riduzione dei costi. E la “vittima” di questo fenomeno, ha chiosato Marcialis «saranno i gestori attivi che dovranno abbassare i prezzi verso la distribuzione».
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